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Il cibo nel tempo, nel Rinascimento

La diriola

Questo dolce, particolarmente gradito e apprezzato nel medioevo, era tipico dei banchetti nuziali e presenta anche particolarità curiose rispetto alla cucina moderna, come la “spruzzata” finale con acqua di rose. Sembra che la sua origine sia francese ma la ricetta di Maestro Martino la si trova nel Capitolo IV: Per Far Ogni Ragion Torte da “Libro de Arte Coquinaria” (sec. XV) ..impiela ben di farina che stia deritta cocendola in la padella tanto che sia un poco secca. Et facto questo cava fora la ditta farina, et prendirai alcuni rosci d’ova, de lo lacte, del zuccaro et de la cannella. Et facta di queste cose una compositione la mettirai in la dicta pasta facendola cocere al modo de una torta, movendola tutta et volgendola col cocchiaro. Et come tu vidi che incomincia a pigliarsi sopragiogneli un poco d’acqua rosata et volta bene collo cocchiaro. Et quando sera’ fornita di prendere sera’ cotta. Et nota che non vole cocere troppo et vole tremare como una ionchata. Sistemerai la pasta a forma di pasticcio e la riempirai bene di farina perche’ rimanga ben dritta quando la cuocerai nella padella per farla asciugare un po’. Cio’ fatto, togli la suddetta farina e prendi alcuni rossi d’uovo, latte zucchero e cannella. E fatto un composto con queste cose, lo metterai nella suddetta pasta cuocendola come una torta muovendola continuamente rimestandola col cucchiaio. E non appena vedi che comincia a rapprendersi, spuzzale un po’ di acqua di rose e rimesta col cucchiaio. E quando sara’ completamente rappresa, sara’ cotta. E bada che non deve cuocere troppo e deve tremolare come una giuncata. Pasta brise’250gr. di farina 125gr. di burro sale e acqua q.b.Ripieno 75cl.latte fresco 6 rossi d’uovo 300gr. zucchero 1 bel cucchiaio di cannella in polvere acqua di rose Preparare la pasta brise’ e conservarla 1 o 2 ore in luogo freddo. Procedimento: Stendere una sfoglia e foderare una tortiera dai bordi alti. Cuocerla senza farla colorire in forno caldo a 220° per circa 20minuti riempendola di fagioli o anche di farina come indica la ricetta originale.. Nel frattempo sbattete le uova con lo zucchero, aggiungere latte e montare con la frusta. Profumare con la cannella, versare il ripieno nella sfoglia precotta e mandare in forno caldo 220/240° per circa 1 ora sorvegliando la cottura.Se la superficie colorisce troppo proteggerla con carta d’alluminio.. Quando il ripieno si e’ rappreso, cioe’ quando trema leggermente nel muovere la diriola, il dolce e’ pronto. Toglierlo dal forno e bagnarlo con 2 o 3 cucchiai d’acqua di rose.

I Tipici

Limone di Sorrento IGP

Di origini antiche, se è vero che la presenza di limoni nell’area sorrentina è certificata da documenti storici del 1500, il “Limone di Sorrento” IGP ha in effetti antenati genetici che risalgono addirittura all’epoca romana. Su numerosi dipinti e mosaici rinvenuti negli scavi di Pompei ed Ercolano sono raffigurati infatti limoni molto simili agli attuali “massesi” e “ovali sorrentini” che testimoniano l’utilizzo di tali frutti profumati sulle mense dei nostri avi latini. Ma le più importanti documentazioni sulla presenza di limoni nella zona risalgono all’epoca rinascimentale. Atti di vendita, dipinti, trattati di letteratura e di botanica ci raccontano dell’impiego dei limoni prodotti localmente per i più svariati usi, anche se dobbiamo attendere il 1600 per avere la certezza della coltivazione in forma specializzata, come risulta dagli atti dei locali Padri Gesuiti. Ancora oggi esiste uno dei primi fondi coltivati, nominato appunto “Il Gesù”, situato nella Conca di Guarazzanno, tra Sorrento e Massalubrense. Questa testimonianza avvalora la tesi che è proprio da questi due comuni della Penisola Sorrentina che hanno avuto origine i nomi della varietà da cui si trae il prodotto: “Ovale di Sorrento” e “Massese”. Citato nelle opere di Torquato Tasso, nativo proprio di Sorrento, Giovanni Pontano e Giambattista della Porta, il “Limone di Sorrento” arriva fino all’800, quando lo storico Bonaventura da Sorrento ne testimonia la spedizione in tutto il mondo, soprattutto attraverso i bastimenti diretti verso l’America. Si deve comunque alla tenacia e alle capacità dei produttori locali, che sono andate sviluppandosi nel corso dei secoli, se oggi disponiamo di un prodotto altamente selezionato e di assoluta qualità. E’ soprattutto grazie al loro impegno che lo stesso paesaggio è andato a conformarsi alle loro esigenze: i famosi terrazzamenti e le mitiche “coperture” dei limoneti, qui denominati a giusta ragione “giardini di limone”, connotano fortemente la penisola sorrentina e contribuiscono alla sua fama nel mondo. Le caratteristiche di qualità del “Limone di Sorrento” IGP sono esaltate dalle particolari tecniche di produzione, ancora legate alla coltivazione delle piante sotto le famose “pagliarelle”, stuoie di paglia che vengono appoggiate a pali di sostegno di legno, solitamente di castagno, a copertura delle chiome degli alberi, al fine di proteggerli soprattutto dal freddo e dal vento e per conseguire anche un ritardo della maturazione dei frutti, che rappresenta uno dei principali elementi di tipicità di questa produzione. Area di produzione Il “Limone di Sorrento” IGP viene coltivato in tutti i comuni della Penisola Sorrentina e precisamente: Massa Lubrense, Meta, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Sorrento, Vico Equense, oltre che nell’isola di Capri, con i due comuni Capri ed Anacapri. fonte regionecampania.it

Ricette, Tradizioni

Manzo all’olio

Pare che le origini di questo piatto siano a Rovato, in Franciacorta, e risalgano al Cinquecento. Descrizione:Pulire la carne e legarla con lo spago. In una pentola capiente preparare un soffritto con il burro, le acciughe, l’aglio e la cipolla tritata finemente;adagiarvi poi la carne, salare e coprirla con l’acqua. Cuocere a fuoco medio per 2 ore circa. Aggiungere l’olio, il pane a pioggia (o la maizena diluita in poca acqua). Cuocere ancora per 20 minuti muovendo la carne con frequenza per non farla attaccare. Togliere la carne dal sugo di cottura ed aggiustarne eventualmente la densità. Servire il manzo a fette di 4-5 cm di spessore ricoperto dal sugo di cottura accompagnando con polenta o crostone di pane Ingredienti: 1 cappello di prete di manzo del peso di 1 kg2 spicchi d’aglio2 acciughe salate1 cipolla piccola dorata del Vogherese1 dl di Olio Extravergine di Oliva Laghi Lombardi DOP25 g di maizena o pane secco grattugiato finemente25 g di burrosale

Vini

Locorotondo DOC

Per anni il vino è stato utilizzato dai piemontesi nella produzione del Vermout, ma a partire dal 1969 è diventato uno dei più promettenti vini bianchi di qualità pugliesi, citato anche da Mario Soldati e da Paolo Monelli insieme al Martina Franca. Il Verdeca sfrutta il terreno fresco e profondo del fondovalle della Valle d’Itria, fornendo al Locorotondo il profumo e il sapore; il Bianco d’Alessano, più rustico, vegeta e produce bene sui crinali poveri di stato coltivabile ma esposti al sole, conferendogli la stoffa e il corpo. Descrizione: Colore giallo paglierino (Riserva e Bianco d’Alessano) talvolta tendente al verdolino  (Locorotondo anche Superiore, Spumante, Verdeca) o con riflessi dorati (Fiano), giallo da paglierino intenso a dorato (Passito). Odore delicato, caratteristico (Locorotondo anche Superiore) e con leggeri sentori speziati (Riserva), delicato e fine (Spumante), persistente delicato (Verdeca) o fine (Bianco di Alessano), caratteristico, intenso (Passito) e persistente (Fiano). Sapore asciutto, armonico (Riserva) e con retrogusto leggermente amarognolo (Locorotondo anche Superiore), da extrabrut a dolce, sapido, fresco, fine e armonico (Spumante), dolce, armonico, vellutato e caratteristico (Passito), secco, equilibrato e fresco (Verdeca) o talvolta sapido (Bianco di Alessano), secco, armonico, caratteristico (Fiano). Titolo alcol. minimo 11% (Locorotondo anche Riserva, Spumante, Verdeca e Bianco di Alessano), 12% (Superiore), 11,5% (Fiano), 15% (Passito). Abbinamenti: antipasti di frutti di mare, minestre asciutte, piatti delicati a base di pesce o carni bianche, pizza, fritture e frittate. Disciplinare: approvato DOC con Dpr 10.06.69   (211 -19.08.69)

I Tipici

Strachìtunt DOP

Una delle gemme più rare e preziose delle Prealpi italiane, lo Strachitunt è un saporito formaggio erborinato dalle antiche origini prodotto in Valle Brembana, Valle Taleggio e Valsassina, il cui nome deriva dalla traduzione bergamasca di stracchino tondo. È un formaggio a latte vaccino intero crudo, prodotto con l’antica tecnica delle due paste, che consiste nell’unione a strati della cagliata della sera, o cagliata fredda, lasciata sgocciolare in tele di lino per almeno 12 ore, con la cagliata della mattina, o cagliata calda. Da quest’unione si ottiene un formaggio a forma cilindrica con pasta compatta, marmorizzata, bianca con piccole venature verde-bluastre. La crosta è sottile e rugosa a volte fiorita di colore giallognolo tendente al grigio. Il sapore è aromatico ed intenso, variabile da dolce a piccante e può assumere connotazioni più pronunciate con il protrarsi della stagionatura. Allo Strachitunt è stato recentemente riconosciuto il marchio DOPLo strachitunt è un formaggio storico che ben rappresenta, insieme al Taleggio, la tradizione casearia della Val Taleggio. Ritenuto l’antenato del Gorgonzola, viene prodotto ancora con le tecniche tramandate nei secoli,partendo dal latte, che è lavorato crudo, quindi senza nessuna pastorizzazione così come avveniva un tempo. Il disciplinare prescrive altresì che il latte venga munto da vacche di sola razza Bruna Alpina, che pascolino e vivano stabilmente durante tutto l’anno nel territorio della Val Taleggio (e limitrofi) e che vengano alimentate con razioni che siano composte per almeno il 70% da erbe o fieno. .L’allevamento dei bovini da latte e l’attività casearia sono state da fin dai tempi remoti, con quella del taglio e dello sfruttamento del bosco, le fondamentali fonti di sostentamento della gente della Valle Brembana e in particolare di quella della Val Taleggio, una valle bella ma sostanzialmente povera. A testimoniarlo, oltre che la tradizione orale, vi sono diversi riferimenti bibliografici.Secondo lo scrittore romano Strabone durante la dominazione romana, gli abitanti delle nostre valli, per procurarsi le cose più necessarie alla vita, scendevano verso i centri abitati portando in cambio resina, miele e formaggio. Sembra infatti che l’industria casearia fosse già allora molto fiorente. Sicuramente quell’industria si è notevolmente sviluppata nel corso del Medioevo (come testimoniato da una pergamena del 1380 vista in copia da Francesco Biava Salvioni1, dopo la metà del 1300), la Valle, come segno di sudditanza, è obbligata a mandare al duca di Milano – ducentum pensa casei boni pulchri ac bene axaxonati -. Duecento pesi (un peso valeva oltre 7 kg) di “formaggio bello e buono e ben stagionato”. Forma dialettale di “stracchino rotondo”, lo Strachítunt rappresenta una variante artigianale e di grandissimo pregio della Val Taleggio. E’ un formaggio a due paste, cioè ottenuto mescolando la cagliata della sera con quella del mattino.Il latte, proveniente da allevamenti della stessa provincia di Bergamo, fresco e intero della mungitura serale è lavorato con una tecnica simile a quella di tutti i formaggi stracchini.Si usa circa il 17% di latte intero sul quantitativo totale che si desidera produrre, e lo si lavora appena munto.Nel caso si fosse raffreddato lo si porta a 37-38 °C e vi si aggiunge il caglio.Si lascia coagulare ed estratta la cagliata la si lascia raffreddare in teli di lino posti a sgocciolare per tutta la notte a circa 18°C, in ambienti con elevata umidità.Il giorno dopo, con identica lavorazione, si lavora un quantitativo di latte pari all’83% del totale. Si estrae la cagliata, sempre in teli di lino e la si lascia sgocciolare per circa 30 minuti. Quando si pone la nuova cagliata negli stampi rotondi, si alterna uno strato di cagliata appena prodotta, e quindi calda, e uno della sera precedente e quindi fredda, sbriciolandola uniformemente sul primo strato e amalgamandola in parte con lo strato sottostante. Si procede in questo modo formando solitamente 5 strati di cagliate, tre della mattina e due della sera.Una volta costituita la forma definitiva si procede alla stufatura e alla salatura a secco, la prima volta la sera stessa e la seconda la mattina seguente.Dopo circa 30 giorni, la forma è bucata per favorire lo sviluppo delle muffe.Le due cagliate, infatti, avendo diversa consistenza, non si amalgamano bene e lasciano dei piccoli spazi che in seguito alla foratura si riempiono di aria. È proprio in questi spazi che le muffe naturali iniziano a sviluppare la loro caratteristica efflorescenza.La produzione migliore si ottiene durante l’estate, probabilmente per il più alto carico microbico e per la temperatura più indicata per questo tipo di lavorazione. Tra la versione invernale e quella estiva, come tutti i formaggi a latte crudo, vi sono delle differenze organolettiche le quali diventano sostanziali tra la versione di alpeggio (baite in montagna) e quella di caseificioIl gusto varia, infatti, con il prolungarsi della stagionatura, perché le muffe si moltiplicano e tendono a dare una punta di amaro, come peraltro succede con il gorgonzola.Con stagionature brevi, invece, il gusto dolce della pasta è predominante e rende il prodotto molto delicato.Ogni forma è un piccolo capolavoro di artigianalità: nella pasta si formano naturalmente quelle muffe che alla bontà e genuinità del prodotto aggiungono, con l’affinamento, la giusta piccantezza. Quando lo assaggerete, chiudete gli occhi e pensate a quanta storia, tradizione ma anche fatica, sacrifici e amore per la propria terra si cela dietro a questo piccolo-grande prodigio: solo così potrete dire di aver gustato a pieno lo STRACHITUNT.

Il cibo nel tempo, nel Rinascimento

Vuoi cuocere pulcini di formaggio

Sabina Welserin, è l’autrice del libro di cucina tedesca, Das Kochbuch datato 1553.La Welserin era una delle figlie di un nobile di Ausburg (i Welser erano membri del patriziato mercantile) perciò il libro rappresenta la cucina dell’alta borghesia. Da notare la prevalenza nel mondo germanico dei libri di cucina scritti da donne. Grattugiate un parmigiano particolarmente buono e metteteci sopra del pane bianco grattugiato finché non diventa molto denso. Quindi aggiungere le uova batture fino a quando non diventa una bella pastella. Quindi fai delle palline rotonde della stessa dimensione di pulcini e lasciali cuocere lentamente, quindi sono pronti. Per 15 dolcetti grossi come polpettine servono:200 gr. di parmigiano, 100 gr. di pane grattugiato, 2 uova,un po’ di olio per ungere la piastra del fornoUnire il parmigiano grattugiato con il pane, aggiungere le uova e lavorare il tutto per ottenere una palla di pasta omogenea e consistente. Modellare con le mani le palline e disporle sulla piastra del forno leggermente unta. Preriscaldare il forno a 200° e disporre quindi la piastra a meta’ altezza. Il tempo di cottura e’ di 13/15 minuti.Lasciar intiepidire su una spianatoia e servire

Il cibo nel tempo, nel Medioevo

Pesce San Pietro in salsa di zafferano (1100)

Hildegard von Bingen, una delle figure femminili più straordinarie del Medioevo, non era solo badessa, compositrice e autrice di un‘opera teologica tra le più significative del suo tempo, ma si occupò anche di medicina naturale, tema oggi di grande attualità, descrivendo le proprietà curative degli alimenti. Per la salsa: 1 cucchiaio di cipolla grattugiata, 1 cucchiaio di burro, 2 punte di coltello di polvere di zafferano, 100 ml. Di vino bianco, 100 ml. Di brodo di verdure, 5 cucchiai di panna, un pizzico di buccia di limone grattugiata, sale e pepe bianco. 300 gr. di filetto di pesce San Pietro, mezzo limone, farina, 2 cucchiai di burro, sale, pepe bianco. Si prepara prima la salsa trintando la cipolla facendola rosolare adagio nel burro, aggiungere lo zafferano, il sale, il pepe e stemperare con il vino bianco. Far cuocere 2 minuti e aggiungere il brdo di verdure lasciando consumare e restringere per ridurre di circa la meta’ la salsa. Pulire il pesce, lavarlo nell’acqua fredda e una volta asciugato irrorarlo con il limone, Ricavarne filetti, condirli con sale e pepe e infarinarli. Scaldare il burro nel tegame e far rosolare il pesce a fiamma viva per 4 minuti.  Appena prima di servire aggiungere la panna e la buccia di limone grattugiata alla salsa, lasciare che si addensi ancora se necessario. Versare nei piatti un velo di salsa e adagiarvi sopra il pesce. da Ricette per il corpo e per l’anima ( G.Tomasi Editore)di Hildegard von Bingen (1098-1179)

Ricette, Tradizioni

Risotto col “puntel”

Un risotto, una variante del riso alla pilota,  preparato nei periodi invernali, quando nelle cascine si uccide il maiale,che ripropone sempre un giorno di festa. Viene presentato guarnito di costine o braciole cotte ai ferri che vengono gustate insieme al riso. Ingredienti per 4 persone 20 costine di maiale polpose• 400 g di riso Vialone Nano• 400 g di pesto di maiale• 400 g di acqua• 100 g di burro• 100 g di Grana Padano DOP grattugiato• 300 dl di birra• aglio• alloro• pepe Descrizione: Mettere a marinare in una teglia da forno le costine con gli aromi per 12 ore. Successivamente aggiungere il sale e la birra, quindi metterle in forno per 90 minuti a 150 °C coperte con un foglio di alluminio. Togliere l’alluminio e rosolare per 15 minuti a 180 °C. Al termine tenere al caldo.In una pentola di alluminio far bollire l’acqua con poco sale grosso, quindi aggiungere il riso e tenere a fuoco alto per 3 minuti. Spegnere il fuoco, coprire la pentola con un canovaccio e il coperchio e metterla sopra un frangi-fiamma su fuoco molto basso per 20 minuti. A parte cuocere la salsiccia con poco burro e sfumare con mezzo bicchiere di vino bianco. A cottura ultimata unire la salsiccia al riso e mescolare col formaggio grattugiato. Servire su piatto con le costine tagliate

Ricette

Bussolano

Il bussolano (detto anche bussolà o bisulàn) è un tipico dolce popolare della tradizione mantovana.Si presenta di consistenza molto dura, data la mancanza di lievito, e viene inzuppato direttamente nel vino lambruscoSi tratta di un’elaborazione povera e tuttavia gustosa che accompagnava – o meglio chiudeva – il pranzo, un poco diverso, della domenica o della festa; esso veniva presentato in diverse forme e con il dorso brillantato con zucchero, albume o confetture. Le origini di questo dolce si fanno spesso risalire alla metà del XVII secolo ma in verità sono molto più antiche.Ingredienti Farina bianca 250 gZucchero 70 gBurro 70 gUova 1Lievito per dolci 1/2 bustinaPassito dei Colli 2 cucchiaiScorza di limone grattugiataVanillinaDescrizione;Impastare tutti gli ingredienti fino ad ottenere un composto sodo. Imburrare e infarinare una teglia e disporvi l’impasto dandogli una forma a ciambella. Pennellare la superficie con un po’ di latte e spargervi sopra dello zucchero in granella. Cuocere a 170° per 30 minuti. Ottimo per le colazioni.

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