Ricette

Ricette, Tradizioni

I capunsei

Piatto tradizionale dell’Alto Mantovano in cui la fantasia e l’abilità riescono a trasformare un piatto con ingredienti poveri in una vera prelibatezza Ingredienti: 4 etti di pane raffermo grattugiato, 1 uovo intero sbattuto con sale e pepe, formaggio grana grattugiato molto abbondante, uno spicchio d’aglio 30 gr di burro sciolto, brodo q.b. Descrizione: Disporre il pane grattugiato mescolato a sale e pepe sulla spianatoia facendone una montagnola con un buco al centro nel quale verrà versato un cucchiaio di burro sciolto in precedenza; a parte far bollire il brodo, anche vegetale e versarlo molto caldo sul pane, molto adagio, fino a quando non viene assorbito in modo da risultare un impasto omogeneo e lavorabile con le maniStendere l’impasto sulla spianatoia e, una volta freddo, aggiungere l’uovo sbattuto, il formaggio e lo spicchio d’aglio tritato finemente. Con le mani fare dei rotolini e tagliarli in piccoli gnocchetti come quelli di  patateVersare “i capunséi” nel brodo bollente e scolarli non appena affiorano. Condire con burro fuso e formaggio e si possono aromatizzare con erbe: salvia, rosmarino, maggiorana, basilico leggermente soffritti.

I Tipici, Ricette

Pizzoccheri della Valtellina PAT

I pizzoccheri sono il piatto simbolo della cucina tradizionale Valtellinese, conosciuti un po’ ovunque e molto apprezzati soprattutto nei mesi freddi. Il nome “pizzoccheri” sembra derivare dalla radice “pit” o “piz” col significato di pezzetto o ancora dalla parola pinzare col significato di schiacciare, in riferimento alla forma schiacciata della pasta. Altre ipotesi farebbero risalire la parola pizzoccheri dal longobardo bizzo, ovvero boccone, ma questa ipotesi etimologica è piuttosto improbabile. Parlare del pizzocchero è difficile. È sempre complicato descrivere i cibi genuini e scriverne è quasi impossibile perché la parola riduce la sensazione a pochi tratti, troppo essenziali. Tuttavia, volendone dar conto, si deve assolutamente passare attraverso la descrizione dell’incanto che gustandolo si prova. Il pizzocchero (che è sempre detto al plurale) è una tale e specifica unione di ingredienti semplici che trova, nell’equilibrio e nella fusione delle sostanze, la sua più alta affermazione. Dunque: i pizzoccheri di Teglio sono armonia e gusto e portano direttamente ai piaceri della vista, del palato e della gola. Sono un piatto tipico che nasce da una combinazione tra diverse sostanze genuine e che soddisfano – ciascuna – uno specifico momento del mangiare. Fumanti arrivano in tavola, ma già si era diffuso nell’ambiente il loro buon odore, scaturito dalla combinazione delle parti, spinto dai vapori che – usciti dall’acqua bollente – segnalavano l’esatta cottura della pasta. La rosolatura del burro, con un poco d’aglio, aveva anticipato all’olfatto il successivo incanto della vista che godeva, dai piatti distribuiti sulla tavola, il trionfo e il piacere delle tagliatelle condite. L’insieme era stato dunque immaginato,poi aspirato e annusato e infine ammirato, apprezzato. Sui piatti, nelle singole porzioni, è stato eccitato da una spruzzata di pepe nero, a volontà. Ingredienti: Formaggio semigrasso della Valtellina “CASERA” (180 g), Pizzoccheri(420 g), Patate (180 g), Verza (180 g), Burro (30 g), Salvia (n.5 foglie), Pepe (q.b.), Sale (q.b.) Descrizione: Pelare e tagliare a pezzi le patate, lavare e tagliare a strisce le verze, cuocere in una pentola con acqua salata le patate e le verze, tagliare il formaggio a fettine sottili. A cottura ultimata, unire i pizzoccheri e cuocere per 10-15 minuti, scolare ancora al dente. Nel frattempo rosolare le foglie di salvia nel burro, porre i pizzoccheri in una zuppiera, unire il formaggio, il burro e la salvia ed amalgamare accuratamente. Servire, unendo del pepe a parte

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Fritto misto Piemontese

Questo piatto unico è d’antica tradizione popolare, nel momento in cui si macellavano gli animali – in modo casalingo – erano conservate le frattaglie, che si cucinavano, per conservare il più possibile. Le frattaglie erano impanate in pan grattato e fritte in olio bollente ed – in seguito – servite con sanguinacci, nel giorno festivo, successivo alla macellazione.Nel tempo, il piatto ha seguito importanti incrementi alla preparazione, con l’aggiunta di svariatati ingredienti, con abbinamenti di dolce e salato.E’ comunque – da sempre – un piatto di un giorno di festa; infatti, contiene molti generi di carni, con verdure ed in aggiunta, amaretti e mele.Alcune, recenti versioni, hanno incrementato la preparazione con gusto e fantasia, aggiungendo: uva – ananas – albicocche essiccate – pere quadrucci di polenta gialla, zuccherata e fritta, detta semolino dolce. E la tradizione, suggerisce di servire sempre – in abbinamento – carote al burro. Tutti gli ingredienti devono essere puliti, lavati, spellati e scottati in acqua calda o rosolati in olio e burro – se occorre – ed infine, passati in pastella ottenuta, con uova, latte, farina e poi fritti. Le verdure e le carni, in farina, uovo e pan grattato e poi fritte. Anche gli amaretti, prima ammorbiditi nel latte.Le polpette di carni miste, con aggiunta di cervella e prosciutto cotto, rosso d’uovo e pastella; devono essere poi infarinate, passate nel pan grattato e fritte. Ogni ingrediente, deve avere il suo preciso tempo di cottura, facendo in modo che, tutte le fritture siano pronte, nello stesso momento.IngredientiAnimelle, cervella, coratella, fegato, filoni di vitello, rognone di vitello, costolette di vitello e di agnello, salsiccia, melanzane, funghi porcini, amaretti, crocchette di semolino alla vaniglia e al cioccolato, mela.PreparazioneSi tratta di friggere ogni componente nei modi e nei tempi richiesti, cosa che necessita di impegno e tempo. Si comincerà quindi da quelli di più lunga cottura, come le costolette di vitello e di agnello, che prima andranno passate per l’uovo sbattuto (vitello) o nei soli albumi (agnello), poi nel pangrattato. Anche il fegato subirà lo stesso trattamento.Animelle e cervella, sbollentate per toglierne la pellicina, andranno prima infarinate poi passate nell’uovo, quindi fritte. Stesso trattamento per il filone ma senza sbollentarlo.Il rognone (prima sbollentato in acqua e aceto), le crocchette di semolino, le melanzane, i funghi, la mela, tutti quanti a fette non troppo sottili, passarli nella farina e poi friggerli, anche se alcuni preferiscono impanare i funghi. Il pollo si utilizza facendo delle crocchette di carne avanzata, tritata, passata in una pastella fatta con farina bianca 200gr, succo di limone, olio d’oliva 50 gr, marsala 2 cucchiai, acqua, sbattendo il tutto con un cucchiaio di legno fino ad avere una pastella liscia e colante, alla quale si uniscono due albumi montati a neve.

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I Rabaton della Fraschetta

Il Rabatón è un piatto primaverile, in particolar modo del periodo pasquale, che era il momento della rinascita negli orti e nei campi, delle bietole da taglio , delle insalate, delle ortiche, ecc..ecc.., coincideva con l’arrivo dei pastori che dopo aver svernato in pianura e prima dell’alpeggio passavano per le case proponendo u sirass (la ricotta), se mancava la ricotta si usava la mascherpa, latte rappreso con l’aiuto di acqua e aceto, infine le uova, che le galline riprendevano a deporre dopo il fermo invernale.Il Rabaton (PAT) è un piatto contadino della pianura tra Alessandria e Tortona che prende il nome dal gesto che si fa per formare degli gnocchetti schiacciando e arrotolando tra le mani o su un piano di legno una piccola quantità di impasto (dal dialetto “rabatare” “rotolare”). Da un’amalgama di bietole lessate e tritate, ricotta fresca, uova, pangrattato, farina, grana grattugiato, sale e pepe, si ricavano rotolini lunghi quattro centimetri e spessi uno. Si possono consumare in brodo oppure scolati conditi con abbondante burro soffritto con aglio e salvia e con altro formaggio e passati a gratinare in forno.Ingredienti per 4 persone:250 g di ricotta scolata)800 g di biete2 cucchiai di maggiorana1/2 cucchiaio di prezzemolo1 spicchio di aglio80 g di Parmigiano Reggiano2 cucchiai di pangrattato2 uova6 cucchiai di farina 0050 g di burronoce moscata q.b.sale e pepe q.b.Descrizione:Mondare le biete, lessarle in acqua bollente salata e scolarle in acqua e ghiaccio per mantenerne cottura e colore e poi ricavarne circa 400 g strizzandole bene.Nel frattempo, far sgocciolare la ricotta dal suo latte.A questo punto, saltare le biete in padella con una noce di burro e uno spicchio di aglio e tritarle finemente.Mettere le bietole tritate in una ciotola e aggiungervi il prezzemolo e la maggiorana tritati, la ricotta sgocciolata, 40 g di parmigiano, il pangrattato, un uovo e un tuorlo e amalgamare il tutto regolando di sale, pepe e noce moscata. L’impasto non dovrà essere né troppo asciutto né troppo morbido.Adesso, formare i rabatòn con le mani ricavando una sorta di mezzo sigaro lungo circa 4 centimetri, dal diametro di 3 o 4 centimetri. Ci si può aiutare con la farina per arrotolarli.Lessare i rabatòn in abbondante acqua salata fino a che non risalgono in superficie, come si fa per gli gnocchi e i ravioli.Una volta cotti, i rabatòn possono essere messi in una pirofila imburrata, aggiungere il parmigiano grattugiato, il burro rimasto e far gratinare in forno caldo a 190-200°C per circa un quarto d’ora

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Coniglio all’ischitana

Documenti testimoniano che già dal principio del XVIII secolo i contadini allevavano i conigli in fosse scavate nel tufo di circa 2 m di profondità, al riparo dal vento, dal freddo, dal caldo e dalla pioggia. Questo allevamento in stato semiselvatico consentiva un‘alimentazione a base di erbe spontanee, a pieno vantaggio del sapore della carne. Oggi il coniglio da fossa è sempre più raro, ma grazie anche al Presidio Slow Food da qualche anno la tradizione è stata recuperata.  Ingredienti: 1 coniglio da circa 1,5 Kg, 150 gr di pomodorini maturi spezzettati e scolati, prezzemolo, basilico, 1 bicchiere di vino bianco, 1,5 dl di olio d’oliva, aglio, peperoncino, maggiorana, timo, basilico, rosmarino, sale e pepe.  Procedimento: Tagliate a pezzi il coniglio, lavatelo con il vino, asciugatelo con un panno asciutto e separatelo dalle interiora. Fate imbiondire nell’olio l’aglio e il peperoncino interi, in un tegame preferibilmente di terracotta, poi toglieteli e metteteli da parte. Rosolate tutti i pezzi del coniglio (comprese le interiora) nello stesso olio ben caldo e quando è ben colorito aggiungete aglio e peperoncino, sale e pepe e uno spruzzo di vino bianco. Fate cuocere a fuoco moderato per una trentina di minuti, rigirando di tanto in tanto ed eventualmente aggiungendo del brodo o altro vino. Unite i pomodori e le erbe aromatiche. Lasciate andare dolcemente per altri 20 minuti circa, sempre girando di tanto in tanto, fino a quando il fondo di cottura non sarà ben ristretto. Uno dei segreti per la riuscita di questo piatto consiste nel farlo “tirare” fin quasi a farlo attaccare, per poi allungare un po’ il fondo di cottura con brodo o acqua qualche minuto prima di spegnere la fiamma.

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La Sbroscia di Bolsena

La sbroscia è uno dei piatti a base di pesce più antichi di Bolsena. È una sorta di zuppa di pesce preparata dai pescatori sulle rive del lago, la tradizione vuole che questa zuppa fosse preparata con l’acqua del lago di Bolsena.In un recipiente di terracotta vengono messi i tranci di pesce possibilmente di diverse specie. Un pesce che non può mancare nella “sbroscia” è la tinca, ma si utilizzano anche: luccio, persico reale, anguilla, latterini ed anche granci e gamberi di lago. Ingredienti:     1 Tinca,   4 Pesce persico,    1 Luccio    1 Anguilla,    ½ Cipolla,    3 cucchiai d’olio    ½ Aglio,    1 Peperoncino    Mentuccia,    Pomodorini,    2 Kg. di Patate,    Sale     Venti fette di pane raffermo Preparazione:Provvedete alla pulitura del pesce, in un tegame di coccio fate soffriggere mentuccia, aglio e cipolla precedentemente tritati aggiungendo 2 cucchiai di olio.Pelate le patate e tagliatele a dadi.Tagliate a pezzetti i pomodorini e uniteli al soffritto insieme al pesce.Aggiungete circa un l,5 l di acqua (possibilmente di lago, come da tradizione), salate e proseguite la cottura a recipiente coperto per 30 m.Distribuite le fette di pane nelle scodelle e ricopritele con la zuppa, aggiungete l’olio rimastoE’ usanza mangiare la “sbroscia” con le mani.

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Torta di riso Reggiana

E’ il dolce campagnolo che saluta la primavera. l’ingrediente base è il riso cotto nel latte, cui si aggiungono uova sbattute, zucchero, mandorle, semi d’anice e scorza di limone. La torta di riso è considerata dai Reggiani un dolce locale della tradizione, anche se, in altre parti di Italia si realizzano torte con questo particolare ingrediente dalle numerose varianti,. Si ritiene che la sua diffusione a Reggio Emilia nasca grazie alle “mondine”, le ragazze più giovani delle famiglie contadine che nei primi anni del Novecento, durante la raccolta del riso, si trasferivano nelle piantagioni nelle zone di Vercelli. Il riso, oltre al denaro, costituiva una parte importante dello stipendio della mondina; da qui la diffusione del suo impiego in numerose ricette della cucina reggiana. Pare, tuttavia, che una simile ricetta abbia origini assai lontane, essendo citata a metà del XV secolo da Maestro Martino da Como, cuoco al servizio del patriarca di Aquileia, nel suo trattato De arte coquinaria, seppure con varianti di preparazione. Ingredienti: 150 gr di riso, 1 litro di latte fresci intero, 150 gr di zucchero, 1 pizzico di sale, 3 uova intere, 3-4 cucchiai di Sassolino o Anicione, 1 limone grattugiato.Procedimento:Si porti ad ebollizione il latte con un pizzico di sale, si versi il riso e lo si lasci cuocere. Si aggiunga lo zucchero, la scorza di limone grattugiata ed il liquore Sassolino. Quando l’impasto si è raffreddato, si incorporano i tuorli delle uova (uno alla volta e il successivo solo dopo che il primo sia completamente amalgamato) e quindi gli albumi. mettere il tutto in uno stampo imburrato e infarinato e lasciare riposare per due ore. Si proceda alla cottura in forno alla temperatura di 180 C° per 45 minuti circa. Zuccherare in superficie e spruzzare con il liquore d’anice.

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La Torta di Pasqua a Perugia

Si tratta di una torta salata, tipica delle feste pasquali, che a Perugia viene chiamata torta di Pasqua, di forma assai simile al ben più famoso panettone natalizio meneghino. Viene preparata con grande impegno, di spesa e di tempo, il Giovedì o il Venerdì Santo, e la tradizione vuole che, essendo questi giorni di digiuno e di astinenza, non si dovrebbe assaggiare finché non si “sciolgano le campane”, a conclusione cioé del periodo di penitenza.La buona riuscita della torta di Pasqua ha messo sempre in gioco la reputazione di ogni massaia. Ciascuna casa era un tempo pervasa dai preparativi: nella notte cominciava il lavoro che durava quasi l’intera giornata. La preparazione è la seguente: alla pasta del pane si aggiunge il lievito di birra, che raddoppia il volume dell’impasto, quindi farina, uova sbattute, olio extravergine di oliva, strutto, pecorino stagionato di Norcia grattugiato, pecorino fresco a tocchetti, sale e pepe.Data la grande quantità, è questa una delle poche ricette che vede impegnato l’uomo della famiglia, coinvolto per lavorare l’impasto tanto a lungo, finché risulta liscio e lucido. A questo punto, si pongono le forme a lievitare in stampi di coccio a tronco di cono. Ultimata questa delicatissima operazione, si passa alla cottura nel forno a legna.Dopo circa tre ore, si sfornano torte di un bel colore ambrato, pronte a troneggiare sulle tavole il giorno di Pasqua, insieme con il capocollo, le uova sode ed un bel cosciotto d’agnello.  Richiamando gli antichi riti pagani della Fertilità e dell’Abbondanza e quelli cristiani del Giovedì Santo, la torta di Pasqua viene portata in chiesa, per essere benedetta insieme a tutti i cibi da consumarsi il giorno di Pasqua.Oggi la torta può essere acquistata tutto l’anno, anche in confezioni sottovuoto, in ogni punto di vendita alimentare e, pur mantenendo la sua forma originale, ne ha acquistato delle altre, come quella rettangolare del pan-carré, oppure bassa come una schiacciata, oppure lunga e affusolata come un grande grissino.La si può trovare anche già farcita e fatta a spicchi, con salame, prosciutto, tonno e maionese e tanti altri ingredienti. Per conferirle un sapore meno forte, nella ricetta è stato introdotto il burro al posto dell’olio ed il pecorino è stato sostituito dal parmigiano.La lavorazione industriale l’ha resa più leggera e digeribile. www.comune.perugia.it

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Lepre al civet

Questa particolare pietanza piemontese, si cucina tradizionalmente anche con il coniglio, il capriolo, il camoscio e il cinghiale e viene servito con polenta o patate bollite. Per la marinataIn una terrina: lepre a pezzi, 8 grani di pepe nero, 1 foglia di alloro, 1 rametto di timo, 2 o 3 grani di ginepro, 5 ciuffetti di prezzemolo, 1 cipolla a pezzetti, 2 spicchi d’aglio, 1 gambo di sedano e 1 carota tagliata a rondelle. Coprire con vino rosso e lasciare marinare per due giorni.ProcedimentoTogliete i pezzi di carne dalla marinata. Scolate le verdure e mettetele da parte. Asciugate i pezzi di lepre e rosolateli in una pentola da stufato con poco burro fuso. Spolverateli con una spruzzata di farina. Aggiungete sale, pepe, un bouquet garni e le verdure. Ricoprite la carne con il vino della marinata e portate a bollore. Abbassate il fuoco e cuocete dolcemente per due ore. Verso la fine cottura si aggiunge il sangue fatto sciogliere sul fuoco.A cottura ultimata, togliete la carne, ponetela su un piatto e frullate il sugo. Rimettete il tutto nella pentola e fate scaldare per pochi minuti prima di servire con un contorno di patate o polenta.

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