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Le reti d’impresa di Montefiascone e Bolsena unite presentano i gioielli del lago

Riccardo Peparello accoglie i giornalisti davanti all’ufficio turistico di Bolsena La legenda del bottigliere Martino sommelier ante litteram e del vino  “Est! Est!! Est !!!” La Stampa di settore visita le aziende turistiche della Tuscia viterbese di Montefiascone e Bolsena Le Reti d’Impresa, partnership pubblico-privato,  hanno come base il raggiungimento di obiettivi comuni per competere a livello globale pur nella propria individualità per generare valore e sviluppare il proprio territorio. Questo consente loro di partecipare a bandi pubblici e stilare programmi comuni. Il turismo si è trasformato in un business globale orientato verso lo sviluppo sostenibile: sociale, ambientale ed economico. Le Reti d’Impresa hanno l’obiettivo di rafforzare la competitività delle imprese associate, attraverso la collaborazione e la cooperazione, per il superamento di tutte le difficoltà che si frappongono all’attuazione di ogni iniziativa imprenditoriale. I comuni laziali di Montefiascone e Bolsena sono stati fra i primi ad unire gli sforzi avendo compreso l’importanza della valorizzare e promozione del territorio per le imprese aderenti, avendo inoltre la necessità della destagionalizzazione del turismo. Per fare questo  la DMO (Destination Management Organization)  Expo Tuscia viene incontro per  coordinare le iniziative per la gestione delle imprese turistiche per rafforzare i servizi e le risorse delle varie identità territoriali. Dopo gli appuntamenti al TTG/Rimini nel 2022, dove fu presentato un interessante filmato sul territorio, VisiTuscia nel 2023 si è attivata per il progetto del “Turismo delle Radici” effettuando il collegamento in diretta con alcune Associazioni di Italiani all’estero. Alla BMT/Napoli lo scorso mese di marzo fu presentato poi il progetto “Lago di Bolsena-Lago degli Etruschi”. Nei giorni scorsi un gruppo di giornalisti, del settore turismo e dell’enogastronomia, hanno partecipato ad un press tour per scoprire le bellezze della Tuscia. L’occasione è stata offerta da “Assaggi, il Salone dell’Enogastronomia laziale” una vetrina che si tiene ogni anno nel Palazzo dei Papi di Viterbo per esporre la cultura enogastronomica del Lazio. Montefiascone il balcone sul lago di Bolsena  La prima tappa del tour è stata a Montefiascone dove Alessandra Di Tommaso, Presidente della Rete d’Impresa “Montefiascone in vetrina” e la Sindaca, Giulia De Santis  hanno presentato la località rivierasca e le eccellenze enogastronomiche della Tuscia presso il ristorante “La Carrozza d’Oro”. Il titolare, Patrizio Lombardi, che  fa parte della quarta generazione di albergatori che si occupano con amore di questa struttura a gestione familiare, ha raccontato l’origine di tale singolare nome. Si narra che Amalasunta, regina dei Goti, dopo la morte per mano di sicari, fu messa a giacere su una carrozza d’oro e sepolta in uno dei sette colli posti davanti all’isola Martana del lago di Bolsena, dove era prigioniera. Invano nei secoli si è ricercata la mitica carrozza d’oro ma nessuno è riuscito finora a trovarla, come nessuno ha mai individuato il  tunnel sotterraneo che la regina utilizzava per raggiungere il suo amante Tomao. Alessandra Di Tommaso ha spiegato le finalità che hanno spinto produttori e commercianti a costituire la rete d’impresa, sottolineando come questa unione costituisca una novità assoluta per il paese. Con dovizia di particolari la Di Tommaso ha illustrato i pregiati vini del territorio, come il famoso “Est! Est!! Est !!!”, il vino bianco italiano (DOC), originario della provincia di Viterbo e i prodotti locali che rappresentano l’espressione di alcune produzioni tipiche del territorio, come: l’olio, la mozzarella di bufala e gli insaccati. «Si tratta di eccellenze che nascono da storie di famiglie tradizionali che hanno deciso di investire sul territorio –  ha detto  la presidente della rete – e sulle quali occorre puntare se si vuole intercettare quel turismo alla ricerca delle eccellenze del territorio e godere degli affacci e degli scorci che si possono godere dall’alto del nostro paese».  Da parte sua il Sindaco, che era accompagnata da Carla Mancini Assessore al Turismo di Montefiascone,  ha dichiarato che: «Il Comune e l’Amministrazione saranno sempre vicine alle aziende e ai produttori che vogliono investire per il bene del territorio, nella convinzione che è dalla loro attività che il paese può trarre i maggiori benefici. La collaborazione fra pubblico e privato – ha detto il primo cittadino – è fondamentale per lo sviluppo turistico e commerciale e per far conoscere le eccellenze culturali, turistiche ed enogastronomiche del nostro paese». All’evento  ha partecipato anche il V. Chargé de Presse dell’Accademia Internazionale di Gastronomia Chaîne des Rôtisseurs del Bailliage  di Frosinone, che ha portato il saluto della Chaîne. L’associazione conta 25 mila soci  in rappresentanza di 70 nazionalità, in Italia gli associati sono oltre 900. L’Accademia è punto di riferimento per la ristorazione di eccellenza e ha come scopo la promozione dei valori  della cultura della gastronomia, si fonda sui temi legati alla buona cucina e al rispetto della cultura della tavola. La Di Tommaso ha poi riferito in merito all’origine del vino locale, conosciuto in tutto il mondo: il “bottigliere” Martino – sommelier ante litteram – dell’ecclesiastico Giovanni Defuk,  aveva il compito di precederlo nel suo viaggio in Italia e scovare le locande che servivano il vino migliore. Per segnalarle, doveva scrivere “Est!” vicino alla porta per il vino buono  e  “Est! Est!!” per quello ottimo. Arrivato a Montefiascone, Martino che era un vero scopritore e degustatore di vini, fu tanto colpito dalla qualità del vino locale da segnalarlo ripetendo per tre volte “Est! Est!! Est !!!”. Oggi Montefiascone è un luogo ideale per chi ama una vacanza tra natura, storia e arte. La guida Marcello Forgia ha accompagnato il gruppo dei giornalisti alla scoperta degli angoli più suggestivi di Montefiascone, da sede papale a patria del leggendario vino, il paese sorge su un colle strategico che domina l’alta Tuscia arroccato ad oltre 600 mt sul livello del mare. La Cattedrale di Santa Margherita custodisce le reliquie della Santa, i lavori iniziarono nel 1483 e terminarono nei primi decenni del Seicento, appena terminata un incendio del 1670 provocò gravi danni. I lavori di ristrutturazione furono affidati a Carlo Fontana, a cui si deve la  grande cupola del diametro di 27 metri, ricoperta di piombo: terza per grandezza a livello italiano. Suggestiva la visita

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Al Ravida  i colori e i sapori della primavera nelle creazioni dello chef Auricchio

Al Ravida Resort di Pompei presentato il nuovo menù di primavera L’Accademia Internazionale Chaîne des Rôtisseurs del Bailliage di Frosinone in prima linea per i valori della cultura della gastronomia e per la cultura della tavola La primavera è ormai arrivata anche se le temperature di questi giorni non lo dimostrano, è il  periodo dell’anno in cui gli uccellini iniziano a cinguettare, i fiori incominciano a sbocciare, l’aria è frizzante, le giornate si allungano e tutto ricomincia a diventare verde. La primavera richiede dei menù leggeri,  con ingredienti di stagione freschi e frizzanti. Tutto questo si può toccare con mano al Ravida Resort di Pompei, circondato da un lussureggiante giardino e da fontane dove le rondini al tramonto si tuffano in picchiata. La location, con arredi chiari e moderni,  è divisa in più sale: il ristorante per eventi, uno più raccolto e la pizzeria. In questo posto incantevole l’Executive Chef Giuseppe Auricchio, classe ‘86, ha presentato il menù di primavera  o – più esattamente – le sue creazioni uniche: «Vengo da Terzigno, paese alle falde del Vesuvio. Macellai da generazione, la passione della cucina mi è stata tramandata da mia nonna Teresa, nella cui casa passavo interi pomeriggi e che, insieme al resto della mia famiglia, rappresentava il focolare, nonché primo banco di prova delle mie capacità». Dunque questo il segreto di Auricchio: l’importanza delle materie prime e come valorizzarle, sempre alla ricerca di prodotti tipici e nuove tecniche.  La serata riservata agli operatori dell’informazione è stata introdotta e presentata dal giornalista enogastronomico Renato Rocco, Direttore Responsabile della testata online La Buona Tavola Magazine, il giornale che parla e sa di buono. Per iniziare è stato offerto come Amuse-bouche una fetta di panino napoletano e un tris composto dalla montanarina La Mia Genovese Slow (topping di Genovese dell’Alleanza preparata con le tre cipolle presidi Slow Food: di Alife (CE), Vatolla (SA) e Airola (BN); carciofino violetto di Castellammare, detto di Schito, anch’esso presidio Slow Food; moscardino affogato. L’abbinamento è stato con una bollicina, un Prosecco Sant’Orsola. L’antipasto era composto da un carpaccio di salmone selvaggio dell’Alaska, marinato con sale e zucchero e aromatizzato agli agrumi, con semi di sesamo nero, carciofi di Schito in olio, salsa di erborinato e zeste di limone. Il piatto è stato accompagnato da una focaccina cotta nella cenere, farina macinata a pietra e con 70% di idratazione, ogni portata è stata servita con il pane specialmente studiato e preparato per l’occasione. Per l’abbinamento è stato scelto un   Greco di Tufo DOCG Vigna Cicogna di Cantine Benito Ferrara, annata 2022. Come primo piatto sono stati serviti dei ravioli di pasta fresca all’uovo, ripieni di stracciata,  con carpaccio e dadolata di branzino, verdurine e acqua di vongole. Lo Chef, che ha illustrato personalmente tutti i piatti, ha svelato un piccolo segreto: per fare la pasta dei ravioli così sottile e quindi maggiormente digeribile, ha usato una particolare tecnica per tirare la pasta in diagonale e verticale, come si farebbe per una stoffa al telaio. Per il pane, un mini bun agrumato con zeste di limone nell’impasto, cotto al vapore, 71% di idratazione. Come abbinamento un Greco di Tufo Devon delle Cantine Antonio Caggiano, annata 2022. Il secondo piatto è quello che ha suscitato un’attenzione particolare:  un pollo ruspante, allevato a terra, in tre cotture: coscia ripiena alla cacciatora, cotta sui carboni e con pomodorino aromatizzato al timo; petto di pollo CBT (cotto a bassa temperatura per conservare l’idratazione)  alle erbe; sfera di pulled chicken wings (alette di pollo sfilacciate e insaporite), impanata con corn flakes e fritta. Lo chef Auricchio ha chiarito che la parte più saporita del pollo è quella delle alette, purtroppo occorre mangiarle con le mani. Per evitare questo comportamento, che in una cena raffinata non sarebbe consentito, Auricchio ha prelevato tutta la carne dalle alette, eliminando la carcassa, e le ha presentate in una graziosa sfera con infilato dentro un ossicino. Il tutto accompagnato da un pane ai cereali con farina di ceci, 24 ore di lievitazione e con prefermento biga. Un piatto da scuola francese abbinato ad un Primitivo di Manduria DOP Papale della cantina Varvaglione, annata 2020. Per predessert una mini tartelletta alle mandorle con lemon curd, fragoline di bosco e meringa bruciata.  Il dessert “Sottobosco” consistente in una mousse di nocciola, crumble al cacao e rhum con mirtilli e fiori eduli. Un finale accompagnato, al pari dell’incipit, dalle bollicine dello spumante Prosecco Sant’Orsola. Se l’intento dell’Executive Chef Giuseppe Auricchio del Ravida Resortera quello di meravigliare, è riuscito in pieno. Lo Chef è sempre alla ricerca di nuove sfide che lo portino a crescere e confrontarsi con altre realtà culinarie. Nel corso della sua carriera ha partecipato a numerose gare culinarie, da quelle nazionali alle mondiali posizionandosi al secondo posto. «Il mio desiderio è quello di emozionare tramite il cibo, grazie ad una cucina solo apparentemente povera, ma di territorio e di sapore vero», ha commentato Auricchio che è impegnato a dare un’impronta gourmet alla cucina tradizionale. Fra i suoi principi vi sono quelli di celebrare l’incontro armonioso fra tradizione e innovazione, questo consente una vera esplosione di sapori che riflette il genio creativo dello Chef nella reinterpretazione dei piatti classici con fresca prospettiva moderna. All’evento, che ha visto la partecipazione di numerosi giornalisti e blogger di settore,  ha partecipato anche il V. Chargé de Presse dell’Accademia Internazionale Chaîne des Rôtisseurs del Bailliage  di Frosinone, che ha portato il saluto della Chaîne. L’associazione conta 25 mila soci nel mondo in rappresentanza di 70 nazionalità ed è presente in tutti i continenti, solo in Italia gli associati sono oltre 900. L’Accademia Internazionale di Gastronomia è punto di riferimento per la ristorazione di eccellenza e ha come scopo la promozione dei valori e della cultura della gastronomia, si fonda sui temi legati alla buona cucina e al rispetto della cultura della tavola, il tutto cementato da sincera amicizia con unico obiettivo: raggiungere la vera gioia della convivialità. Harry di Prisco

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Presentato il libro di Antonella Amodio Calici&Spicchi cento ed un modo per abbinare bene i vini alle pizze

Calici&Spicchi racconta una storia d’amore fra il vino e la pizza Questa è una storia di separati in casa: il Vino era stato relegato in una buia e polverosa cantina con la scusa che così “diventava più buono !” mentre la padrona di casa, la Pizza dal cuore rosso fuoco del pomodoro, faceva faville nella sala con i suoi colori sgargianti e cambiando di continuo abito. Capirete che in una tale situazione il tradimento con la bionda e affascinante Birra dall’animo freddo e dal gusto nordico era inevitabile! cosa doveva fare la Pizza, si mise  in coppia e il resto è storia dei nostri giorni. I giovani, orrore solo a dirsi, preferirono poi far accoppiare la Pizza alla Coca Cola per una moda che ci giunge dagli States. Fortunatamente per noi è arrivata la giornalista e scrittrice Antonella Amodio che, a seguito di una lunga e dettagliata ricerca, ha messo le cose a posto. Antonella ha trovato gli abbinamenti giusti per i due coniugi, per troppo tempo separati. «Dal mio libro si può sperimentare l’abbinamento vino-pizza conoscendo le regole fondamentali del matrimonio e diffondere la cultura degli abbinamenti – commenta Antonella – il vino storicamente è sempre stato associato alla pizza fin dall’antichità. A Pompei recentemente è stato ritrovato un affresco che raffigura un vassoio con una coppa di vino e una focaccia, l’antesignana della nostra pizza. Già nel 1975 fu fatto un esperimento di abbinamento con la pizza attraverso un vino della cantina Perrazzo di Ischia raffigurante sull’etichetta la maschera Pulcinella». Antonella Amodio  è nata e vive a Caserta, giornalista, sommelier e appassionata di cucina con un’esperienza trentennale nel settore enogastronomico. Per lungo tempo si è trasferita a Montalcino per collaborare come manager con Franco Biondi Santi. Ha curato varie guide specializzate di vino e food e cura una rubrica per Wine&Food Blog di Luciano Pignataro. Come abbiamo visto l’amante della Pizza è la Birra, per sfatare questo falso mito nei giorni scorsi è stato presentato il libro di Antonella  Amodio Calici&Spicchi  edito da Malvarosa presso il ristorante napoletano Fonderì Pizza Glamour di Via Caravaggio. L’evento è stato organizzato da La Buona Tavola Magazine, un giornale che sa e parla di buono diretto da Renato Rocco il quale, nel presentare il volume, ha evidenziato come la nostra produzione campana di vini sia stata sacrificata a vantaggio dei vini italici del nord. « Antonella Amodio ha lavorato nel settore dei vini per molti anni, chi meglio di lei poteva scrivere questo libro che coglie degli aspetti inediti citando 101 pizzaioli, la vera carica dei centouno» ha evidenziato il giornalista Rocco.  Antonella ha poi dichiarato che non è stato facile mettere insieme tante ricette, fra i vari modi di proporre gli  abbinamenti suggerisce quello cromatico, come usava fare la mamma: con una pizza rossa andrà servito un vino rosso, un metodo veloce ed efficace. Il libro è dedicato ai vini campani per smentire che il vino della nostra regione non è all’altezza di quelli delle altre regioni del nord Italia, occorre pertanto valorizzare la nostra produzione vinicola. Per Antonella l’abbinamento più difficile è stato individuare il vino adatto alla pizza con i carciofi, mentre l’abbinamento della pizza con la Nutella con i vini dolci è stato quello più divertente. Conclude Antonella «Sono cresciuta in un mondo contadino dove i miei nonni avevano a tavola sempre un bicchiere colmo di vino». Alla pizza la “La Mia Marinara” di Carmine Pellone è stato abbinato la Falanghina del Sannio Taburno della cantina La Fortezza dal profumo di cedro, albicocca e frutti della passione, che trova corrispondenza al gusto, nelle note saline e di retrogusto di agrumi. Equilibrata, ampia nell’espressione del vitigno e con un ottimo corpo. Aggiunge Valeria Avara, la sommelier dell’AIS Napoli di Fonderì Gourmet: «Questo vino si abbina perfettamente alla pizza di Pellone “La Mia Marinara”  poiché accompagna l’acidità del pomodorino giallo e la dolcezza di quello rosso creando un perfetto equilibrio, esaltando la sapidità e allungando la persistenza». La Scuola Medica Salernitana  citava “Vina bibant homines, animantia cetera fontes” in risposta alla domanda “se il vino faccia bene o male”, troppo scontata in una località come il Taburno, terra del vino il quale ha sempre accompagnato la storia umana dagli albori della coltivazione, l’uomo si è sempre posto tale domanda,  il vino, se preso con moderazione  non nuoce di certo apportando benefici  sul nostro organismo, in particolar modo al cuore e al cervello. Il libro “Calici&Spicchi” di Antonella Amodio, con la prefazione di Luciano Pignataro, verrà presentato in varie location campane, nonché al Vinitaly di Verona presso il Padiglione Campania, durante gli incontri sarà possibile ritirare una copia del volume e partecipare a degustazioni di vino e pizza, un’occasione imperdibile per sperimentare l’abbinamento. Il locale Fonderì Gourmet, aperto nel 2021, non è la solita pizzeria, ci tiene a sottolineare Maria  Rosaria Cocozza, responsabile di sala: « Già dal primo impatto si può vedere che le luci e i colori degli arredi  tendono ad un abbinamento alle portate con topping altrettanto colorati  come anche gli impasti delle farine. La tipologia del locale è quella di proporre alla nostra clientela accostamenti di sapori che possono rivelarsi “esperienze” e sorprendere quelle che sono le aspettative dando la possibilità di provare varie consistenze di impasti di pizze. Il menù è stato elaborato su questa linea – continua la Cocozza –  avendo avuto anche la collaborazione di chef esterni stellati con i quali abbiamo anche realizzato delle serate a quattro mani. Prossimamente apriremo a Mergellina un nuovo locale che si chiamerà Fonderì Experience per soddisfare i clienti che chiedono di provare più sapori con impasti diversi». E’ seguito poi un percorso degustativo di pizze con diverse tipologie di impasto, ognuna abbinata ad una diversa tipologia di vino. Questo il menù degustazione della serata. Starter con una frittatina di pasta impanata alla gricia, con crema di pecorino e guanciale, un entrée sormontato da una tartare di gamberi. L’Antipasto è stato accompagnato da un Soave classico di Pieropan del 2023, 85% di Garganica e 15% di Trebbiano

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Franco e i suoi pastori artistici di cioccolato

Nella ricorrenza dell’Immacolata il Gran Bar Franco di Napoli ha donato pastori artistici di cioccolato L’Avvento è il periodo dell’anno in cui predominano i dolci natalizi, dai panettoni ai pandoro, dagli struffoli ai roccocò e così di seguito. Pastori artistici di cioccolato non si ricordano nei tempi recenti. La curiosa e simpatica iniziativa del Gran Bar Franco  in viale Augusto a Fuorigrotta, e del suo giovane titolare Giuseppe Marzio, farà certamente discutere in famiglia, magari mentre si tirano i numeri della tombola. Nella smorfia napoletana il cioccolato è rappresentato dal n 10, agiatezza e benessere; il pastore fa 12, e indica gioia in famiglia; in ultimo il bar fa 41, e indica voglia di scappare dallo stress della vita quotidiana, questo un terno sicuro da giocare e poi …con un poco di fortuna….Nella giornata dell’Immacolata appena trascorsa, sono stati donati delle copie di pastori di cioccolato, fino ad esaurimento delle scorte, ai clienti che sono entrati in negozio, dalla mattina fino al tardo pomeriggio. I pastori di cioccolato verranno esposti tra i pastori veri nel presepe classico napoletano di San Gregorio Armeno, realizzato dal maestro Marco D’Auria, per tutto il periodo delle feste, fino all’Epifania. Questo è stato il debutto ufficiale delle Feste di Natale 2023. L’iniziativa di Giuseppe Marzio, celebra  la tradizione del presepe nel segno della golosità con i pastori di cioccolato tra quelli veri del maestro D’Auria. Le famiglie napoletane sono solite nel giorno dell’Immacolata addobbare la casa a festa per Natale, con albero, luci e presepe. L’innovazione, invece, fa spuntare quest’anno dei ghiotti pastori di cioccolato all’interno di un presepe classico napoletano, realizzato da un maestro di San Gregorio Armeno. L’idea di Giuseppe è semplice ma allo stesso tempo ricca d’amore per la tradizione delle feste: aggiungere dei pastori interamente fatti di cioccolato in un presepe anch’esso completamente lavorato artigianalmente, come si usa a Napoli. «Il presepe è un’istituzione, ed una cultura sacra, intoccabile» spiega Giuseppe. Cinque i soggetti, tra cui ovviamente Gesù Bambino e due dei tre Re Magi, oltre all’asinello, faranno capolino tra le grotte, i balconcini e le botteghe in miniatura messi a punto con dedizione e dovizia certosina di particolari dal maestro D’Auria. Nei giorni dell’allestimento, che ha preceduto l’inaugurazione, l’opera ha già attirato l’attenzione di molti clienti curiosi. Cioccolato al latte finissimo, preparato dal laboratorio del Bar Franco, che risale al 1945,  unito alla passione per il presepe, vanto e orgoglio artistico di Napoli nel mondo, che alcuni anni addietro è stato ad un passo dal riconoscimento UNESCO. L’iniziativa simbolica dell’8 dicembre vuole dare al quartiere Fuorigrotta quel tocco di magica dolcezza che durante le feste di Natale non guasta mai. Harry di Prisco

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La quinta tappa di Baccalà Village a Pignataro Maggiore

Lo chef “scellato” Antonio Peluso attende gli estimatori del baccalà in Piazza Umberto I Fino a domenica 10 sarà possibile visitare il Baccalà Village, dalle 19 alle 24, per gustare i deliziosi manicaretti a base del prelibato pesce. Una tre giorni enogastronomica nell’Alto Casertano dal sapore tipicamente natalizio per la kermesse organizzata dallo chef “scellato” (come ama autodefinirsi da tempo) Antonio Peluso, ideatore della Locanda del Baccalà di Marcianise (CE). Complice l’atmosfera con le luci e l’albero di Natale nella centralissima Piazza Umberto I, questo evento all’insegna del baccalà si propone un obiettivo preciso, come spiega Peluso: «Il baccalà è da sempre l’alimento principe delle feste natalizie, soprattutto al Sud e in versione fritta, e non può certo mancare il fritto nel nostro menu, la vera grande sfida è anticipare i tempi col debutto ufficiale delle feste natalizie nel ponte dell’Immacolata, portando il baccalà in piazza in versione street food, fuori dalla cucina di casa per una volta e dai fornelli del Natale». La manifestazione, in questo ultimo appuntamento dell’anno dedicata al pesce povero “diventato chic” è patrocinata dalla Provincia di Caserta e dal Comune di Pignataro Maggiore ed è realizzata in partnership con la pro-loco PINETARIVM della cittadina casertana. Questa quinta edizione presenta due novità: la bruschetta alla genovese di baccalà e l’inedito assoluto della pasta e fagioli con baccalà; verranno riproposti i piatti già graditi nelle precedenti tappe come: i paccheri al pomodorino, olive, capperi e baccalà; il baccalà fritto e le crocchette di baccalà insieme alla genovese di mare. Confermata anche la zuppa di baccalà e patate al cartoccio, e, ovviamente spazio ai dolci di Natale con la pastiera napoletana per dessert, oltre alla classica sfogliatella e al cioccolatino al baccalà inventato da Peluso. Per i più giovani non mancheranno le crepes come alternativa dolce alla pasticceria più tradizionale. Si potrà optare fra tre menù, il primo menù con sfizio: primo piatto, bibita, dolce e caffè; la seconda proposta con sfizio, secondo piatto, bibita, dessert e caffè; la terza opzione è il menù completo con sfizio, primo piatto, secondo, bibita, dolce e caffè. Gli auguri si faranno sotto il grande albero natalizio di Pignataro Maggiore; Sabato 9 dicembre sul palco del Baccalà Village si esibirà il comico Mino Abbacuccio, proveniente direttamente da Made in Sud, mentre domenica 10, ultimo giorno del Baccalà Village e “finale di stagione”, la  cover band dei Queen intratterrà i visitatori dando loro appuntamento al 2024 per una nuova edizione del Baccalà Village a cui Antonio Peluso sta già lavorando. Harry di Prisco

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Il formaggio PIAVE DOP espressione del territorio

Dopo il vino senza alcool avremo anche il formaggio senza latte ? E’ di questi giorni la notizia che l’Unione Europea vorrebbe annacquare il vino cosa questa che rappresenta un pesante attacco ai prodotti simboli del Made in Italy, se passasse questa impostazione si potrebbe anche aprire la strada a frodi e contraffazioni oltre che a mettere a rischio i nostri prodotti di qualità del settore agroalimentare. I prodotti che maggiormente caratterizzano il nostro Paese sono i formaggi tradizionali che hanno forti legami con il loro territorio di origine e testimoniano la storia e la cultura della comunità che li produce, con caratteristiche organolettiche uniche legate a diversi fattori di biodiversità: l’ambiente, il clima, il pascolo naturale, la razza degli animali, l’uso del latte crudo e la sua microflora naturale, la tecnologia casearia e le condizioni naturali di maturazione e invecchiamento. Il formaggio Piave DOP è espressione del territorio dove viene prodotto e porta con sé, negli oltre 30 paesi dove viene esportato, un ricco patrimonio ambientale, alimentare e culturale. La produzione del formaggio è stata tramandata di generazione in generazione nel bellunese e le sue origini risalgono alla fine del 1800 con la fondazione delle prime latterie turnarie montane d’Italia, usanza antica di mettere assieme il latte di più famiglie. Il Consorzio per la Tutela Formaggio Piave DOP (www.formaggiopiave.it) , che ha sede a Busche di Cesiomaggiore (BL), nasce nel 2010 per tutelare la DOP da abusi e contraffazioni, nonché salvaguardare la tipicità e le caratteristiche peculiari del formaggio e di promuovere la sua conoscenza. La provincia di Belluno, zona di origine di tale prodotto eccellente, rientra nel territorio delle Dolomiti italiane, patrimonio dell’UNESCO. Una montagna dura e difficile dove l’agricoltura, da tempi lontani, ha espresso una naturale vocazione    all’allevamento del bestiame da latte, date le difficoltà nel praticare le colture intensive tipiche della pianura. Un clima rigido con abbondanti precipitazioni nevose caratterizzano il territorio durante il periodo invernale, mentre le estati sono brevi e fresche, il Bellunese rappresenta, anche per il carattere della gente, il tipico ambiente alpino, orgoglioso delle proprie tradizioni tramandate nel tempo attraverso l’esperienza e la narrazione orale. È nei boschi, nei prati e nei pascoli della montagna bellunese che inizia il percorso per la produzione del formaggio Piave DOP. Spesso i prati sono frutto di interventi attuati dagli stessi allevatori per riportarli alla naturale ricchezza che l’andamento climatico riduce. Nei prati e nei pascoli si produce il particolare fieno, per l’alpeggio estivo. Infatti solo da un ambiente integro e curato nascono progetti che hanno futuro e che pensano alle nuove generazioni. Dal punto di vista alimentare il formaggio Piave rappresenta un eccellente candidato della Dieta Mediterranea, modello nutrizionale riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità ed indicato dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) come tra i più sostenibile del pianeta. Il formaggio Piave DOP viene prodotto secondo le antiche regole dell’arte casearia, oggi raccolte in un “Disciplinare di produzione”, utilizzando esclusivamente il latte vaccino prodotto in allevamenti della provincia di Belluno, la parte più settentrionale del Veneto, incuneata tra il Trentino Alto Adige a Nord Ovest e Friuli ad Est. Grazie alla lavorazione e alla qualità delle materie prime utilizzate il formaggio Piave DOP ha ottenuto nel 2010 la Denominazione d’Origine Protetta, massimo riconoscimento della Comunità Europea per un prodotto alimentare di qualità. Il futuro dei ristoranti e del ruolo degli chef, ma anche del cibo come cardine per la salute delle persone e dell’ambiente, il futuro della filiera alimentare, dell’agricoltura, della produzione, il gusto delle Dolomiti, la qualità sostenibile del Piave DOP è stato al centro di un dibattito con Chiara Brandalise, direttrice del Consorzio per la Tutela del Formaggio Piave DOP, «È per noi una prestigiosa occasione per raccontare le origini del nostro prodotto, le sue caratteristiche, la qualità che contraddistingue la nostra DOP in tutta la sua filiera e l’attenzione che riserviamo all’ambiente e all’eco sostenibilità» racconta Chiara Brandalise. La pandemia colpisce anche le degustazioni in loco, pertanto la prima edizione della  “Piave DOP Home Experience”, di Formaggio Piave DOP si è tenuta interamente in modalità digitale, a cura di “Nice To Eat-Eu”, il progetto che promuove e divulga contenuti e caratteristiche del Formaggio Piave DOP in Italia e oltreconfine. Il  progetto ha previsto anche un ricettario studiato  dai migliori chef di Vienna scaricabile dal sito ufficiale  www.nicetoeat.eu/ricette, oppure utilizzando l’apposita applicazione di realtà aumentata  “Piave DOP & Nice to Eat EU  AR”, nella sezione ricette. In 3D sarà possibile scoprire tutto sul formaggio, da come viene prodotto, i territori in cui vivono e pascolano le pregiate razze di mucche, dando ottimi suggerimenti  per la creazione di nuovi piatti adatti sia agli “chef più esperti” che ai “piccoli chef” amanti del formaggio  che vogliono avvicinarsi alla buona cucina.  Harry di Prisco

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Pera Mantovana IGP

La coltivazione della pera nel mantovano e soprattutto nella zona dell’ Oltrepò, è una pratica molto antica. Nel 1475 rappresenta la coltura più diffusa ed importante anche se esclusiva dei nobili e degli ecclesiastici. Nei giardini dei monasteri e nei broli delle corti signorili si coltivano ed incrociano varietà diverse di pera per ottenere frutti sempre più gustosi.  La produzione però viene destinata all’autoconsumo o al mercato locale a causa della difficoltà nella conservazione e nel trasporto di questo frutto. Sei varietà per identificare un frutto pregiato, coltivato fin dal Medioevo e conservato fino ad oggi grazie a sapienti innesti e incroci. Le varietà di Pera Mantovana coltivate sono sei: Abate Fetel, Conference, Decana del Comizio, Kaiser, Max Red Barlett e William. Sono tutte caratterizzate da un sapore dolce più o meno aromatico ma si distinguono per il colore e rugosità della buccia e ogni varietà ha un proprio periodo di coltivazione. La zona di produzione della Pera Mantovana IGP comprende l’intero territorio dei Comuni di Sabbioneta, Commessaggio, Viadana, Pomponesco, Dosolo, Gazzuolo, Suzzara, Borgoforte, Motteggiana, Bagnolo San Vito, Virgilio, Sustinente, Gonzaga, Pegognaga, Moglia, S.Benedetto Po, Quistello, Quingentole, S.Giacomo delle Segnate, S.Giovanni del Dosso, Schivenoglia, Pieve di Coriano, Revere, Ostiglia, Serravalle a Po, Villa Poma, Poggio Rusco, Magnacavallo, Borgofranco sul Po, Carbonara di Po, Sermide e Felonica, che delimitano un’area continua in provincia di Mantova. Dopo l’unità d’Italia e nel primo dopoguerra il necessario riassetto produttivo spinge a valorizzare le attività esistenti. La coltivazione del pero si sviluppa particolarmente grazie anche alle innovazioni tecnologiche nel settore della conservazione e dei trasporti.Il lavoro di produzione delle sei varietà di Pera Mantovana è affiancato da una importante attività di recupero e valorizzazione di varietà locali al fine di contribuire al mantenimento del patrimonio agricolo e ambientale di quelle zone.Nel 1998 la Pera Mantovana ottiene il riconoscimento europeo IGP e nasce il Consorzio Perwiva, che ne tutela e promuove la produzione.La produzione della Pera Mantovana IGP è regolata da un disciplinare di produzione approvato dalla Unione Europea e avviene secondo tecniche tradizionali della zona. Nell’Antichità e nel Medioevo si preferiva consumarla dopo la cottura. I broli sono piccoli appezzamenti delle corti signorili dove venivano coltivati gli alberi da frutto. La Pera Mantovana ha proprietà diuretiche, depurative, regolatrici intestinali ed è possibile consumarne anche un quantitativo elevato senza introdurre troppe calorie. La pera si conserva a basse temperature, mentre per gustarla in tutta la sua fragranza è consigliabile tenerla 4/5 giorni a temperatura ambiente prima del consumo.Tutte le varietà di Pera Mantovana hanno una polpa dolce, succosa e aromatica. Come tutta la frutta la Pera Mantovana può essere consumata fresca o cotta. Può essere utilizzata per la preparazione di dolci, macedonie e pietanze. L’uso tradizionale che ne facevano i contadini era di consumarla abbinata ai formaggi: Provolone, Parmigiano Reggiano e Pecorino.

I Tipici, Ricette, Veneto

Bollito e pearà

Il bollito di manzo, di gallina, di lingua di bovino e di testina di vitello con il cotechino lessato accompagnati dalla Pearà sono gli ingredienti indispensabili per il piatto principale del pranzo della domenica nella tradizione delle famiglie veronesi. La pearà è una leccornia nata dall’inventiva delle nostre nonne che utilizzando alimenti come il pane raffermo ed il midollo di bue, altrimenti destinati allo scarto, accompagna i bolliti esaltandone il sapore ed il gusto. Per il bollito:1 kg di manzo, 1 gallina ruspante,1/2 kg di testina di vitello1 cotechino,1/2 kg di lingua salmistrata,1 carota,1 cipolla1 sedano,sale q.bFate bollite la gallina e il manzo assieme alla carota, alla cipolla e al sedano fino a perfetta cottura delle carni. A parte preparate il cotechino, la testina di vitello e la lingua. Fateli bollire in acqua separatamente facendo attenzione di mantenere intatto il budello del cotechino e ricordatevi cambiare almeno una volta durante la cottura l’acqua della lingua. INGREDIENTI PER LA PEARA’50 g di burro150 g di pane raffermo grattugiato100 g di Monte Veronese stravecchio grattugiato60 g di midollo di bue1 litro di brodosale q.b.pepe macinato frescoSciogliete in coccio di terracotta il burro e il midollo di bue; aggiungete il pane raffermo grattugiato e mescolate con un mescolo di legno in modo che il pane assorba il condimento. Continuando a mescolare aggiungete il brodo bollente e lasciate a cuocere per due ore a fuoco molto lento. A fine cottura aggiustate di sale e aggiungete una spolverata di pepe nero macinato al momento.La salsa pearà deve risultare cremosa, quindi regolatevi aggiungendo, a seconda del caso, un po’ di brodo o di pane grattugiato.

I Tipici, Ricette, Tradizioni, Umbria

Torta di Pasqua a Perugia

Si tratta di una torta salata, tipica delle feste pasquali, che a Perugia viene chiamata torta di Pasqua, di forma assai simile al ben più famoso panettone natalizio meneghino. Viene preparata con grande impegno, di spesa e di tempo, il Giovedì o il Venerdì Santo, e la tradizione vuole che, essendo questi giorni di digiuno e di astinenza, non si dovrebbe assaggiare finché non si “sciolgano le campane”, a conclusione cioé del periodo di penitenza. La buona riuscita della torta di Pasqua ha messo sempre in gioco la reputazione di ogni massaia. Ciascuna casa era un tempo pervasa dai preparativi: nella notte cominciava il lavoro che durava quasi l’intera giornata. La preparazione è la seguente: alla pasta del pane si aggiunge il lievito di birra, che raddoppia il volume dell’impasto, quindi farina, uova sbattute, olio extravergine di oliva, strutto, pecorino stagionato di Norcia grattugiato, pecorino fresco a tocchetti, sale e pepe. Data la grande quantità, è questa una delle poche ricette che vede impegnato l’uomo della famiglia, coinvolto per lavorare l’impasto tanto a lungo, finché risulta liscio e lucido. A questo punto, si pongono le forme a lievitare in stampi di coccio a tronco di cono. Ultimata questa delicatissima operazione, si passa alla cottura nel forno a legna.Dopo circa tre ore, si sfornano torte di un bel colore ambrato, pronte a troneggiare sulle tavole il giorno di Pasqua, insieme con il capocollo, le uova sode ed un bel cosciotto d’agnello. Richiamando gli antichi riti pagani della Fertilità e dell’Abbondanza e quelli cristiani del Giovedì Santo, la torta di Pasqua viene portata in chiesa, per essere benedetta insieme a tutti i cibi da consumarsi il giorno di Pasqua. Oggi la torta può essere acquistata tutto l’anno, anche in confezioni sottovuoto, in ogni punto di vendita alimentare e, pur mantenendo la sua forma originale, ne ha acquistato delle altre, come quella rettangolare del pan-carré, oppure bassa come una schiacciata, oppure lunga e affusolata come un grande grissino. La si può trovare anche già farcita e fatta a spicchi, con salame, prosciutto, tonno e maionese e tanti altri ingredienti. Per conferirle un sapore meno forte, nella ricetta è stato introdotto il burro al posto dell’olio ed il pecorino è stato sostituito dal parmigiano. www.comune.perugia.it

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