Ricette

Ricette, Tradizioni

Bruscitt

Bruscitt ovvero bruscolini, poichè la carne viene sminuzzata dul tagliere con il trinciante in modo da ottenere pezzetti della grandezza di un fagiolo. E’ un piatto tipico di Busto Arsizio menzionato nella Guida Gastronomica d’Italia nel 1931 La preparazione tradizionale prevedeva l’uso dello stuin di terracotta, con il coperchio ermeticamente sigillato da un foglio di carta da macellaio e bloccato da due pesi sovrapposti, per trattenere i liquidi e non fare asciugare la carne più del dovuto. La cottura a calore moderatissimo (ideale quello della brace del camino) si prolunga anche per tre ore e più. Per assicurare tenerezza ai bruscitt è necessario che i pezzettini di carne siano sempre intrisi di condimento ed è perciò consigliabile aggiungere al burro e alle striscioline di pancetta anche dei pezzettini di lardo. Ingtrdienti:g. 200 di carne di manzog. 20 di cipollag. 10 di caroteg. 10 di sedanoburro di centralealloro fresco, aglio un spicchio,vino corposo 50 mlbrodo di carne qb,Farina di polenta,Sale Descrizione:Tagliare a coltello fine la carne , tagliare fine le verdure e saltare la carne , unire i profumi freschi , aglio e sfumare con il vino , cuocere adagio se si dovesse asciugare troppo la carne unire del brodo . Tempo medio di cottura 40 min .Bollire l’acqua , salare e sfarinare la polenta , girare x circa 40 min aggiustare a piacere di sale e servire

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Borlengo

Il borlengo è una specie di crêpe molto sottile e croccante preparata a partire da un impasto liquido estremamente semplice (è un tipico cibo povero), a base di acqua, farina e sale: questo impasto è detto colla. Il ripieno tradizionale, detto cunza, consiste in un battuto di lardo, aglio e rosmarino, oltre ad una spolverata di Parmigiano Reggiano. I borlenghi sono un antipasto da mangiare rigorosamente caldo. Quello che oggi viene considerato un antipasto, una volta costituiva un vero e proprio pasto. I borlenghi nascono dalla cucina povera del modenese e sono considerati una delle specialità della cucina dell’Emilia Romagna. Ingredienti 300 gr. di farina bianca cotenna di maiale 100 gr. di lardo 1 spicchio d’aglio rosmarino parmigiano grattugiato sale PreparazioneIn una ciotola preparate una pastella piuttosto liquida con la farina, aggiungendo l’acqua piano piano ed un pizzico di sale. Una volta pronta la pastella preparate il ripieno tritando uno spicchio d’aglio con un rametto o due di rosmarino, aggiungete un pizzico di sale e mischiate il vostro trito al lardo. Preparate ora i borlenghi in una padella bassa, meglio se antiaderente, scaldandola bene a fiamma vivace. Prima di colarvi la pastella date una strofinata alla pentola con la cotenna del maiale, di modo che risulti leggermente unta. A questo punto potrete servirvi di un mestolo per versare la pastella facendo attenzione a farla roteare sulla superficie della padella e cercando di ottenere un disco molto sottile, fate cuocere e girate aiutandovi con un coltello dalla punta arrotondata o una spatola, quindi spalmatevi il trito, aggiungete una spolverata di parmigiano e servite.

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Schiaccia ‘briaca

La schiaccia ‘briaca (ubriaca, dall’uso di vino nell’impasto e dalle striature rosse in superficie) è un dolce natalizio poco lievitato tipico dell’Isola d’Elba, dove fu portato dai Saraceni che la invasero più volte nel corso dei secoli. La schiaccia infatti, che raccoglie ingredienti tipici della cucina medio-orientale come l’uvetta e i pinoli, in origine non prevedeva l’utilizzo del vino proprio per rispettare i precetti musulmani. L’alchèrmes è un liquore rosso di spezie e cannella di origine araba, molto conosciuto anche a Firenze. L’Aleatico di Portoferraio fu aggiunto nell’800, così le noci, non prodotte nell’isola e quindi assai costose. La versione ottocentesca prevedeva, inoltre, l’impiego del miele isolano al posto del raro e costosissimo zucchero. Il dolce che ne risultava, senza lievito né uova, si poteva conservare a lungo ed era quindi ideale sia per i marinai che per i minatori elbani.  Ingredienti:   300 gr di farina, 120 gr di zucchero, 50 gr di gherigli di noci, 50 gr di uvetta, 50 gr di pinoli, 50 gr di mandorle, 50 ml di olio evo, 1 bicchierino di alchèrmes, 1 bicchiere di Aleatico Preparazione:  Impastate la farina con olio, zucchero e frutta secca, amalgamando bene il tutto con il vino e una parte dell’alchèrmes. Pressate bene il composto in una tortiera foderata con carta forno e cuocetelo in forno a 180°C per 45 minuti. A circa tre quarti di cottura spolverate la schiaccia con zucchero semolato, bagnarla con il resto dell’Alchèrmes e infornarla nuovamente per terminare la cottura.

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Vignarola

Una delle minestre recentemente riscoperte è la vignarola, un‘esaltazione della primavera dove non può mancare il carciofo romanesco. Di questo piatto, che esprime la vera tradizione laziale a tavola, manca purtroppo una documentazione storica e la ricetta è arrivata fino a noi tramandata dalla memoria dei nonni e degli osti romaneschi. Così come per la bazzoffia, simile per preparazione e ingredienti, paesi e famiglie se ne contendono la supremazia ritenendosi depositari della versione più autentica. L’etimologia del nome potrebbe essere legata al nome attribuito agli ortolani (“vignarolo”) oppure al fatto che veniva consumata dopo le fatiche nell’orto, ma senza dubbio è imparentata con le zuppe gustate già ai tempi di Orazio e Catone.  Ingredienti (per 4 persone): 200 gr di guanciale (o pancetta), gr 300 di piselli sgranati, gr 300 di fave sgranate, 6 carciofi tagliati a spicchi non troppo grossi, 1 piccola cipolla o cipollotto, 2 cuori di lattuga, mentuccia (facoltativa), crostini di pane, olio evo, sale grosso, pepe in grani.  Preparazione: Tagliate a fettine sottili la cipolla, fatela dorare con un poco d’olio e il guanciale, unite i legumi e le verdure. Bagnate il tutto con circa un litro d’acqua, salate, pepate e cucinate coperto fino a raggiungere la densità desiderata (meglio se le verdure restano abbastanza intere). Unite la mentuccia e servite con crostini di pane raffermo, rosolati nell’olio o tostati in forno.

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Sciatt

Letteralmente sciatt in dialetto valtellinese vuol dire rospo. Il nome deriva dalla gobba creata dal ripieno, che li rende somiglianti a sciatt, cioè a rospi. Altri, pur riferendo il termine alla forma irregolare delle frittelle, lo vogliono sincope dialettale di sciadatto = già adatto, cioè senza forma, vicino all’italiano sciatto. Gli sciatt sono però delle frittelline croccanti di forma tondeggiante con cuore di formaggio fuso, solitamente servite su letto di cicoria. Originariamente, gli sciatt erano tipici del solo paese di Teglio, ma vengono oggi considerati una specialità dell’intera valle. Una miscela di farina di grano saraceno e farina bianca viene impastata utilizzando birra, fino ad ottenere un composto non troppo liquido, al quale andranno uniti il formaggio Casera tagliato a dadini, il pane grattugiato, un pizzico di lievito e la grappa Ingredienti (per 4 persone):– farina di grano saraceno gr. 200– farina bianca gr. 100– formaggio Valtellina Casera gr. 250– grappa 1 bicchierino– acqua minerale gassata q.b.– olio per friggere– sale. Preparazione:miscelare in una ciotola le farine, la grappa e il sale, aggiungendo acqua minerale, fino ad ottenere un impasto non troppo morbido. Tagliare il formaggio “Casera” a cubetti (di circa 2 cm di lato) ed immergerli nella pastella. Raccogliere con un cucchiaio un cubetto di formaggio alla volta, adeguatamente ricoperto dall’impasto, e lasciarlo cadere nell’olio bollente.Far colorire gli sciatt e scolarli. Servire gli sciatt molto caldi adagiati su un letto di cicoria tagliata finemente e condita con olio e aceto

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Sa fregula

La tradizione gastronomica sarda  ha gusti, sapori e odori il più delle volte inconsueti per chi viene d’oltremare, come insoliti sono i nomi delle pietanze. Sa fregula è un prodotto tradizionale sardo e sono piccole sfere irregolari di pasta di semola di grano duro e acqua, con forma rustica  dal sapore caratteristico che, dopo la naturale essiccazione e tostatura, assumono la doratura. Il termine deriva dal latino frisare, nel senso di sminuzzare e fregola in lingua italiana significa piccolo frammento, frantume, briciola. Sa fregula si forma  bagnando con acqua la semola contenuta in un cestino ed aiutandosi con la mano in un movimento circolare. Si ottengono così piccole quantità di pasta dalla forma sferica che vengono setacciate e differenziate in piccole, medie e grandi ed infine tostate al forno. Ideale per minestre o con sughi marinari, si presta sia come piatto completo o d’accompagnamento. Fregola con cozze e arselleIngredienti per 6 persone : 500 gr. di fregola grossa sarda, 500 gr. di arselle o vongole, 200 gr. di cozze, Olio extravergine di oliva, 2 spicchi d’aglio, 600 gr. di pomodori freschi o pelati, Prezzemolo e basilico. Lavare le cozze e le arselle e metterle da parte con il guscio.Intanto far rosolare l’aglio e il prezzemolo nell’olio extravergine d’oliva Aggiungere le cozze , le arselle e i pomodori . Far cuocere il tutto per qualche minuto. Aggiungere circa un litro d’acqua e una presa di sale e continuare la cottura fino a bollitura. A questo punto aggiungere la fregola e far cuocere per circa dieci minuti mescolando il tutto di tanto in tanto. Servire caldo con un cucchiaio di olio extravergine d’oliva

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Luccio in salsa

Le origini del luccio in salsa sono sicuramente molto antiche, se ne ha notizia già nel trattato dello Stefani: “Deve il luccio essere di fiume ovvero di lago buono e non paludoso; fra tutti i pesci, questo dà buon nutrimento… serviti con olio, succo di limoni e verdure; nello spiedo, lardati con angiove, serviti con salsa di capperini, code di gambari, zuccaro e aceto rosato … “ Il luccio, pesce di d’acqua dolce è sempre meno diffuso poiché mangia prede vive, dimora in genere in acque correnti, ha una crescita molto lenta e non si può allevare poiché non sopporta la cattività. La permanenza del luccio nei menù dei ristoranti mantovani può quindi essere interpretata come ricerca e valorizzazione della tradizione perché è un pesce sempre più raro. Sicuramente il pesce di lago e di fiume a Mantova è sempre stato un alimento molto disponibile, a costo zero: la città è costruita come una fortezza, circondata dalle acque; dunque la cucina di pesce d’acqua dolce ha potuto prendere agevolmente piede e svilupparsi abbondantemente nel mantovano. Il luccio in salsa è il “secondo” che maggiormente caratterizza la tradizione gastronomica mantovana ed è generalmente accompagnato da fette di polenta abbrustolita; accostamento insolito per il pesce d’acqua dolce ma al quale i mantovani difficilmente sanno rinunciare anche per antica tradizioneIngredientiLuccio di circa 1kg, Farina fioretto 200g, Bicchiere di vino bianco 1, Costa di sedano, carota 1, Mezza cipolla, capperi, peperoncini sott’aceto, aglio, prezzemolo, acciughe sotto sale, olio q.b ProcedimentoPulire e lavare il luccio. Lessarlo mettendolo in pentola quando l’acqua è calda ma non bollente; aggiungere il vino bianco, la mezza cipolla, la carota e una costa di sedano. Preparare la salsa tritando insieme uno spicchio d’aglio, il prezzemolo, 6 acciughe sotto sale diliscate, un cucchiaio di capperi e 6 peperoncini verdi sott’aceto; il tutto amalgamato con olio extra vergine d’oliva. Quando il luccio sarà cotto, diliscarlo, filettarlo e metterlo in un piatto di portata coperto della salsa. Farlo riposare almeno un paio d’ore al fresco per insaporirlo meglio. Tratto da “Parco del Mincio“

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Jota

Tra tante minestre ricche di verdure della cucina regionale friulana spicca questo piatto povero di orgine slava che si trova, con diverse varianti in un’area che comprende il Friuli e la Slovenia e di cui Trieste e Gorizia si contendono il primato. La prima testimonianza della jota ci viene da un documento cividalese scritto in lingua friulana del XV secolo E’ un minestrone a base di fagioli  Borlotti di Carnia PAT ma anche Lamon della Vallata Bellunese IGP, foglie di cavolo cappuccio messi in concia sotto sale o nell’aceto (crauti) pancetta, costine affumicate e cotenna di maiale, cotto a lungo in una pentola preferibilmente di coccio. La versione goriziana ha un caratteristico colore scuro per la maggior quantità di fagioli e la presenza di orzo. Ingredienti per 4 persone: 500 g di crauti acidi (preferibilmente sfusi),200g di fagioli,4 patate, 2 foglie di alloro, cumino,2 spicchi di aglio,sale,pepe,olio, farina Procedimento: La sera prima mettere i fagioli a bagno in acqua fredda. In una pentola far scaldare l’olio e far rosolare 2 spicchi di aglio schiacciati fino a portarli a doratura. Quindi eliminare l’aglio. Aggiungere i crauti e coprirli a raso con acqua. Aggiungere un pizzico di cumino, sale e pepe. Far consumare a fuoco lento per circa 1/2 ora. In un’altra pentola cucinare i fagioli, lavati e scolati, con il brodo vegetale e 2 foglie di alloro, a fuoco lento per 1 ora e 15 minuti. Tagliare le patate a pezzetti, aggiungerle al brodo e fagioli, e proseguire la cottura per 15 minuti. Togliere dal fuoco e passare fagioli e patate fino ad ottenere una purea omogenea. Aggiungere la purea così ottenuta ai crauti preparati in precedenza. A parte, in un piccolo pentolino, soffriggere i rimanenti spicchi di aglio schiacciati in 1 – 2 cucchiai di olio. Eliminarli una volta dorati.  Stemperare nell’olio la farina mescolando attentamente per evitare la formazione di grumi. A tostatura avvenuta aggiungere la farina alla minestra. Aggiungere di sale e pepe e servire calda accompagnata da crostini di pane.

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Pane frattau

Un piatto tipico della Sardegna pastorale tra i più conosciuti, molto nutriente, buono e facilissimo da preparare. Il pane carasau, alla base di questo piatto, è il pane croccante, molto sottile, che le donne della Sardegna preparavano per i pastori che andavano sulle montagne a pascolare il gregge e stavano mesi lontani da casa, avendo quindi necessità di portare con se del cibo che non si deteriorasse nel tempo. Le donne di casa preparavano il pane carasau una volta al mese e di solito in gruppo, perché lavorare l’impasto era molto faticoso; era un lavoro a catena, ognuna aveva un compito e tutto si eseguiva secondo un rituale magico e accorto. Il pane doveva durare almeno due mesi e quindi doveva essere fatto con attenzione. Leggenda vuole che il Pane Frattau abbia le sue radici nelle vecchie usanze dei pastori: quando questi partivano all’alba con le greggi, riponevano nella loro “taschedda” (comodo zaino in pelle) il cibo per la giornata: un po’ di pane carasau, del pecorino e dell’acqua. Al tramonto, al rientro a casa, il pane carasau così conservato si sminuzzava (vrattau/frattau, appunto) dentro la “taschedda” e tutto ciò non veniva mai buttato,ma ammorbidito nel brodo condito con un po’ di salsa di pomodoro e col pecorino rimasto e mangiato per cena. Queste sono le tradizioni pastorali più povere che hanno portato oggi a quella saporitissima pietanza arricchita dall’uovo in camici Ingredienti· gr. 400 di pane carasau· gr. 50 di pomodori pelati· gr. 100 di pecorino grattugiato· n. 4 uova· n. 1 spicchio d’aglio· basilico abbondanteDescrizione:Va preparato un sugo leggero con pomodori pelati, aglio, olio extravergine di oliva e basilico. Il tutto deve cuocere per 10-15 minuti. Nel frattempo si fa bollire, a parte, in un tegame largo e alto, dell’acqua con un pizzico di sale, si spezza il pane e pezzo per pezzo si immerge, solo un attimo, nell’acqua bollente e si adagia sui piatti dei vari commensali. Strato dopo strato si condisce col sugo preparato precedentemente e una spolverata di pecorino, fino a raggiungere la dovuta porzione.Infine, nella stessa acqua, si fanno cuocere le uova in camicia che verranno adagiate sul piatto pronto.

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