Ricette

Ricette, Tradizioni

Panzanella Umbra

La Panzanella è un piatto tipico dell’Italia centrale che risale alla tradizione povera contadina. A base di pane raffermo, aceto, olio extra vergine di oliva e verdure, la Panzanella è un piatto delizioso che solo recentemente è stato riscoperto e valorizzato tanto da essere anche proposto dai ristoranti più ricercati della zona come tipica prelibatezza. È un piatto freddo semplicissimo, davvero ottimo nelle giornate troppo calde. Questa è una delle versioni più vecchie e semplici,ci sono ricette più ricche che prevedono l’aggiunta di pomodori a pezzetti, tonno, fettine di cetriolo fresco.La versione del piatto delle zone al confine con la Toscana hanno tra gli ingredienti abbondante cipolla. Ingredienti per 4 persone: 400 g di pane casereccio raffermo,qualche foglia di basilico2 cucchiai d’aceto di vino,6 cucchiai d’olio extravergine d’oliva,sale,pepePreparazione: Affettate il pane e bagnatelo con acqua, quindi strizzatelo con delicatezza perché non si spezzi. Conditelo con il basilico spezzettato con le mani, l’olio, l’aceto ed il sale. Fate riposare in luogo fresco per almeno un’oretta prima di servire. spunti tratti da tuscanyandumbria

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Agnolotti del plin

I Plin sono una preparazione tradizionale del Piemonte, il cui nome deriva dal pizzico che viene dato alla pasta per racchiudere il ripieno, stretto in una sfoglia sottile. Sono minuscole tasche di sfoglia all’uovo ripiene. I Plin vantano origini antiche e sono, nel 1846, citati in una ricetta di un cuoco torinese, Francesco Chapusot. La tradizionalità del prodotto è attestata anche da testimonianze locali.Gli ingredienti di base per preparare la sfoglia sono: farina di grano tipo 00, uova intere e tuorli, un cucchiaio di olio extravergine di oliva. Per il ripieno, invece, possono essere usati: arrosto vitello e coscia di maiale, uova intere, spinaci, parmigiano, noce moscata, sale e pepe.Si tratta di una preparazione piuttosto laboriosa perché prevede una lavorazione anche per il ripieno, che una volta cotto, va lasciato raffreddare e tritato. Si prepara quindi la sfoglia, disponendo la farina a fontana su una spianatoia, e unendovi gli altri ingredienti. L’impasto viene steso in una sfoglia sottilissima, per poi procedere alla formazione dei Plin, evitando che la sfoglia indurisca: con le dita si formano delle piccole nocciole di ripieno e si dispongono sulla sfoglia a circa un centimetro dal bordo e alla distanza di un centimetro l’una dall’altra. Si ripiega sulla fila di mucchietti di ripieno il bordo della sfoglia e si fa aderire longitudinalmente, con una leggera pressione delle dita, quindi, si taglia la fila di Plin con una rondella. Quindi si imprime un pizzicotto alla pasta (il plin), per saldare il ripieno.Con la rondella si separano i piccoli agnolotti uno dall’altro e si fanno riposare al fresco per un paio d’ore, in modo che asciughino leggermente. Il ripieno può presentare, a seconda delle zone, alcune variazioni; nelle Langhe, ad esempio, oltre alle carni di vitello e di maiale è aggiunto il coniglio e, per quanto riguarda le verdure, d’inverno sono utilizzati anche il cavolo verza o la scarola.  Agnolotti del plin al sugo d’arrosto Ripieno250 gr arrosto vitello250 gr arrosto maiale100 gr Grana Padanovino rosso – 1 bicchiereuovobrodo vegetale q.b.cipollaspinaci q.b.olio extra vergine d’olivarosmarino, noce moscata, sale, pepe q.b. Sfoglia250 gr farinauovo e 2 tuorlisale q.b.acqua tiepida- tazzina Soffriggere in olio, cipolla e rosmarino ed unire gli arrosti – preferibilmente in 2 teglie separate – salare ed irrorare con vino rosso, evaporando a fiamma elevata. Cuocere a fuoco lento in teglie coperte, aggiungendo mestoli di brodo vegetale. Sbollentare gli spinaci per alcuni minuti. A cotture ultimate, conservare il sugo degli arrosti, tritare le carni ed aggiungere spinaci tritati. Unire, sale, pepe, noce moscata, Grana Padano grattugiato e uovo: amalgamare bene gli ingredienti. In spianatoia, preparare la sfoglia: fontana di farina, tazzina acqua tiepida, poco sale, 2 tuorli e uovo.  Lavorare a lungo l’impasto e tirare sfoglia molto sottile. Ritagliare lunghe strisce e disporre piccole quantità di ripieno a distanza di 3/5 centimetri; ricoprire con altra striscia di pasta, premere bene gli spazi vuoti tra un ripieno e l’altro.  Ritagliare gli agnolotti con apposita rotella e prima di staccarli, premere la pasta tra l’uno e l’altro, stringendola in un pizzicotto: il “plin”, appunto. Cuocere gli agnolotti per alcuni minuti, in acqua bollente salata, scolare e disporre su piatto da portata, condire con il sugo degli arrosti, usati per il ripieno; unire noce di burro, con Grana Padano.

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Lepre in dolce forte

In Toscana il gusto “dolce e forte” è un’aristocratica eredità rinascimentale, sopravvissuta in molte ricette della cucina toscana e anche laziale dove, con qualche variante negli ingredienti, si cucinano così la lingua e l’arrosto di vitello, il coniglio, il cinghiale, il pollo.  Ingredienti: 1 lepre frollata e tagliata a pezzi, 100 gr di pinoli, 50 gr di scorzette candite di arancia e di cedro, 50 gr di uvette, 50 gr di cioccolato fondente amaro grattugiato, 2 spicchi di aglio, trito di odori (cipolle, carote e sedano), basilico, prezzemolo, 1 foglia di lauro e di salvia, rosmarino, ginepro, ½ litro di brodo, ½ litro di vino bianco secco, 100 g di olio evo, sale, pepe, 2 cucchiai di farina, 2 cucchiaini di zucchero, 1/2 bicchiere di aceto, brodo.  Preparazione: Tenete la carne per tutta la notte in una marinata con l’aceto, il vino ed un pugno di bacche di ginepro. Il mattino seguente scaldate in un tegame olio, rosmarino, aglio, trito di odori e pancetta tritata e rosolatevi lo spezzatino. Quando ha preso colore, salate e pepate, cospargete di farina e mescolate. Dopo una decina di minuti versate vino e brodo, unite le foglie d’alloro e salvia e lasciate andare a fuoco basso per circa 2 ore. A mezz’ora dalla fine aggiungete i pinoli, i canditi e l’uvetta sultanina, precedentemente ammorbidita in poca acqua e poi strizzata. A parte mescolate il cioccolato con il resto della farina, aceto, zucchero e un pizzico di sale, stemperando il tutto con un po’ d’acqua. Versate nel tegame, se necessario con altra acqua o meglio brodo, e portate a leggero bollore. C’è chi insaporisce il tutto anche con pizzico abbondante di cannella, garofano e noce moscata e chi sostiene che il piatto sia migliore se preparato il giorno prima e fatto ribollire al momento di portarlo in tavola. 

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Vermicelli cà muddica

Chiamata anche maccarruni ca muddica bruciata, la pasta con la mollica e le acciughe è un piatto molto popolare, con alcune varianti, in Calabria, in Puglia e in Sicilia. C’è chi per esempio aggiunge al soffritto dei pomodori spellati e tagliati a pezzetti, lasciando cuocere la salsa per una quarto d’ora circa. Spesso, in passato, al posto dei vermicelli si utilizzava la «struncatura», dal colore scuro, cioè gli scarti di lavorazione dei pastifici destinati all’alimentazione degli animali o di contrabbando, ai contadini più poveri per il proprio uso alimentare. Descrizione: Ingredienti (per 4 persone): 400 gr di spaghetti (o, a piacere, pasta integrale), 10 acciughe sottolio, 1 dl di olio evo, pangrattato, aglio, prezzemolo tritato, peperoncino rosso, sale Preparazione: Fate soffriggere per qualche minuto in una padella 4 o 5 spicchi di aglio tagliati a metà e quando diventa trasparente aggiungete il peperoncino rosso calabrese macinato o meglio, pestato in un mortaio di rame. Mescolate per qualche secondo, togliete dal fuoco e unite le acciughe (spinate e tagliate a pezzi) e il prezzemolo. A parte, in una scodellina, fate abbrustolire due manciate di pangrattato e tenetelo da parte. Lessate gli spaghetti come di consueto in abbondante acqua salata, scolateli al dente e conditeli con la salsa di acciughe. Servite subito e su ogni piatto spolverate il pangrattato abbrustolito.   

Ricette

Tiella di riso, patate e cozze

Affonda le sue radici nella dominazione spagnola del ‘600 questo piatto un po’ insolito in una terra in cui è la pasta di farina di grano ad avere un ruolo predominante. La tiella è un tegame tipico, impiegato sia per la cottura che per la presentazione in tavola, che la tradizione vuole sia di terracotta, alto e di forma circolare. La ricetta è originaria della città di Bari ma viene preparata in tutta la Puglia, secondo la versione propria che ogni famiglia si tramanda da generazioni. C’è chi ci aggiunge i pomodori, il pecorino grattugiato o il pangrattato. Ideale sarebbe la cottura nel forno a legna. Ingredienti (per 4 persone):  1 kg di cozze, 500 gr di patate, 300 gr di riso Vialone Nano o Carnaroli, 1 spicchio di aglio, cipolla, prezzemolo, olio evo, pepe. Preparazione:  Lavate e spazzolate bene le cozze in abbondante acqua, ponetele in un tegame insieme all’aglio tritato e lasciatele aprire sul fuoco. Eliminate i gusci filtrando il loro liquido. Lavate, sbucciate e affettate le patate; con una metà ricoprite il fondo di una teglia, già unto di olio, e conditele con pepe, prezzemolo e cipolla tritate. Versate il riso, unite i molluschi e le patate rimaste assieme al trito di cipolla e prezzemolo restante. Pepate, aggiungete un po’ d’olio e ricoprite il tutto con acqua (o meglio, brodo bollente di pesce) mescolata a quella di cottura delle cozze. Ponete la teglia in forno già caldo e fate cuocere, a fuoco medio, per circa 45 minuti

I Tipici, Ricette

Erbazzone (Scarpazzòun) PAT

La tradizione della buona cucina reggiana, semplice e naturale, trova riscontro nei numerosi ristoranti e trattorie dove è possibile gustare ottimi cibi tramandati da una generazione all’altra. I prodotti base provengono della terra e dagli animali, per questo si parla di “cucina povera”. Si tratta di sapori forti nati dall’esigenza di supplire alla mancanza di ingredienti costosi e raffinati. Per uno spuntino rapido, la specialità tutta reggiana è l’erbazzone. E’ un impasto cotto al forno di spinaci o bietole, cipollotti, lardo e parmigiano reggiano, inserito in due strati di pasta sottile e morbida. L’erbazzone reggiano è preparato con ingredienti semplici, un tempo a disposizione di ogni contadino, ed è basato sulla lavorazione della pasta che contiene al suo interno un ripieno di erbe. Sembra che la diffusione di questo cibo risalga al periodo Medievale. INGREDIENTI per il ripieno: 1,5 Kg di spinaci o bietole, 1 mazzo di cipollotti con gambo fresco e verde, una manciata di prezzemolo, 60 g di lardo di prosciutto o pancetta, 4 cucchiai di olio, 50 g di burro, 2 spicchi di aglio, 4 o 5 manciate di grana pizzichino, sale e pepe q. b. Per la pasta: 200 g di farina, 1 noce di strutto, 2 cucchiai di olio, sala e pepe q. b. acqua tiepida q. b. Per la pasta con ricotta: 220 g di farina, 50 g di ricotta, 1 noce di strutto, 2 cucchiai di olio, acqua tiepida q. b. sale pepe q. b. Sciogliete sul fuoco il grasso di prosciutto aggiungendo l’aglio schiacciato e i cipollotti che avrete, anch’essi, tritati insieme ai gambi. Aggiungete olio e burro e, dopo che i cipollotti si saranno appassiti senza bruciacchiarsi, unite gli spinaci che avrete in precedenza lessati e strizzati. Lasciate insaporire con sale e pepe. Quando il tutto si sarà reffreddato, togliete l’aglio, aggiungete il prezzemolo tritato finemente e il grana. Preparate la pasta e, fatta riposare per mezz’ora, dividetela in due due parti. Tirate una parte con la cannella, adagiatela nello stampo inoliato e versate il pesto. Tirate l’altra parte più sottile della prima, infarinatela e avvolgetela nella cannnella pure infarinata: stringete le due estremità della pasta verso il centro del mattarello e lasciate scivolare la pasta increspata sul pesto. Dopo averla accuratamente bucherellata, mettete il tutto nel forno a 200°.Lasciate per circa mezz’ora; a pochi attimi dalla completa cottura ungete la superfice con un pezzo di lardo.Rimettete nel forno e togliete dopo pochi minuti. L’erbazzone è pronto! fonte: turismo .comune.re

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Scrucchiata d’Abruzzo

Si tratta di una confettura extra d’uva, che si presenta sufficientemente omogenea, di media consistenza, di colore violaceo scuro, abbastanza dolce e dal sapore tipico, con leggero retrogusto amarognolo, a volte lievemente acidulo. È ottenuta tradizionalmente da uve di vitigni autoctoni a bacca rossa, principalmente della varietà Montepulciano, vendemmiate quando hanno superato lo stato di maturazione ottimale. È certo che la preparazione della marmellata d’uva ha una lunga tradizione casalinga, trasmessa oralmente da generazioni, ed è per questo difficile reperire informazioni più precise. Il nome probabilmente deriva da una fase della lavorazione che prevede lo schiacciamento degli acini ad uno ad uno tra il pollice e l’indice allo scopo di eliminare i vinaccioli. che in alcuni mercati paesani è ancora reperibile, e dalle testimonianze raccolte in varie località quali Lettomanoppello (Pe), Vittorito (Aq), Miglianico (Ch), Roseto degli Abruzzi (Te). Probabilmente e’ proprio questa operazione “scrocchiatura” o “sclucchiatura” che da il nome dialettale al prodotto “scrucchiata” o “sclucchiata”.  Da gustare assoluta o come base per la preparazione dei mille dolci della tradizione abruzzese.  Inoltre la marmellata d’uva è tradizionalmente impiegata come ripieno in alcuni dolci tipici regionali quali i “calcionetti” e le “neole” di Natale. 2 kg uva Montepulciano d’Abruzzo -400gr zucchero Staccare gli acini interi, lavarli e depositarli in un paiolo idoneo per le preparazioni alimentari che verrà posto a riscaldare sul fuoco. Man mano che il riscaldamento del prodotto prosegue si inizia a rimescolare mediante l’utilizzo di un mestolo di legno; questa operazione provoca le prime rotture degli acini con fuoriuscita del mosto. Una volta raggiunta la fase dell’ebollizione, si opera a fuoco lento continuando a mescolare per evitare incrostamenti. Dopo circa due ore si spegne il fuoco e si lascia raffreddare (la vecchiatradizione prevede, anche per piccole quantità, che l’intero processo venga svolto in due giornate: la prima di cottura e la seconda di lavorazione della marmellata). Quando il prodotto è freddo si effettua la passatura con un setaccio particolare detto “pellicciola” (costituito da una serie di cerchi concentrici di rame e di acciaio, sostenuta da raggi e da un supporto di legno) Ottenuto un composto liquido leggermente grumoso, rimetterlo sul fuoco bassissimo e continuare la cottura per almeno un’altra ora o fino al punto che la consistenza della marmellata non è quella desiderata

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Ciceri e tria

Ciceri e tria sono un primo piatto tipico della tradizione salentina a base di ceci e pasta di semola digrano duro. Tra tutte le cucine regionali italiane, quella salentina è senz’altro la cucina mediterranea per antonomasia. Proprio per questo, affascina e sorprende con un universo di cose buone e salutari che si combinano magicamente in una miriade di ricette facilmente replicabili. Anche in fatto di pasta, gli ingredienti non sono altro che: farina di grano o orzo poco raffinati, acqua, sale. E via con orecchiette, “minchiareddi” (maccheroni), “sagne ‘ncannulate” (sorta di tagliatelle attorcigliate), cavatelli e “tria”.. appunto Ingredienti per 6 personePer la pasta 300 grammi di farina di grano duro,acquaPer il condimento:300 grammi di ceci, costa di sedano,1 spicchio d’aglio1 carota,1 pomodoro,poche foglie di prezzemolomezzo bicchiere d’olio extra-vergine d’oliva, sale,pepePreparazione:Per la pasta (detta appunto tria) mischiate acqua e farina fino ad ottenere un impasto compatto ed elastico. Stendete una sfoglia sottile e ritagliate delle strisce come piccole tagliatelle. Tenete a bagno i ceci dalla sera prima, e la mattina metteteli in una pentola con gli odori, coprendoli almeno di due dita d’acqua e avendo cura, durante la cottura, di controllare che il suo livello rimanga sempre costante, aggiungendone altra quando sia necessario, sempre molto calda. Fate cuocere a fiamma dolce per almeno tre ore, salate per ultimo. In un pentolino mettete l’olio e friggete, fino a dorarlo, un terzo della “tria”.Aggiungete nella pentola dei ceci la rimanente pasta e portate a cottura rimestando attentamente. Prima di servirla, aggiungete la tria già fritta insieme al suo olio e continuate la cottura per un minuto. Spegnete, versate un filo d’olio e macinate del pepe bianco. tratto da “Il Gusto del Tacco” di A.M. Chirone Arnò

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Bucatini all’amatriciana

L’amatriciana è un condimento per la pasta che ha preso il nome da Amatrice, cittadina in provincia di Rieti. Quando è nata l’amatriciana, Amatrice faceva parte del Regno delle Due Sicilie, dipartimento dell’Abruzzo Ultra. Contrariamente a quanto si pensi, dunque, non ha alcun legame storico con la città di Roma, all’epoca capitale dello Stato della Chiesa, ancorché sia ben apprezzata dai Romani. Essi l’hanno importata piuttosto tardi, dopo l’annessione delle Due Sicilie e dello Stato pontificio al Regno di Sardegna, dai pastori di Amatrice, i quali transumavano con le loro greggi nella campagna romana durante il periodo invernale ed erano soliti recarsi a Roma per vendere i loro prodotti caseari e le carni ovine e bovine. Prima di chiamarsi amatriciana, si chiamava gricia (o più propriamente griscia); questo nome deriva da un piccolo paesino a pochi chilometri da Amatrice, frazione del comune di Accumoli, di nome Grisciano. La griscia, ricetta antichissima (probabilmente precedente alla scoperta dell’America, da cui l’ortaggio rosso proviene), era ed è ancora conosciuta come l’amatriciana senza il pomodoro, anche se differisce per alcuni ingredienti. Ancora oggi nel paese natìo, si svolge la Sagra della pasta alla Griscia il 18 di Agosto (vedi Sagra della pasta alla Griscia).L’utilizzo del pomodoro con gli spaghetti fu descritto per la prima volta dal gastronomo francese Grimond de la Reyniére nel 1807 nell’Almanach des gourmandes: è probabilmente nel periodo della conquista napoleonica (1798-1814) che l’uso del pomodoro come sugo di condimento della pasta si diffonde lungo la penisola italica. È consuetudine cucinare l’amatriciana con i bucatini, ma gli abitanti di Amatrice sono assolutamente rigorosi nel mantenere la tradizione degli spaghetti con il sugo all’amatriciana, per la quale hanno anche richiesto nel 2004 l‘Indicazione Geografica Tipica alla comunità europea Ad Amatrice si dice dell’amatriciana: “La pecora mite ed il bravo maiale diedero insieme formaggio e guanciale“. Questo ad indicare le origini povere della famosa ricetta.Avrete certamente notato l’assenza di cipolla od aglio che spesso sono la base di altri condimenti mediterranei e questo appunto perché si tratta di una ricetta nata da povera gente. Il detto sottintende anche l’uso delle poche cose di cui si dispone, in effetti l’antica popolazione locale era tipicamente rurale e più dedita all’allevamento che all’agricoltura. La ragione di ciò risiede nel fatto che il paese ed il suo territorio si estendono in una conca circondata di montagne, parliamo di quasi mille metri di altitudine e più. Nelle descritte condizioni, terreni scomodi e clima non del tutto favorevole, i prodotti della terra erano limitati, tanto più quando si parla di pomodoro che desidera sole e clima temperato per ben maturare.Tutto questo porta a pensare che l’originaria ricetta fosse “in bianco” come quella che a Roma è chiamata gricia. La ricetta è diventata famosa con l’uscita della stessa dal ristretto ambito della conca amatriciana.Le genti del comune di Amatrice hanno sempre avuto due canali preferenziali per l’emigrazione: Roma e gli Stati Uniti d’America. Gli uomini ed in seguito anche le donne, si recavano nella Capitale in via stagionale o permanente a prestare la loro mano d’opera per quel che sapevano fare. Tra i vari umili lavori che facevano, alcuni hanno iniziato a lavorare nei grandi alberghi come garzoni di cucina. Proprio questi , nel tempo, acquisendo esperienza, divenivano cuochi (allora non c’era la scuola alberghiera) e chiamavano altri ragazzi dai loro paesi a lavorare nelle cucine creando un flusso costante che sino agli anni ‘60 ha creato la fama di cuochi degli amatriciani ed ancor prima la fama della ricetta che, forse proprio in tali insalubri luoghi di lavoro, ha visto la riuscita commistione con il pomodoro. La sagra degli spaghetti all’amatriciana si tiene in Amatrice, generalmente durante l’ultimo fine settimana di agosto; esiste anche una più recente sagra degli spaghetti alla gricia che si tiene in Grisciano, paese sulla via Salaria non lontano da Amatrice, sempre in agosto. Ingredienti per 4 persone 500 g di spaghetti (no bucatini),100 g di guanciale di maiale,100 g di pecorino,500 g di pomodori pelati o polpa, 1 cucchiaio di olio extra vergine d’oliva,1/2 bicchiere di vino bianco secco,sale, poco peperoncino Descrizione: Tagliuzzare il guanciale a dadi in maniera grossolana. I dadi non devono essere troppo sottili altrimenti tendono ad imbiondire troppo rapidamente e alla fine potrebbero risultare troppo duri. Metterli a cuocere in una padella di ferro con l’olio ed il peperoncino. Aggiungere poi il vino e appena evaporato se il guanciale risulta sufficientemente imbiondito all’esterno ma ancora tenero all’interno, vanno tolti dalla padella e conservati al caldo in un fazzoletto di carta. A questo punto aggiungere all’olio i pomodori (se pelati vanno spezzettati con le mani)e un poco di sale e farlo cuocere a sufficienza. Dopodiché inserire il guanciale che si era messo da parte, ravvivare il fuoco per qualche minuto ed il sugo è pronto. Scolate gli spaghetti al dente in una casseruola, unite la salsa appena preparata ed unite una bella spolverata di pecorino appena grattato.

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