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Il cibo nel tempo, nel Medioevo

La zucca fritta di Martino da Como

Il Libro de Arte Coquinaria scritto fra il 1456 e il 1467 è considerato il caposaldo della cultura gastronomica, condensa in 65 fogli non numerati e scritti in lingua volgare, l’arte di cuoco estroso e modernizzatore di Maestro Martino. Uno dei principali elementi distintivi dei suoi piatti, è il recupero del gusto originale delle materie prime, evitando l’abuso di spezie, com’era d’abitudine nella tradizione medioevale quando le spezie, e la loro abbondanza, simboleggiavano la ricchezza del padrone di casa. Togli de le zucche et nettale bene. Et dapoi tagliale per traverso in fette sottili como la costa d’un coltello. Et dapoi gli fa’ trare solamente un boglio in acqua, et cacciale fore; et dapoi le poni a sciuttare. Et poneli de sopra un pocho pocho di sale et involtale in farina bella, et frigile in olio. Dapoi cacciale fore et togli un pocho di fiore de finocchio, un pocho d’aglio et di mollicha di pane; et pistali bene et distempera con agresto in modo che resti ben raro, et passa per la stamegnia, et getta questo tal sapore sopra le ditte zucche. Le quali etiamdio son bone ponendogli solamente di sopra  agresto, et fior di finocchio. Et se voi che ‘l ditto sapore sia giallo mettevi un pocho di zafrano. Zucche fritte Per 6 persone: Una zucca da 1 kg, farina, 1 cucchiaio di semi di finocchio pestati, 1 fetta di pane casereccio, 2 spicchi d’aglio, 1 bustina di zafferano, 1 bicchiere d’agresto   ( oppure metà di aceto balsamico e metà di aceto di vino), olio extravergine d’oliva, pepe, sale Sbucciare la zucca, togliere i semi, tagliarla a fette spesse due millimetri che farete scottare per due minuti in acqua salata bolente. Scolarle e metterle ad asciugare su un panno; passarle quindi nella farina pigiando in modo che aderisca bene alle fette. Tritare l’aglio e il pane aggiungendo i semi di finocchio e lo zafferano in polvere miscelando il tutto con l’aceto; risultera’ cosi’ una salsa piuttosto liquida. In una padella versare l’olio d’oliva in abbondanza e farlo scaldare fino a che, immergendo una briciola di pane non la si vedrà soffriggere. Friggere così le fette di zucca da ambo le parti fino a che’ risulteranno dorate e croccanti, scolare l’olio in eccesso e salarle. Disporre le fette su un piatto e coprirle con la salsa all’aceto; lasciarle in infusione, non in frigorifero, per due o tre ore. Prima di servire spolverizzatele di pepe. Questo piatto e’ buono anche il giorno dopo. tratto da “Maestro Martino Libro de arte coquinaria” Ed. G.Tommasi

Il cibo nel tempo, nel Medioevo

Le Mousse.. da un manoscritto del 1350

Mousse di mele cotogne Se vuoi preparare una mousse di cotogne, procuratene nella quantità che piu’ ti aggrada e mettile a lessare. Prendi un mortaio e ricava dalle cotogne una purea che farai filtrare attraverso un telo.prendi poi dei tuorli e aggiungili al resto degli ingredienti, continuando a mescolare. Aggiungi dello zucchero ma non salare.Per 4 persone1kg di mele cotogne, 1,5 dl di acqua, 50 gr di zucchero, 1 tuorlo. Lavare con molta cura le mele, tagliarle in quattro parti, asportare il nocciolo. Sbucciarle solo se la buccia presenta delle macchie, quindi tagliarla a pezzetti. Versare l’acqua in una pentola, immergere i pezzetti di mele e far bollire per 15-20 minuti. Quando saranno ammorbidite, metterle nel frullatore e creare una purea; rimettere tutto sul fuoco continuando a mescolare e aggiungere lo zucchero e il tuorlo. Travasare in una scodella di vetro o in coppette e far raffreddare Mousse di pereSe vuoi preparare una mousse di pere prendi delle pere, tagliale con cura e mettile a bollire in un tegame con vino e strutto. Filtrale in un telo e amalgale a dei tuorli d’uovo. Se vuoi guarnirle spolverale con spezie Per 4 persone500 gr di pere, 1,5 dl di vino bianco secco, 20 gr di burro, 50 gr di zucchero, cannella, 4 cucchiai di panna, 3 tuorli Sbucciare le pere, privarle del torsolo e tagliarle a pezzetti. Metterle in un tegame con vino e burro e farle bollire. A cottura ultimata passare il composto di pere al setaccio, insaporirlo con zucchero e cannella, aggiungere la panna. Rimettere il composto nel tegame e aggiungere i tuorli mescolando con cura facendo addensare sempre mescolando. Travasare in coppette e far raffreddare. Mousse di noccioleSe vuoi preparare una mousse di nocciole sgusciale e pestale finemente. Poi passale attraverso un telo insieme al latte dolce rappreso e a una pagnotta sbriciolata, facendo poi cuocere il tutto in una pentola. Mescolando bene aggiungere una sufficiente quantità di grasso e alcuni tuorli e decora la mousse colorandola con lo zafferano. Per 4 persone150 gr di nocciole, ½ lt di latte, 75 gr di zucchero, 50 gr di farina di riso, 1 panino al latte, 20 gr di burro, 2-3 tuorli, 1 bustina di zafferano Sminuzzare finemente le nocciole servendosi di un frullatore. Ammorbidire nel latte il panino e passarlo nel frullatore. Amalgamare l’impasto di nocciole al latte rimanente, allo zucchero e alla farina di riso. Disporre il composto in un tegame e metterlo sul fuoco insaporendolo con lo zafferano. Continuando a mescolare portare ad ebollizione quindi toglierlo dal fuoco e, sempre mescolando, unire il burro e i tuorli. Far bollire ancora una volta per breve tempo infine travasare in una scodella di vetro. Dal manoscritto Ein Buch von guter spise (1350) “Cucina Medievale” G.Tommasi Ed

Il cibo nel tempo, nel Medioevo

La torta di ciliegie del Plàtina (1480)

Piglia delle ciliegie, leva il nocciolo e pestale ben bene nel mortaio con delle rose rosse, poi aggiungi del cacio grattato o del cacio fresco, un poco di pepe, un poco di zenzero e quattro uova sbattute, mescola bene poi spalma di grasso una casseruola, mettici un fondo di pasta e versaci la composizione, poi cuoci a fuoco lento, e quando la levi dal fuoco versaci sopra dello zucchero che avrai sciolto in acqua di rose Per 4 persone 200 gr di farina, 80 di burro, ½ dl d’acqua, 1 pizzico di sale, 1 kg di ciliegie, 8 cucchiai di petali di rosa rossa, 200 gr di mascarpone, 1 pizzico di pepe, ½ cucchiaino di zenzero, 4 uova, 4 cucchiai di zucchero, 2 cucchiai di acqua di rose. Impastare la farina con il burro unendo l’acqua e il sale. Lasciar riposare la pasta in frigorifero per un’ora poi stenderla e foderare una teglia imburrata. Snocciolare le ciliegie, levare il bordo bianco ai petali di rosa e pestarli insieme alle ciliegie. Con il mascarpone, il pepe il sale lo zenzero grattugiato e le uova sbattute fare una glassa, mescolarla bene alle ciliegie e ai petali di rosa e distribuirlo sul fondo della pasta stesa. Cuocere in forno a 180° per 40 minuti poi cospargere di zucchero e spruzzarla con acqua di rose da De honesta voluptate et valetudine.(1480)

Il cibo nel tempo, nel Rinascimento

Frictelle de salvia di M. Martino (1460)

La parola ‘frittella’, come il verbo ‘friggere’, ha un’origine etimologica onomatopeica: deriva il suo nome dal “rumore”, dallo sfrigolio dell’unto nella padella. Era una pietanza, e un metodo di cottura, allora come oggi, molto comune e non è difficile reperire anche nei testi letterari la loro menzione Dal Libro de arte coquinaria Composto per lo Egregio Maestro Martino da Como (sec.XIV) Coquo olim (un tempo) del Reverendissimo Monsignor Camerlengo et Patriarca di Aquileia Piglia un poco di fiore di farina, et distemperala con ova et un poco di cannella et zafrano perche’ sia gialla, et habi de le foglie di salvia integre, et ad una a una l’intingerai e involterai in questa tale composizione, frigendole nel strutto o in buon olio. 15 foglie di salvia 100 g di farina 1 uovo 1 bustina di zafferano 1 pizzico di cannella sale olio di oliva Lavare e asciugare le foglie di salvia. Unire all’uovo la cannella, lo zafferano e un pizzico di sale e sbatterlo come per fare una frittata.Aggiungere la farina poco alla volta per evitare grumi.La pastella dovrà risultare piuttosto densa. Immergere le foglie nella pastella e friggerle nell’olio ben caldo, rigirandole per farle dorare da ambo i lati.

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La salvia

Il nome di questa pianta è di origine latina – Salus Salvus – che significa ”salute” , ”in buona salute” e ”sano”, con richiamo alle riconosciute proprietà curative e medicamentose. I Galli la consideravano una panacea capace di guarire tutte le malattie. I Druidi la usavano contro febbre, tosse, paralisi, epilessia e anche per favorire il concepimento e il parto attribuendole, altresì, il potere di resuscitare i morti ed aggiungendola all’Idromele e alla Cervogia (birra), per essere in grado di profetare e dare forza ai loro incantesimi. Presso i Romani era considerata pianta sacra che poteva essere raccolta da persone ‘’elette’’, vestite in un modo particolare, dopo aver fatto sacrifici con pane e vino, senza usare utensili di ferro perché tale metallo è incompatibile con la Salvia.Un trattato del medioevo recita che “Il desiderio della Salvia è di rendere l’uomo immortale” e Maria Treben racconta che, in un antico erbario, si scriveva che quando la S. Vergine dovette fuggire con il Bambino, chiese aiuto a tutti i fiori campestri, ma solo la Salvia le dette riparo sotto al suo folto fogliame per sfuggire agli sgherri di Erode. Quando il pericolo fu cessato, la Vergine disse con gratitudine alla Salvia che, per l’eternità, sarebbe stata la pianta preferita dagli uomini perché li avrebbe salvati da qualunque malattia e dalla morte. Chiamata “Salvia salvatrix” dalla Scuola Salernitana, anticamente si riteneva che favorisse la fertilità delle donne.Molto apprezzata dai Cinesi che la ritenevano capace di donare la longevità, nel 1600 un cesto di foglie di salvia veniva scambiata dai mercanti olandesi con tre cesti di Tè.L’antica medicina ne faceva largo uso come potente cicatrizzante su ferite e piaghe difficili da rimarginare.È originaria dell’Europa meridionale, in particolare nella regione mediterranea, viene anche coltivata commercialmente in vari paesi.Si dice che la salvia sia una delle piante preferite dalle api.Nel Medioevo le levatrici la usavano per favorire le contrazioni uterine durante i parti laboriosi. Proprio per questa sua caratteristica, non è consigliata alle donne in gravidanza.Sempre secondo le tradizioni, era utile contro i morsi di serpente.Alcuni detti popolari vogliono che nelle case dove la salvia cresce bella e forte sia la moglie a spadroneggiare, mentre se la pianta di salvia che si ha in giardino muore, gli affari andranno male. Si pensa che, come il rosmarino, stimoli la memoria e sia utile per il cervello in genere, un tempo era usata per alleviare le emicranie croniche. La salvia ha un gusto abbastanza pungente ed aromatico ad un sottile gusto di canfora.Viene utilizzata in vari modi: in Italia per saporire piatti di carne (in particolare vitello e fegato di vitello) o si fa soffriggere con il burro per condire primi piatti; i tedeschi la usano per insaporire le anguille e nei paesi mediterranei vengono infilate negli spiedini alternate a dadini di carne e verdura.Usata nella pasta dei formaggi o delle salsicce, la salvia tritata insieme alla cipolla viene impiegata anche nella preparazione di ripieni per il maiale ed il pollo. Frictelle de salvia del Maestro Martino

Il cibo nel tempo, nel Rinascimento

La Carbonata del Maestro Martino (1460)

Liber de Arte Coquinaria- Maestro Martino da Como scritto e rivisitato negli anni che vanno dal 1456 al 1467. L’opera rappresenta il punto di riferimento per la conoscenza dell’arte della cucina tra l’Altro Medioevo ed il Rinascimento e assunse il ruolo di libro mastro per tutta la nuova cucina. Le sue innovazioni ispirarono Bartolomeo Sacchi verso nuove osservazioni sugli aspetti dietetici della cucina. sull’importanza del sapore autentico delle materie prime, valorizzando l’allora “cibo del territorio” Togli la carne salata che sia vergellata di grasso et magro insieme, er taglia in fette, et ponile accocere ne la padella e non lassare troppo cocere. Dapoi mettile in un piattelo et gettavi sopra un pocho di zuccharo, un pocho di cannella e un pocho di petrosillo tagliato menuto. Et similmente  poi fare de summata  o presutto, giongendoli in scambio d’aceto, del sucho d’arancia, o limone quel che piu’ ti piacesse.  fettine sottili di pancetta o prosciutto crudo, 1 cucchiaio di zucchero,succo di arancia o limone oppure aceto, 1 cucchiaio di prezzemolo trito, una spolverata di cannella. Far dorare le fettine di pancetta o prosciutto in una padella gia’ calda senza grassi. Mettere da parte su un piatto caldo e nella padella aggiungere lo zucchero, l’aceto o la spremitura di arancia o limone, portare a ebollizione e aggiungere il prezzemolo, la cannella, bollire qualche istante e versare sulle fettine calde.Servire subito. spunti tratti da A Tavola nel Medioevo  di Reddon Sabban e Serventi Ed. Laterza

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Le fragole

Da reperti archeologici dell’epoca Preistorica sappiamo che già se ne cibavano le tribù primitive.Nei poemi come nella Bibbia, nelle favole mitologiche e nei più antichi trattati di medicina e botanica, si trovano elogi e menzioni di questo frutto. Virgilio le elogia in una sua celebre egloga, in cui invita i golosi fanciulli a guardarsi dai serpenti nascosti nell’erba, quando vanno nei boschi a raccogliere le “nascentia fragra”. Shakespeare, che ne era golosissimo, lo definisce “cibo da fate”.Nella storia sacra si parla spesso della fragola come alimento benefico e incomparabile dono di Dio. Si sa che era un cibo prediletto da San Giovanni Battista, convinto vegetariano, che si nutriva quasi esclusivamente di frutta, ma anche dall’austero San Francesco di Sales, che ne lodava la fresca innocenza e il meraviglioso sapore.La fragola ha avuto riconoscimenti da parte di medici,erboristi e naturalisti di ogni tempo.Plinio ne parla come di prezioso frutto del bosco da amare ed apprezzare; il grande Linneo, fondatore della moderna botanica, ma anche valente medico ed erborista, la definisce “bene di Dio”, affermando che, secondo la sua diretta esperienza, la fragola è incomparabile rimedio contro la gotta. Sembra che anche gli antichi romani conoscessero e apprezzassero questo frutto selvatico, che nel Medioevo, divenne addirittura il simbolo della tentazione.Le dame francesi di quell’epoca si procuravano le fragole dai contadini e si deliziavano nel mangiarle con zucchero e panna. Anche Luigi XVI, il re Sole, aveva una vera passione per le fragole, al punto da farle coltivare nei giardini di Versailies. Se è vero che la fragola era conosciuta fin dai tempi antichi, è anche vero che i tipi di fragole che sono oggi in commercio hanno un’origine abbastanza recente. Infatti fino al 1400 l’unico tipo di fragola esistente era quella selvatica; sembra che i primi tentativi di coltivazione risalgono proprio a quel periodo in Inghilterra, paese dove il frutto selvatico era particolarmente diffuso.Da notare che gli inglesi per tradizione sono golosissimi di fragole; le hanno anche nobilitate inserendo delle piante di fragole come ornamento in molte corone duttili.Dobbiamo però arrivare al ‘700 per trovare negli orti e nei giardini questo frutto, ingrediente prezioso e prelibato nelle preparazioni tipiche della cucina di quel tempo. La fragola moderna ebbe infatti origine in Francia, nel 1766, come incrocio tra due qualità selvatiche americane, la “Fragaria Virginiana” degli Stati Uniti orientali e la “Fragaria Chiloensis” della costa dei Pacifico. Il primo ibrido (“Fragola Ananassa”), più grande e più gustoso delle due piante madri, venne in seguito ibridato e reibridato. Nel 1892 Thomas Laxton, un coltivatore inglese, produsse da questa specie la squisita “Royal Sovereign”, ancora considerata la fragola dal sapore migliore.

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Il cioccolato

La sua storia e’ ricca e le sue origini prendono forma oltre 4000 anni fa.. La prima civilta’ a cadere in adorazione davanti alla cioccolata fu la popolazione olmeca dell’America centrale intorno al 1500 a.C. Per i Maya i semi del cacao furono simbolo di vita e fertilità, rappresentati spesso in rituali religiosi. Nella cultura Atzeca viene attribuita la creazione della pianta del cacao al loro dio Quetzalcoalt che, trasportato da una stella mattutina, discese dal cielo portando con se una pianta di cacao rubata dal Paradiso. Tanto nella cultura Maya che Atzeca i semi di cacao costituivano la base per una bevanda densa e amara denominata “xocoalt” o “elisir di lunga vita”. Veniva raccolto, lasciato fermentare, arrostito e macinato, mescolato con acqua, peperoncino e farina d’avena ..il risultato era una bevanda schiumosa e piccante. I semi erano simbolo di ricchezza e venivano usati come moneta di scambio: un uovo costava 3 semi. Il tesoro di Moctezuma, il re Atzeco, ne conteneva un miliardo. Gli Atzechi credevano che forza e saggezza traessero origine da questa bevanda che godeva pure fama di afrodisiaco. Pare che Moctezuma , per gustare questo prezioso nettare, usasse calici d’oro che venivano buttati dopo averli usati una sola volta… “rituale” che, pare, si ripetesse cinquanta volte al giorno! Il Vecchio Mondo conobbe questi “fagioli scuri” grazie a Cristoforo Colombo che al ritorno dell’ultimo viaggio li porto’ con se, insieme ad altre cose sconosciute e meravigliose..la Spagna arricchi’ con spezie, cannella, noce moscata, vaniglia, il gusto amaro del cacao e qualcuno decise che se servito caldo aveva un sapore migliore. Fernando Cortez non gradiva la bevanda ne’ calda ne’ fredda, ma quando nel 1519 conquisto’ il Messico la sua curiosita’ fu destata dal valore di questi semi usati come valuta e decise di farne una piantagione in nome della Spagna, pensando così di “coltivare soldi”. Per molti anni le navi tornavano dall’America colme di raccolto… la Spagna custodì il segreto del cacao per oltre cent’anni. Tant e’ che i bucanieri inglesi, che intercettavano le navi, distruggevano il carico pensando fosse inutile. In Francia il cacao arrivò attorno al 1650 quando la principessa Maria Theresa porto’ in dono di nozze a Luigi XIV un cofanetto di semi e la bevanda che fece conoscere fu definita dai francesi “ orribile miscuglio liquido e marroncino” Una mistura fredda chiamata “tlaquetzalli” (cosa preziosa) aveva un accentuata componente di peperoncino e sembra sia andata scomparendo e che non se ne siano state tramandate ricette ma alcune delle prime versioni europee della cioccolata derivano sicuramente da essa. L’arte e la letteratura si ispirarono spesso a linguaggi erotici evocati dal cioccolato ..dal Marchese de Sade a Casanova, che usava champagne e cioccolato per sedurre le signore. In Inghilterra arrivo’ dopo vent’anni quando un francese apri’ a Londra, il primo negozio. Attorno al XVII secolo era diventata una moda, uno status symbol per gli aristocratici, spesso raffigurati in dipinti dell’epoca che oziano con una tazza di cioccolata tra le mani. In Germania venne adirittura imposta una tassa ..” per chiunque decidesse render omaggio ai propri piaceri”. Nel 1820 le piantagioni di cacao erano sparse per tutto il globo ed ebbe inizio la produzione di macchinari e strumenti per renderlo il piu’ possibile commerciabile. Tecniche segrete di torrefazione, di miscela, ricette tradizionali o interpretazioni innovative e creative sono state tramandate di generazione in generazione. Il cioccolato evoca sensazioni di totale piacevolezza; e’ per il palato cio’ che il velluto e’ per il tatto…..piacevole e pigramente erotico; ogni senso di colpa e’ sopito da tale dolcezza.

Ricette, Tradizioni

Gnòc a la mulinèra

Fra le nebbie del fiume Po hanno preso le mosse svariati racconti e curiosi aneddoti, che più di qualcuno rammenta ancor oggi con un pizzico di fervida nostalgia. Erano tempi in cui nel paesaggio fluviale esistevano mulini e miseria. Nel 1873 solo nella zona del ferrarese c’erano ben 173 impianti natanti. I “molinari” trascorrevano le loro giornate nei mulini per custodirli e per lavorare i preziosi cereali raccolti di casa in casa, e che poi trasportavano alle macine in sacchi robusti e capaci. Farina e acqua erano i loro “ingredienti” quotidiani.Nella bassa cremonese viveva Teresa, figlia di un “molinaro”. Teresa gestiva un’osteria e ai commensali proponeva spesso un piatto che il padre cucinava per la propria famiglia, va da sé utilizzando gli ingredienti disponibili: farina e acqua! Per gli gnocchi – in quegli anni – utilizzare le patate era assolutamente fuori discussione. Si trattava di un autentico lusso, e casomai il prezioso tubero era usato assieme al condimento degli gnocchi, naturalmente in compagnia dei fagioli e del pomodoro. Per imbastire questa leccornia è sufficiente un po’ di farina e una pentola d’acqua bollente:ed ecco gli “gnocchi a la mulinèra”. La farina di grano tenero, impastata con acqua portata all’ebollizione (impastare con una forchetta, così da non scottarsi le mani), forma un composto consistente ed elastico, grazie all’azione del reticolo glutineo che l’acqua calda innesca con la farina. Una volta ottenuto l’impasto sarà diviso in rotolini lunghi e spessi che successivamente saranno “sezionati” in piccoli pezzetti di 3-4 cm (al max) di lunghezza. La caratteristica principale sta, soprattutto, nella trasformazione dei tocchi d’impasto in gnocchi, strisciando sulla spianatoia la pasta con tre dita e realizzando così la forma di una sottile barchetta arrotolata su se stessa. Segue una veloce sbollentata in acqua poco salata e, una volta scolati, vengono uniti in più strati al tradizionale condimento: la patata lessa schiacciata nella passata di pomodoro in compagnia dei fagioli borlotti. Con la loro forma singolare “catturano” in modo esemplare il condimento sopra descritto. Un territorio puo’ essere raccontato in molti modi, anche attraverso un piatto e gli ingredienti rivelano il passato di gente comune e di una terra ricca di storie come questa Teresa, raccontando la sua storia, prepara questi gnocchi

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