..degli alimenti

..degli alimenti, Storie

La salvia

Il nome di questa pianta è di origine latina – Salus Salvus – che significa ”salute” , ”in buona salute” e ”sano”, con richiamo alle riconosciute proprietà curative e medicamentose. I Galli la consideravano una panacea capace di guarire tutte le malattie. I Druidi la usavano contro febbre, tosse, paralisi, epilessia e anche per favorire il concepimento e il parto attribuendole, altresì, il potere di resuscitare i morti ed aggiungendola all’Idromele e alla Cervogia (birra), per essere in grado di profetare e dare forza ai loro incantesimi. Presso i Romani era considerata pianta sacra che poteva essere raccolta da persone ‘’elette’’, vestite in un modo particolare, dopo aver fatto sacrifici con pane e vino, senza usare utensili di ferro perché tale metallo è incompatibile con la Salvia.Un trattato del medioevo recita che “Il desiderio della Salvia è di rendere l’uomo immortale” e Maria Treben racconta che, in un antico erbario, si scriveva che quando la S. Vergine dovette fuggire con il Bambino, chiese aiuto a tutti i fiori campestri, ma solo la Salvia le dette riparo sotto al suo folto fogliame per sfuggire agli sgherri di Erode. Quando il pericolo fu cessato, la Vergine disse con gratitudine alla Salvia che, per l’eternità, sarebbe stata la pianta preferita dagli uomini perché li avrebbe salvati da qualunque malattia e dalla morte. Chiamata “Salvia salvatrix” dalla Scuola Salernitana, anticamente si riteneva che favorisse la fertilità delle donne.Molto apprezzata dai Cinesi che la ritenevano capace di donare la longevità, nel 1600 un cesto di foglie di salvia veniva scambiata dai mercanti olandesi con tre cesti di Tè.L’antica medicina ne faceva largo uso come potente cicatrizzante su ferite e piaghe difficili da rimarginare.È originaria dell’Europa meridionale, in particolare nella regione mediterranea, viene anche coltivata commercialmente in vari paesi.Si dice che la salvia sia una delle piante preferite dalle api.Nel Medioevo le levatrici la usavano per favorire le contrazioni uterine durante i parti laboriosi. Proprio per questa sua caratteristica, non è consigliata alle donne in gravidanza.Sempre secondo le tradizioni, era utile contro i morsi di serpente.Alcuni detti popolari vogliono che nelle case dove la salvia cresce bella e forte sia la moglie a spadroneggiare, mentre se la pianta di salvia che si ha in giardino muore, gli affari andranno male. Si pensa che, come il rosmarino, stimoli la memoria e sia utile per il cervello in genere, un tempo era usata per alleviare le emicranie croniche. La salvia ha un gusto abbastanza pungente ed aromatico ad un sottile gusto di canfora.Viene utilizzata in vari modi: in Italia per saporire piatti di carne (in particolare vitello e fegato di vitello) o si fa soffriggere con il burro per condire primi piatti; i tedeschi la usano per insaporire le anguille e nei paesi mediterranei vengono infilate negli spiedini alternate a dadini di carne e verdura.Usata nella pasta dei formaggi o delle salsicce, la salvia tritata insieme alla cipolla viene impiegata anche nella preparazione di ripieni per il maiale ed il pollo. Frictelle de salvia del Maestro Martino

..degli alimenti, Storie

Le fragole

Da reperti archeologici dell’epoca Preistorica sappiamo che già se ne cibavano le tribù primitive.Nei poemi come nella Bibbia, nelle favole mitologiche e nei più antichi trattati di medicina e botanica, si trovano elogi e menzioni di questo frutto. Virgilio le elogia in una sua celebre egloga, in cui invita i golosi fanciulli a guardarsi dai serpenti nascosti nell’erba, quando vanno nei boschi a raccogliere le “nascentia fragra”. Shakespeare, che ne era golosissimo, lo definisce “cibo da fate”.Nella storia sacra si parla spesso della fragola come alimento benefico e incomparabile dono di Dio. Si sa che era un cibo prediletto da San Giovanni Battista, convinto vegetariano, che si nutriva quasi esclusivamente di frutta, ma anche dall’austero San Francesco di Sales, che ne lodava la fresca innocenza e il meraviglioso sapore.La fragola ha avuto riconoscimenti da parte di medici,erboristi e naturalisti di ogni tempo.Plinio ne parla come di prezioso frutto del bosco da amare ed apprezzare; il grande Linneo, fondatore della moderna botanica, ma anche valente medico ed erborista, la definisce “bene di Dio”, affermando che, secondo la sua diretta esperienza, la fragola è incomparabile rimedio contro la gotta. Sembra che anche gli antichi romani conoscessero e apprezzassero questo frutto selvatico, che nel Medioevo, divenne addirittura il simbolo della tentazione.Le dame francesi di quell’epoca si procuravano le fragole dai contadini e si deliziavano nel mangiarle con zucchero e panna. Anche Luigi XVI, il re Sole, aveva una vera passione per le fragole, al punto da farle coltivare nei giardini di Versailies. Se è vero che la fragola era conosciuta fin dai tempi antichi, è anche vero che i tipi di fragole che sono oggi in commercio hanno un’origine abbastanza recente. Infatti fino al 1400 l’unico tipo di fragola esistente era quella selvatica; sembra che i primi tentativi di coltivazione risalgono proprio a quel periodo in Inghilterra, paese dove il frutto selvatico era particolarmente diffuso.Da notare che gli inglesi per tradizione sono golosissimi di fragole; le hanno anche nobilitate inserendo delle piante di fragole come ornamento in molte corone duttili.Dobbiamo però arrivare al ‘700 per trovare negli orti e nei giardini questo frutto, ingrediente prezioso e prelibato nelle preparazioni tipiche della cucina di quel tempo. La fragola moderna ebbe infatti origine in Francia, nel 1766, come incrocio tra due qualità selvatiche americane, la “Fragaria Virginiana” degli Stati Uniti orientali e la “Fragaria Chiloensis” della costa dei Pacifico. Il primo ibrido (“Fragola Ananassa”), più grande e più gustoso delle due piante madri, venne in seguito ibridato e reibridato. Nel 1892 Thomas Laxton, un coltivatore inglese, produsse da questa specie la squisita “Royal Sovereign”, ancora considerata la fragola dal sapore migliore.

..degli alimenti, Storie

Il cioccolato

La sua storia e’ ricca e le sue origini prendono forma oltre 4000 anni fa.. La prima civilta’ a cadere in adorazione davanti alla cioccolata fu la popolazione olmeca dell’America centrale intorno al 1500 a.C. Per i Maya i semi del cacao furono simbolo di vita e fertilità, rappresentati spesso in rituali religiosi. Nella cultura Atzeca viene attribuita la creazione della pianta del cacao al loro dio Quetzalcoalt che, trasportato da una stella mattutina, discese dal cielo portando con se una pianta di cacao rubata dal Paradiso. Tanto nella cultura Maya che Atzeca i semi di cacao costituivano la base per una bevanda densa e amara denominata “xocoalt” o “elisir di lunga vita”. Veniva raccolto, lasciato fermentare, arrostito e macinato, mescolato con acqua, peperoncino e farina d’avena ..il risultato era una bevanda schiumosa e piccante. I semi erano simbolo di ricchezza e venivano usati come moneta di scambio: un uovo costava 3 semi. Il tesoro di Moctezuma, il re Atzeco, ne conteneva un miliardo. Gli Atzechi credevano che forza e saggezza traessero origine da questa bevanda che godeva pure fama di afrodisiaco. Pare che Moctezuma , per gustare questo prezioso nettare, usasse calici d’oro che venivano buttati dopo averli usati una sola volta… “rituale” che, pare, si ripetesse cinquanta volte al giorno! Il Vecchio Mondo conobbe questi “fagioli scuri” grazie a Cristoforo Colombo che al ritorno dell’ultimo viaggio li porto’ con se, insieme ad altre cose sconosciute e meravigliose..la Spagna arricchi’ con spezie, cannella, noce moscata, vaniglia, il gusto amaro del cacao e qualcuno decise che se servito caldo aveva un sapore migliore. Fernando Cortez non gradiva la bevanda ne’ calda ne’ fredda, ma quando nel 1519 conquisto’ il Messico la sua curiosita’ fu destata dal valore di questi semi usati come valuta e decise di farne una piantagione in nome della Spagna, pensando così di “coltivare soldi”. Per molti anni le navi tornavano dall’America colme di raccolto… la Spagna custodì il segreto del cacao per oltre cent’anni. Tant e’ che i bucanieri inglesi, che intercettavano le navi, distruggevano il carico pensando fosse inutile. In Francia il cacao arrivò attorno al 1650 quando la principessa Maria Theresa porto’ in dono di nozze a Luigi XIV un cofanetto di semi e la bevanda che fece conoscere fu definita dai francesi “ orribile miscuglio liquido e marroncino” Una mistura fredda chiamata “tlaquetzalli” (cosa preziosa) aveva un accentuata componente di peperoncino e sembra sia andata scomparendo e che non se ne siano state tramandate ricette ma alcune delle prime versioni europee della cioccolata derivano sicuramente da essa. L’arte e la letteratura si ispirarono spesso a linguaggi erotici evocati dal cioccolato ..dal Marchese de Sade a Casanova, che usava champagne e cioccolato per sedurre le signore. In Inghilterra arrivo’ dopo vent’anni quando un francese apri’ a Londra, il primo negozio. Attorno al XVII secolo era diventata una moda, uno status symbol per gli aristocratici, spesso raffigurati in dipinti dell’epoca che oziano con una tazza di cioccolata tra le mani. In Germania venne adirittura imposta una tassa ..” per chiunque decidesse render omaggio ai propri piaceri”. Nel 1820 le piantagioni di cacao erano sparse per tutto il globo ed ebbe inizio la produzione di macchinari e strumenti per renderlo il piu’ possibile commerciabile. Tecniche segrete di torrefazione, di miscela, ricette tradizionali o interpretazioni innovative e creative sono state tramandate di generazione in generazione. Il cioccolato evoca sensazioni di totale piacevolezza; e’ per il palato cio’ che il velluto e’ per il tatto…..piacevole e pigramente erotico; ogni senso di colpa e’ sopito da tale dolcezza.

..degli alimenti, Storie

Il rosmarino

Originario dell’Europa, Asia e Africa, è ora spontaneo nell’area mediterranea nelle zone litoranee, macchia mediterranea, dirupi sassosi e assolati dell’entroterra, dal livello del mare fino alla zona collinare, ma si è acclimatato anche nella zona dei laghi prealpini e nella pianura padana nei luoghi sassosi e collinari. È noto in Italia anche col nome volgare di ramerino o ramerrino; il nome del genere deriva dalle parole latine ros (rugiada) e maris (del mare). I Romani fecero del rosmarino il simbolo dell’amore e della morte, Orazio infatti diceva: ” Se vuoi guadagnarti la stima dei morti, porta loro corone di rosmarino e di mirto”. Tuttavia non risulta che fosse utilizzato per condire i cibi. Si usava per aromatizzare il vino, che veniva appunto detto ‘vino al rosmarino’ e come è avvenuto per molte erbe è entrato nella cucina attraverso la via della medicina. Nel Trecento comunque già lo troviamo in uso e, come aroma, sembra essere molto utilizzato. l rosmarino fiorisce da Marzo ad Ottobre, è largamente diffuso ma cresce spontaneamente lungo le coste del Mediterraneo preferendo posti ben soleggiati e con terreno sabbioso. E’ un arbusto sempreverde, molto ramificato appartenete alla famiglia delle Labiate. Il fusto è legnoso; le foglie piccole, sottile e opposte, a forma di lancia con la parte inferiore color verde-grigio e quella superiore quasi argentea. I fiori sono raccolti in spighette terminali, racchiusi in corolle di colore azzurro o biancastro. Il frutto è una piccola capsula. In cucina è un’erba molto utilizzata per aromatizzare varie piatti e pietanze: arrosti, intingoli, piatti a base di patate, torte rustiche. Si usa nei patè di fegato, con l’agnello, il manzo, il coniglio, l’anatra e l’oca. Ottimo anche spolverato su pane e focacce. Comune nella cucina italiana ma di raro riscontro oltre confine. Pianta molto usata in cucina ha anche notevoli proprieta’ medicinali e afrodisiache. L’infuso e’ indicato in casi di vertigini, asma e inappetenza, mentre le foglie, oltre ad aromatizzarli, rendono i cibi piu’ digeribili. Focaccia al rosmarino 400 gr di farina, 15 gr lievito di Birra, 25 cl latte, 2 cucchiai Olio d’oliva, 1 cucchiaino zucchero, 2 rametti rosmarino, 2 cucchiaini sale fino, alcuni grani di sale grosso Sciogliete il lievito nel latte tiepido e con questo impastate la farina, olio, zucchero, sale e rosmarino tritato grossolanamente. Deve risultare una pasta morbida e liscia. Ungete una teglia e adagiatevi la pasta stesa a disco con il matterello. Con le dita pigiate qua e là la superficie e nell’incavo mettete due o tre grani di sale grosso. Spennellatela con l’olio e poi lasciatela riposare per un’oretta.Cuocete la focaccia in forno preriscaldato a 220 gradi per mezz’ora. Tagliatela a rettangoli e servitela tiepida.

..degli alimenti, Storie

La cannella

La cannella vanta una storia millenaria: era già citata nella Bibbia, nel libro dell’Esodo, era usata dagli antichi Egizi per le imbalsamazioni e citata anche nel mondo greco e latino. Importata in occidente con le carovane durante il medioevo, portò gli Olandesi a impiantare un traffico stabile con lo Sri Lanka nella prima metà del 1600, per divenirne i principali importatori d’Europa. È usata in molti modi differenti da secoli. La tradizione occidentale la preferisce impiegata nei dolci di frutta, specie di mele, nella lavorazione del cioccolato, di caramelle e praline, come aroma in creme, nella panna montata, nella meringa, nei gelati e in numerosi liquori. La tradizione orientale e creola la usa anche nel salato, in accompagnamento di carni affumicate e non. Entrambe la amano come aromatizzante del tè.La pianta è nativa dello Sri Lanka e la spezia che se ne ricava è la più fine e costosa I bastoncini interi di cannella vengono utilizzati in cucina quando tale spezia può essere infusa. Quindi, mentre si cuoce una conserva di frutta o una torta di mele, durante la preparazione del curry, di un piatto con riso speziato come il biriyani, oppure quando si fa il vin brulè è indicato l’utilizzo della cannella o della cassia in bastoncini. La fragranza è dolce, profumata, calda e con note piacevolmente legnose, senza traccia di retrogusto amarognolo o pungente La lavorazione della cannella nello Sri Lanka è probabilmente una delle arti che richiede maggiore abilità. Gli artigiani tradizionali oggi mostrano tale arte alle mostre di spezie ed è uno spettacolo affascinante da vedere

..degli alimenti, Storie

Il caffé

La pianta del caffè è originaria degli altopiani etiopici, forse della regione di Kaffa, dalla quale potrebbe derivare il nome. In questi luoghi essa cresce allo stato selvaggio e da tempo immemorabile. Si ignora quando la pianta sia passata nello Yemen o se vi sia cresciuta spontaneamente. Certo è che gli abissini sono i primi a consumare il bunchum, un decotto di bacche e foglie e a preparare una pasta a base di grasso animale e di bacche di caffè pestate in un mortaio di legno o di pietra. La torrefazione del chicco dev’essere avvenuta inizialmente per caso e oggi si spiega la sua origini con l’ausilio di racconti leggendari. La torrefazione risale probabilmente al Quattrocento. Prima sia gli abissini che gli arabi preparano un infuso facendo bollire sia le bacche che le foglie della pianta del caffè.In un primo tempo il caffè viene abbrustolito in un recipiente posto sul fuoco. I chicchi vengono poi posti su di una pietra piatta. Oggi lo stesso procedimento avviene in fabbrica. In casa si utilizzano a lungo piccoli tamburi di forma cilindrica o sferica con una manovella, con i quali vengono abbrustolite piccole quantità di caffè.Il caffè torrefatto conserva le sua qualità per breve tempo. Per quanto riguarda la macinazione, essa deve adattarsi alla preparazione: fine per la macchina espresso, media per i filtri, più grossa per la caffettiera di tipo napoletano.L’ideale sarebbe abbrustolire e macinare il caffè consumato ogni giorno.

..degli alimenti, Storie

Il farro

Il farro è la forma primordiale del frumento, venne coltivato già dai celti e dagli egiziani. Oggi le zone coltivabili di farro le troviamo in tutta l´Europa. Il farro e il frumento sono parenti genetici. Però il farro è il cereale meno esigente: è più robusto, resistente al freddo e meno soggetto a malattie. In più il farro possiede un contenuto proteico più alto di altri cereali, più vitamine, acidi grassi essenziali, magnesio e aminoacidi. Il farro è famoso per essere stato la base dell’alimentazione delle legioni romane che partirono alla conquista del mondo, Veniva usato principalmente per preparare pane, focacce (libum) e polente Tuttavia, la sua coltivazione è andata via via riducendosi nel corso dei secoli, soppiantate dal grano tenero (discendente dal farro grande) e duro (discendente dal farro medio), con resa maggiore e costi di lavorazione inferiore.Oggi spesso la coltivazione del farro è associata all’agricoltura biologica e al tentativo di valorizzare zone agricole marginali, non adatte alla coltivazione intensiva di grani cereali. Nonostante l’alto costo, c’è stato un certo successo in questo lavoro di riscoperta, dovuto alle caratteristiche organolettiche e nutrizionali (maggiore contenuto proteico rispetto ad altri frumenti) di queste tre specie. Si sente parlare sempre più spesso di farro e delle sue proprietà alimentari. Al tempo dei romani, ne costituiva la base alimentare. Ma l’età è ben più venerabile: 7000 anni a.C. il farro era già coltivato; in Puglia dal 5000 a.C. Quindi una coltura che ha segnato un modo di vivere, di produrre e di alimentarsi.La coltivazione del farro in Italia sembra sia partita proprio dalla Puglia, quindi nei secoli successivi si è diffuso in numerose altre località risalendo il versante adriatico. In Italia settentrionale troviamo il farro in provincia di Cremona intorno al 4300 a.C.Le legioni romane conquistarono il mondo nutrendosi di questo cereale. La farina di farro era usata per preparare il puls che costituiva il piatto più conosciuto nell’antica Roma. Oggi il farro è consumato nelle zuppe e nelle minestre, i chicchi vestiti sono molto apprezzati in cucina quali componenti di numerose ricette. Il pane di farro si conserva più a lungo ed è caratterizzato da un aroma particolare, si presenta di grosso volume con una crosta saporita e croccante.

..degli alimenti, Storie

L’ulivo e l’olio

La prima olivicultura si sviluppa in Palestina, in Siria e a Creta, luoghi d’origine delle più antiche civiltà. Nella celebre isola si sono trovate anfore per la conservazione dell’olio, vasi di terracotta, mortai di pietre e piccole, primitive presse e i resti di un torchio. Altre fonti che ci parlano della produzione di olio e della sua commercializzazione sono costituite dalle tavole d’argilla della Stanza delle basi delle colonne a Cnosso, un vero e proprio libro di conti dell’amministrazione del palazzo, e ancora dalla pittura murale (1500 a.C.). Il trasporto dell’olio avviene con navi colme di pithoi, vasi e otri in pelle di capra destinati ai paesi affacciati su tutto il Mediterraneo e in particolare all’Egitto, dove sono preferiti i cosiddetti vasi a staffa, che troviamo raffigurati all’interno delle tombe dei faraoni.  Qui l’olio ha un ruolo di primaria importanza nei riti religiosi e funebri: vi sono ramoscelli d’ulivo tra i doni rinvenuti nel sepolcro di Tutankamen; ghirlande di fiori e ramoscelli d’ulivo compongono i colletti cinti dai sacerdoti durante il rito dell’inumazione; l’olio viene usato per ungere i corpi e le teste dei defunti da mummificare; durante le sacre funzioni, solo chi ha capelli, viso e piedi spalmati d’olio può avvicinarsi agli idoli. Infine, piante di ulivo sono comprese tra le offerte e i lasciti votivi . Per quanto riguarda la fascia costiera tra Egitto e Palestina, l’importanza della coltivazione dell’ulivo tra gli ebrei è testimoniata dalle innumerevoli citazioni presenti nella Bibbia, prima tra le quali quella relativa al ramoscello che la colomba porta a Noè quale prova della fine del diluvio. Con gli ebrei vivono inoltre i filistei produttori di olio per l’illuminazione e per i balsami: una campagna archeologica della prima metà degli anni ottanta scopre a Tel Mique Akron, vicino a Tel Aviv, un enorme impianto per la lavorazione delle olive con quasi 100 presse e macine risalente al 1000 a.C. circa. Esso può essere considerato uno dei più importanti complessi industriali dell’antichità, la cui produzione annua si aggira tra le 1.000 e le 2.000 tonnellate. Nel 1874 l’archeologo tedesco Schliemann dà il via ad una famosa campagna di scavi a Micene, culla della civiltà egea e nello splendore della residenza regia trova semi d’ulivo, lampade ad olio, recipienti con resti oleosi. Lo stesso accade a Tirinto e in tutta l’Argolide.Gli scavi successivi confermano gli entusiasmi iniziali: in un insediamento ai piedi della fortezza micenea si scopre, tra le altre, l’abitazione di un commerciante d’olio con 30 bricchi chiusi e sigillati e 11 pithoi che risalgono al XIV-XIII secolo a.C. Ricerche più recenti (1954-1956) a Micene nella Casa delle sfingi e a Pylos, nel Peloponneso meridionale, portano alla luce liste dettagliate di aromi quali il finocchio, sesamo, giunco, sedano, crescione, menta, salvia, rosa, ginepro, da mescolare con l’olio per la fabbricazione di unguenti.Se gli scavi archeologici hanno confermato le suggestioni contenute nell’Iliade e nell’Odissea, innumerevoli sono i riferimenti alla centralità della pianta dell’ulivo e dei suoi frutti in epoca successiva soprattutto nell’arte greca, nei bassorilievi, nella pittura e sui vasi ed anfore dipinti. Se le fonti ci raccontano del consumo che viene fatto nel mondo antico delle olive e dell’olio d’oliva nell’alimentazione, nella cosmesi, nella medicina, nel culto e nella casa esse dicono molto anche sul lavoro e la tecnica di coltivazione, sulla raccolta e sulla produzione del frutto e dei suoi derivati. Momenti decisivi sono l’aratura, la potatura, la raccolta.Ai tempi di Plinio passa un certo tempo tra la raccolta e la molitura al torchio, che avviene in un locale dove si trovano le macine e la pressa. Un notevole progresso è costituito dall’utilizzo del torchio a vite in legno, utilizzato a partire dal I secolo a.C.

..degli alimenti, Storie

La polenta

La polenta  di oggi  discende da impulsi antichi. La ricetta, allora,  variava a secondo del luogo, del tempo e delle persone,. I primi ingredienti (orzo, farro, piselli, fagioli, eccetera) erano indigeni. Il granturco è stato introdotto a seguito del ritorno di Colombo dall’America. Questo particolare prodotto di base è stato facile farlo crescere anche in Europa poichè facilmente adattabile. In tutti i casi, l’alimento “ polenta” era conosciuto  come poco costoso e facile da cucinare .e come tale consumato dalle classi più povere della società. Il cibo italiano rispecchia la storia d’Italia. Una componente importante di questa storia è il record di arrivi, per un periodo di 3000 anni, di ondate di popoli invasori. Alcuni di loro arrivarono e se ne andarono; altri rimasero. Ogni nuova razza ha portato con sé i propri costumi, le proprie tradizioni e le proprie abitudini alimentari. Tre di loro, in particolare, ha posto le basi per la cucina italiana di oggi. Furono gli Etruschi, i Greci ei Saraceni … per quanto riguarda la polenta ognuna delle tre ha lasciato un marchio specifico. quella etrusca era una specie di poltiglia a base di grano, e gli altri una sorta di torta friabile. Non sembra un cibo  particolarmente gustoso, ma con  esso le legioni romane conquistarono il mondo. i Romani, lo chiamavano puls, e più tardi pulmentum. E oggi polenta, e si mangia in tutto il nord Italia,“L’impero romano aveva effettivamente eseguito un servizio importante per la cucina degli Etruschi.,infatti è ampiamente diffusa. E l’esempio più significativo  è quello del primo piatto universale di base, che ha dato l’Etruria a Roma, la pulmentum, Il suo discendente moderno, la polenta si consuma infatti in quella che fu la frangia settentrionale della conquista etrusca, Piemonte, Lombardia e le Venezie .. . ” “… Nel tracciare la storia delle risorse in Italia dei prodotti gastronomici, non dobbiamo trascurare il fatto che in gran parte, questo piatto antico, nella  storia ha svolto un ruolo vitale nel nutrimento dei poveri, offrendo loro un arma fondamentale nella loro lotta quotidiana per la sopravvivenza . In questo senso, dobbiamo sottolineare che l’uso della polenta,  rivela la continuità della cucina italiana, che risale a molto prima del Medioevo, per i costumi degli antichi popoli italici che abitavano la penisola nell’antichità . Questo era un alimento fondamentale nella dieta dei contadini, fin dall’epoca romana, quando era  preparato con farina di farro. Nel corso del tempo, il farro è stato usato insieme a farina di frumento,  e con altre varietà di minor valore, come l’orzo e il miglio. Dato che non erano idonei  per fare il pane, queste colture avevano la funzione di  trasmettere e diversificare la cultura primordiale di polenta …a Lucca nell’anno 765, compare in un documento dove v’è scritto riferimenti al cibo da distribuire tre volte alla settimana in elemosina ai poveri… la polenta  .Polenta e la zuppa sono gli alimenti dei poveri destinati soprattutto a placarne i morsi della fame che hanno lasciato tracce significative nei manuali di cucina rivolti alle classi superiori. Il piatto di ‘semi spezzati ‘ raccomandato dallo scrittore napoletano del Liber de coquina all’inizio del XIV secolo è davvero un tipo di polenta fatta con fagioli, ampiamente documentato come piatto tipico della dieta dei contadini. La prima vera  polenta deve essere stata un fenomeno interessante da vedere. questo cibo di un giallo sorprendente,  più fresco del pane. Alcuni credono che la polenta sia una specialità del Nord Italia ma la polenta è così popolare in Italia meridionale, in particolare intorno a Benevento e Avellino, dove la polenta e salsiccia è uno dei piatti preferiti “. Mille sono i modi per gustarla.., appena cotta riversarla, tagliarla a fette con un filoe farne strati con burro e formaggio …ma  e’ il Veneto,  che ha portato  la polenta ad alti liveli culinari.. la polenta  pastizzada, stratificazione di polenta con carne di vitello macinata, funghi e creste di gallo in salsa di pomodoro… è la sua famosa polenta e osei  con – polenta fresca, gli uccelli migratori, il vino dalla cantina popolare e gioioso “. 

Torna in alto