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Venga a prendere un caffè da noi …. è Gratis !

Il 7 e l’8 maggio a Castel Nuovo di Napoli si terrà l’evento dedicato al caffè dal titolo: Nu bbèllu ccafè Le giornate cittadine del caffè napoletano Si può dare un valore all’Amicizia, all’Amore alle Emozioni …..? certo che no, sono sentimenti puri che non possono essere pagati ! Allora perché si dovrebbe pagare il caffè che per noi napoletani veraci è un misto di tradizione e ricordi che vengono mescolati nella “tazzulella”?  Un antico bar di via Giulio Cesare a Fuorigrotta, il bar De Bono,  ha esposto un cartello con questa scritta “Offerta del giorno: caffè, bicchiere d’acqua, zucchero, tovaglioli, cucchiaino e piattino, chiacchierata con supporto psichiatrico e appoggio morale, coccole al nostro Duca (cagnolino), bagno, info sul tempo, info sulle fermate dell’autobus:  A solo Euro 1,10: Non vendiamo caffè, vendiamo emozioni !”. Proprio per celebrare in nostro amico che ci sostiene in tutti i momenti della giornata, martedì 7 e mercoledì 8 maggio, nel  Castel Nuovo di Napoli si terrà l’evento dedicato al caffè dal titolo: Nu bbèllu ccafè. La manifestazione è patrocinata dal Comune di Napoli ed è promossa e sostenuta dall’Assessorato al Turismo e alle Attività Produttive. La Giunta Comunale ha approvato una delibera per l’istituzione della giornata cittadina dedicata alla cultura del Caffè napoletano, delle sue usanze e delle sue storie, anche al fine di tutelare l’identità culturale della Città di Napoli e di valorizzare le sue tradizioni.  Negli anni è diventato un’attrattiva anche per i turisti che stanno arrivando sempre più numerosi, i quali  accanto al gusto intendono conoscere la storia e le origini del caffè. La caffettiera napoletana, conosciuta  anche come Cuccumella,  è stata inventata da un francese, nel 1771 Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, moglie di Ferdinando di Borbone, introdusse a Napoli il caffè. Si racconta che in occasione di un ballo tenuto nella Reggia di Caserta fece servire agli invitati la bevanda scura. Martedì 7 e mercoledì 8 maggio si prevede una grande affluenza di pubblico che potrà accedere gratuitamente negli ampi spazi del Maschio Angioino che  vedrà la partecipazione di esperti del caffè, importanti torrefattori italiani, titolari di prestigiose caffetterie cittadine, maestri dell’espresso, personalità del mondo intellettuale e si candida ad essere uno straordinario attrattore di interesse turistico. Per tutta la durata dell’evento Nu bbellu ccafè  sarà offerto gratuitamente il caffè a tutti i visitatori che potranno assaggiare il caffè in molteplici versioni, nonché prepararlo di persona con la macchina a leva, guidati da baristi professionisti, e partecipare a piccoli corsi sui segreti del vero caffè napoletano. Un palco, posto nel cortile principale del castello, sarà caratterizzato da momenti di salotto culturale, interviste, iniziative sociali, presentazioni di libri, momenti d’arte e spettacolo e di confronto con gli spettatori. L’evento intende rafforzare anche la candidatura del “Rito del caffè napoletano e italiano” come Patrimonio Immateriale dell’Umanità  dell’UNESCO. Non esiste il caffè più buono poiché dipende dai gusti individuali, il convegno si pone fra gli altri scopi quello di aiutare a scegliere la propria miscela o il monorigine ideale tra le migliaia di referenze presenti sul mercato.  Il  “Manifesto del Caffè”, presentato tempo addietro, contiene principi etici e morali a cui il mondo del caffè socialmente responsabile dovrebbe tendere.  Il caffè non è una bevanda, ma una vera e propria cultura, un rito tutto napoletano che ha tradizioni di vita, ricordiamo il caffe sospeso, evoca il senso dell’ospitalità, solidarietà e convivialità; si ordina un caffè ma se ne pagano due, il barista offrirà il caffè già pagato ad un successivo cliente, non è un atto di carità, ma piuttosto come l’intenzione di condividere un piacere. Il valore identitario della cultura del caffè è per i napoletani la massima espressione della napoletanità. Harry di Prisco Eduardo de Filippo – scena del caffè

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Pizzaioli si nasce o si diventa ?

La figura del Pizzaiolo sarà al centro del convegno “Formare per crescere” che si terrà lunedì 22 prossimo presso il Parco Archeologico di Pompei con l’obiettivo di sostenere l’importanza di un riconoscimento ufficiale della figura del pizzaiolo all’interno dei programmi didattici degli Istituti Alberghieri Se si ha la fortuna di nascere in una famiglia che pratica l’arte bianca da generazioni e – ovviamente – si è portati, pizzaioli si diventa essendoci nato. Se poi un giovane è attratto dal mondo che ruota intorno alla tonda pizza, avrà da superare non poche difficoltà per imparare il mestiere a seguito di una lunga gavetta dove solo pochi emergono. Sembra facile fare una buona pizza ma non tutti sanno che occorre un bagaglio di conoscenze per studiare gli impasti, le lievitazioni gli ingredienti adatti per i topping e così di seguito. Proprio per dare una risposta a queste esigenze lunedì 22 aprile presso il Parco Archeologico di Pompei si terrà un convegno sull’importanza di un riconoscimento ufficiale della figura del pizzaiolo all’interno di programmi didattici degli Istituti Alberghieri, in tale occasione  verrà presentato il “Manuale di Formazione del Pizzaiolo”, curato da Vincenzo Iannucci, ambassador pizzaiolo di punta di Molini Pivetti, azienda della provincia di Ferrara leader a livello nazionale nel campo delle farine professionali, che insieme a Iannucci Academy – Pizzaioli in Luce ha promosso il convegno dal titolo “Formare per crescere”. Nel corso dell’evento verranno illustrati i dettagli del protocollo d’intesa siglato tra le città di Ferrara e quella di Pompei per la valorizzazione della figura del “Pizzaiuolo Napoletano” sottoscritto a Pompei lo scorso 27 febbraio, un’operazione che ha innanzitutto lo scopo di sensibilizzare opinione pubblica, istituzioni politiche a livello locale e nazionale, media e associazioni di categoria, sulla necessità di inserire tra le attività didattiche e culturali degli Istituti Alberghieri d’Italia percorsi di studio scolastici dedicati alla figura del pizzaiolo, in un’ottica di sviluppo occupazionale per le giovani generazioni. La figura del pizzaiolo necessita di essere valorizzata ed inserita nel quadro della formazione scolastica alberghiera, rendendola un indirizzo di studi specifico corrispondente ad una precisa scelta di vita e di evoluzione professionale. Hanno assicurato la loro partecipazione all’evento: il sindaco di Pompei, Carmine Lo Sapio; quello di Ferrara, Alan Fabbri; Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli; l’A.D. di Molini Pivetti Gianluca Pivetti,  Vincenzo Iannucci, ambassador pizzaiolo di punta di Molini Pivetti; Massimo Urbinati, dirigente scolastico dell’Istituto “Vergani – Navarra” di Ferrara, nonché delegato regionale per l’Emilia-Romagna nel direttivo della Rete Nazionale Istituti Alberghieri e Carmine Coppola, direttore del reparto di Medicina Interna, Epatologia ed Ecografia Interventistica dell’Ospedale di Gragnano. «Come azienda Molini Pivetti – spiega l’A.D. Gianluca Pivetti – io e la mia famiglia siamo fieri di essere promotori di questo convegno e possiamo confermare il nostro impegno nel sostenere e valorizzare questo ultimo anello della nostra filiera, come abbiamo già fatto per il nostro primo anello, l’agricoltore. Ci tengo a sottolineare che per noi la Pizza esprimerà il suo completo valore solo quando sarà riconosciuto il giusto valore anche all’artigiano Pizzaiolo, portando questa arte fra i banchi di scuola». Aggiunge il sindaco Carmine Lo Sapio: «Pompei è Patrimonio dell’Umanità e l’umanità deve beneficiare dell’indotto turistico. Questo è il mio ‘credo’ che mi porta ad aprire i confini verso i comuni limitrofi, e non solo. Il protocollo siglato con il collega di Ferrara, firmato non a caso, nella città che, secondo la storia, è la patria della pizza, va a costruire un processo che si apre al territorio e che coinvolge i giovani dei nostri territori». Dunque il messaggio che parte da Pompei, patrimonio Unesco, è in linea con le motivazioni che hanno spinto l’Unesco ad inserire l’Arte del pizzaiuolo napoletano come patrimonio immateriale dell’umanità, trasmesso di generazione in generazione e continuamente ricreato. Anche il sindaco Manfredi ritiene che: «La figura del pizzaiolo nella tradizione gastronomica napoletana ha un ruolo di grande rilevanza per manualità, creatività e senso di comunità». Occorre quindi che l’accesso alla professione, tramite percorsi formativi di settore «sia  un’ottima opportunità per i più giovani e un modo per sostenere un comparto centrale per i nostri territori» conclude il sindaco di Napoli. Tra gli obiettivi che il Comune di Pompei, il Comune di Ferrara e Molini Pivetti si sono prefissi figurano: l’attivazione di specifiche collaborazioni con gli istituti alberghieri delle due città; la promozione di percorsi scolastici e formativi sui temi dell’Identità tra Passato e Futuro; nonché l’organizzazione di iniziative di comunicazione e sensibilizzazione sul valore culturale e professionale della figura del Pizzaiuolo napoletano, anche in un’ottica di sviluppo occupazionale per le giovani generazioni. La valorizzazione del Pizzaiolo, uno dei simboli del Made in Italy nel mondo, è particolarmente sentita in quanto nell’elenco delle categorie previste dal DDL S. 1010 (definito Legge Massari) approvato dal Senato nella giornata di mercoledì 10 aprile, concernente l’istituzione del premio “Maestro dell’arte della Cucina Italiana”, manca  proprio quello di “Maestro dell’arte della pizza”. Harry di Prisco

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Gnòc a la mulinèra

Fra le nebbie del fiume Po hanno preso le mosse svariati racconti e curiosi aneddoti, che più di qualcuno rammenta ancor oggi con un pizzico di fervida nostalgia. Erano tempi in cui nel paesaggio fluviale esistevano mulini e miseria. Nel 1873 solo nella zona del ferrarese c’erano ben 173 impianti natanti. I “molinari” trascorrevano le loro giornate nei mulini per custodirli e per lavorare i preziosi cereali raccolti di casa in casa, e che poi trasportavano alle macine in sacchi robusti e capaci. Farina e acqua erano i loro “ingredienti” quotidiani.Nella bassa cremonese viveva Teresa, figlia di un “molinaro”. Teresa gestiva un’osteria e ai commensali proponeva spesso un piatto che il padre cucinava per la propria famiglia, va da sé utilizzando gli ingredienti disponibili: farina e acqua! Per gli gnocchi – in quegli anni – utilizzare le patate era assolutamente fuori discussione. Si trattava di un autentico lusso, e casomai il prezioso tubero era usato assieme al condimento degli gnocchi, naturalmente in compagnia dei fagioli e del pomodoro. Per imbastire questa leccornia è sufficiente un po’ di farina e una pentola d’acqua bollente:ed ecco gli “gnocchi a la mulinèra”. La farina di grano tenero, impastata con acqua portata all’ebollizione (impastare con una forchetta, così da non scottarsi le mani), forma un composto consistente ed elastico, grazie all’azione del reticolo glutineo che l’acqua calda innesca con la farina. Una volta ottenuto l’impasto sarà diviso in rotolini lunghi e spessi che successivamente saranno “sezionati” in piccoli pezzetti di 3-4 cm (al max) di lunghezza. La caratteristica principale sta, soprattutto, nella trasformazione dei tocchi d’impasto in gnocchi, strisciando sulla spianatoia la pasta con tre dita e realizzando così la forma di una sottile barchetta arrotolata su se stessa. Segue una veloce sbollentata in acqua poco salata e, una volta scolati, vengono uniti in più strati al tradizionale condimento: la patata lessa schiacciata nella passata di pomodoro in compagnia dei fagioli borlotti. Con la loro forma singolare “catturano” in modo esemplare il condimento sopra descritto. Un territorio puo’ essere raccontato in molti modi, anche attraverso un piatto e gli ingredienti rivelano il passato di gente comune e di una terra ricca di storie come questa Teresa, raccontando la sua storia, prepara questi gnocchi

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Pappafuocchie

Una pasta fatta in casa con acqua e farina che viene tagliata a mano in maniera irregolare. Il piatto unico esalta il gusto della tradizione contadina con il prodotto tipico locale: il Fagiolo Bianco Cannellino di Atina, prodotto di origine protetta DOP dosi per 12 persone½ Kg. di fagioli cannellini di AtinaLardo  di nero gr. 501 Sedano,1 Carota,1 Cipolla,Aglio,Olio,Sale,PeperoncinoPasta fatta in casa di sola acqua e farina kg. 1,00 Prezzemolo Prima di tutto mettere a cuocere i cannellini con abbondante acqua fredda in una pentola con sedano, carota e cipolla, meglio se la pentola è di ampio diametro.Preparare a parte un battuto di lardo di Nero, aglio e peperoncino. Soffriggere il battuto nell’olio, sempre in una padella capiente,  stando attenti a non bruciarlo.Cuocere per cinque minuti la pasta fatta a mano, composta con sola acqua e farina.Versare nella padella del soffritto i fagioli a cottura ultimata e iniziare ad insaporire insieme al battuto addizionando abbondante prezzemolo.Infine unire la pasta con un po’ di acqua di cottura dei fagioli e lasciare assorbire per altri 2 minuti.Far riposare nella ciotola di coccio prima di servire perché la pietanza deve presentarsi piuttosto asciutta. www.lecannardizie.it

Ricette, Tradizioni

Gnocchi di zucca

Da cibo povero e abituale sulle tavole dei nostri nonni a ingrediente di prelibate ricette, la zucca è un alimento di spicco nella tradizione culinaria mantovana ed è elemento di base per la preparazione di Gnocchi di zucca e tortelli.  Di forma rotondeggiante, gli Gnocchi di zucca sono preparati con zucche dalla polpa farinosa, mentre quelle un po’ più acquose sono ideali per la preparazione di minestre e risotti. Si narra che già nel XVII secolo il cuoco del Duca di Mantova, tale Bartolomeo Stefani, di origini bolognesi, preparasse questi squisiti gnocchi con la zucca gialla del luogo, polposa e senza filamenti. Pare, però, che gli gnocchi fossero conosciuti in tutto il territorio molto prima e che nei giorni di festa venissero offerti anche ai pellegrini giunti nelle abbazie e nei monasteri. Ingredienti1 kg zucca -300 grammi di farina tipo 00-1 uovo-50 grammi di burrosale e pepe q.b.-qualche foglia di salvia PreparazioneLessate la polpa della zucca, in precedenza tagliata a dadini, in acqua salata e dopo averla scolata, lasciatela intiepidire in un setaccio, affinché perda l’acqua in eccesso.Passatela poi al setaccio in un terrina. Una volta raffreddata, aggiungete la farina, l’uovo, il sale e mescolate, amalgamando bene gli ingredienti. Formate gli gnocchi con le mani o con un cucchiaio e lessateli in abbondante acqua salata. Non appena vengono a galla, estraeteli con un mestolo e condite con burro fuso, salvia e abbondante parmigiano. In alternativa, è possibile condire con un delicato sugo di pomodoro che contrasta il dolce della zucca, esaltandone il sapore.I piatti tipici della cucina mantovana, salvo rare eccezioni, sono rimasti confinati nel territorio d’origine. Infatti, tra le mille trattorie che ovunque offrono cucine tipiche regionali, o anche locali, pochissime propongono la cucina mantovana, e questo ha contribuito alla scarsa diffusione presso i buongustai delle prelibatezze mantovane.

I Tipici, Ricette, Veneto

Bollito e pearà

Il bollito di manzo, di gallina, di lingua di bovino e di testina di vitello con il cotechino lessato accompagnati dalla Pearà sono gli ingredienti indispensabili per il piatto principale del pranzo della domenica nella tradizione delle famiglie veronesi. La pearà è una leccornia nata dall’inventiva delle nostre nonne che utilizzando alimenti come il pane raffermo ed il midollo di bue, altrimenti destinati allo scarto, accompagna i bolliti esaltandone il sapore ed il gusto. Per il bollito:1 kg di manzo, 1 gallina ruspante,1/2 kg di testina di vitello1 cotechino,1/2 kg di lingua salmistrata,1 carota,1 cipolla1 sedano,sale q.bFate bollite la gallina e il manzo assieme alla carota, alla cipolla e al sedano fino a perfetta cottura delle carni. A parte preparate il cotechino, la testina di vitello e la lingua. Fateli bollire in acqua separatamente facendo attenzione di mantenere intatto il budello del cotechino e ricordatevi cambiare almeno una volta durante la cottura l’acqua della lingua. INGREDIENTI PER LA PEARA’50 g di burro150 g di pane raffermo grattugiato100 g di Monte Veronese stravecchio grattugiato60 g di midollo di bue1 litro di brodosale q.b.pepe macinato frescoSciogliete in coccio di terracotta il burro e il midollo di bue; aggiungete il pane raffermo grattugiato e mescolate con un mescolo di legno in modo che il pane assorba il condimento. Continuando a mescolare aggiungete il brodo bollente e lasciate a cuocere per due ore a fuoco molto lento. A fine cottura aggiustate di sale e aggiungete una spolverata di pepe nero macinato al momento.La salsa pearà deve risultare cremosa, quindi regolatevi aggiungendo, a seconda del caso, un po’ di brodo o di pane grattugiato.

I Tipici, Ricette, Tradizioni, Umbria

Torta di Pasqua a Perugia

Si tratta di una torta salata, tipica delle feste pasquali, che a Perugia viene chiamata torta di Pasqua, di forma assai simile al ben più famoso panettone natalizio meneghino. Viene preparata con grande impegno, di spesa e di tempo, il Giovedì o il Venerdì Santo, e la tradizione vuole che, essendo questi giorni di digiuno e di astinenza, non si dovrebbe assaggiare finché non si “sciolgano le campane”, a conclusione cioé del periodo di penitenza. La buona riuscita della torta di Pasqua ha messo sempre in gioco la reputazione di ogni massaia. Ciascuna casa era un tempo pervasa dai preparativi: nella notte cominciava il lavoro che durava quasi l’intera giornata. La preparazione è la seguente: alla pasta del pane si aggiunge il lievito di birra, che raddoppia il volume dell’impasto, quindi farina, uova sbattute, olio extravergine di oliva, strutto, pecorino stagionato di Norcia grattugiato, pecorino fresco a tocchetti, sale e pepe. Data la grande quantità, è questa una delle poche ricette che vede impegnato l’uomo della famiglia, coinvolto per lavorare l’impasto tanto a lungo, finché risulta liscio e lucido. A questo punto, si pongono le forme a lievitare in stampi di coccio a tronco di cono. Ultimata questa delicatissima operazione, si passa alla cottura nel forno a legna.Dopo circa tre ore, si sfornano torte di un bel colore ambrato, pronte a troneggiare sulle tavole il giorno di Pasqua, insieme con il capocollo, le uova sode ed un bel cosciotto d’agnello. Richiamando gli antichi riti pagani della Fertilità e dell’Abbondanza e quelli cristiani del Giovedì Santo, la torta di Pasqua viene portata in chiesa, per essere benedetta insieme a tutti i cibi da consumarsi il giorno di Pasqua. Oggi la torta può essere acquistata tutto l’anno, anche in confezioni sottovuoto, in ogni punto di vendita alimentare e, pur mantenendo la sua forma originale, ne ha acquistato delle altre, come quella rettangolare del pan-carré, oppure bassa come una schiacciata, oppure lunga e affusolata come un grande grissino. La si può trovare anche già farcita e fatta a spicchi, con salame, prosciutto, tonno e maionese e tanti altri ingredienti. Per conferirle un sapore meno forte, nella ricetta è stato introdotto il burro al posto dell’olio ed il pecorino è stato sostituito dal parmigiano. www.comune.perugia.it

Ricette, Tradizioni

Crafus

Per i CRAFUS si utilizza il fegato del maiale macinato e avvolto nel mesentere. Il prodotto si presenta sotto forma di una piccola polpetta. Da qualche anno la riscoperta e la divulgazione di questo povero piatto della tradizione, proveniente da Buja e Artegna, avviene grazie all’Ecomuseo delle Acque del Gemonese in collaborazione con le Lady Chef dell’Unione Cuochi FVG nell’ambito del Progetto “Pan di Sorc” Ingredienti per 6 persone 500 gr di fegato di maiale, 80 gr di rete di maiale, mezzo cucchiaio di burro, 120 gr di “ Pan di Sorc “ ( pane di frumento, segale e mais cinquantino) raffermo, 10 gr di uva sultanina, buccia gialla di limone e arancia, 1 mela renetta, 2 piccole cipolle bianche, mezzo bicchiere di vino bianco secco, 1 pizzico di cannella e una grattata di noce moscata, pepe, sale 8 cucchiai di polenta gialla morbida Preparazione: Macinare il fegato attraverso il disco medio e mettere in una bacinella, grattugiare il pane e aggiungere metà nel fegato, macinare l’uvetta ammollata e strizzata, la scorza grattugiata di limone e arancia, la mela e la cipolla, unire le spezie il sale, e quindi mescolare molto bene e lasciare riposare in frigorifero per almeno 1 ora. Lavare con acqua e aceto la rete del maiale, asciugarla e allargare su un tavolo da lavoro, tagliare a quadri e dividere la preparazione in tante polpettine ( 2 a persona ), passarle nel resto del pane grattugiato, appoggiarle sulla rete e avvolgerle. Metterle in frigorifero per qualche ora, poi farle rosolare da ambo i lati bagnare con il vino bianco e far evaporare. Coprire per pochi minuti.Mettere 2 cucchiaiate di polenta sui piatti e appoggiare 2 crafus, irrorare con il sughetto formato e servire ben caldo Germano Pontoni Maestro di Cucina

Ricette, Tradizioni

Curruxionis de casu

Uno dei piatti tradizionali più importanti, espressione di una cultura antica e di un territorio aspro ed affascinante. Rappresenta la cucina dei contadini e dei pastori, e benché sia considerato di natura “povera”, è estremamente ricco per fragranza, genuinità e sapore. Il piatto proposto è tipico del nostro paese,Gonnesa,paese di 5600 abitanti in provincia di Carbonia-Iglesias, ricco di storia millenaria, ne sono testimoni i vari nuraghi sparsi sul territorio, il più maestoso riaperto da un anno al pubblico”NURAGHE SERUCI,e le varie DOMUS DE JANAS. Il lungo litorale (4 km di spiagge) a circa 3 km dal paese.Paese a vocazione, in passato,agricola-pastorale. Il piatto proposto era preparato in occasione delle feste, sia Natale che Pasqua. La nostra Associazione ossia la proloco, ha da anni dedicato al piatto una sagra che si svolge durante l’estate Gonnesina. Si preparano per l’occasione circa 7500 ravioli ,tutti rigorosamente fatti uno per uno,dalle socie e in primis dal vicepresidente che li cucinerà il giorno della sagra,che ogni anno cade nel mese di agosto.Ingredienti:farina kg 1,200,bietole un mazzo abbondante lessate, ricotta di pecora kg 1,zafferano locale gr 2,uova 3 per la pasta,2 per il ripieno, sale qb,saporita i bustina ,noce moscata una bella grattata. per la sfoglia: impastare la farina con le uova intere e il sale,lasciare riposare per circa 10/20 minuti il tempo di preparare il ripieno. ripieno : mettere la ricotta in una terrina, strizzate le bietole lessate dell’acqua di cottura,sminuzzate, aggiungete alla ricotta,aggiungere le uova intere,lo zafferano ,la saporita e la noce moscata il sale qb e impastate fino ad ottenere il ripieno,assaggiate per poi aggiustare di sale e/o aggiungere a vostro gradimento le spezie. Descrizione:preparate la sfoglia,nella macchina per la pasta al n3,mettere un pò di ripieno e fare il classico raviolo. Preparare il sugo di pomodori maturi con l’aggiunta di tanto basilico,condire i ravioli e spolverare di pecorino. sardo ProLoco di Gonnesa

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