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Ricette, Tradizioni

Pisarei e faśö

Probabilmente la specialità più rinomata tra i piatti tipici piacentini.Un piatto povero ma gustosissimo, che si tramanda da nonna a nonna, legato alla tradizione piu rurale di questa terra  costituito da gnocchetti di farina e pangrattato conditi con fagioli, lardo cipolla e pomodoro.La farina, allora,  veniva tagliata appunto con pane raffermo per risparmiare la materia prima, e venivano utilizzati i materiali derivati dalla macellazione del maiale “cotiche, salsiccia lardo”  Molte le spiegazioni sulla parola Pisarei, le più attendibili sono due; la prima deriverebbe dalla storpiatura della parola piacentina Bissa, cioè biscia-serpente come la forma delle striscie di pasta prima di essere tagliate. L’altra che deriverebbe dalla parola spagnola Pisar, cioè pestare-schiacciare; infatti i gnocchetti vanno schiacciati leggermente con le dita per dar loro la tradizionale forma. Ingredienti per 6 Persone.per l’impasto: 500gr. di farina, 150gr. di pane secco grattugiato, acqua.Per il sugo: 400gr. di fagioli secchi, “occorre ammollarli in acqua per circa un giorno” una cipolla, una carota e un pezzo di sedano tritati, 250gr. di salsa di pomodoro, una salsiccia lucanica (la luganga), un cucchiaio di lardo pesto  olio d’oliva, formaggio grana.Descrizione:Versare il pane in una terrina e scottarlo con un pò di acqua calda, amalgamarlo con la farina fino ad ottenere un ‘impasto abbastanza morbido. Staccare da esso delle porzioni grosse come un limone e con le mani formare delle strisce a forma di serpentello, tagliare dei tocchetti non troppo grossi spolverarli di farina e schiacciarli ad uno a uno con il pollice fino a che si ottiene la forma di un gnocchetto. In un tegame fare soffriggere nell’olio e nel lardo le verdurine tritate, la salsiccia spezzettata e poi versarvi i fagioli scolati e cuocere il tutto a fuoco lento per almeno un ora. Aggiungere poi la salsa di pomodoro e continuare la cottura fino a che la salsa si sia ristretta, se il sugo asciuga troppo aggiungere acqua calda salata. Fare cuocere i pisarei in acqua bollente, quando questi vengono a galla scolarli facendo attenzione che questi rimangono bei umidi  e condirli abbondantemente in una zuppiera con il sugo ottenuto. spunti tratti da piacenzantica.it Pubblicato in: Emilia-Romagna

Ricette, Tradizioni

I capunsei

Piatto tradizionale dell’Alto Mantovano in cui la fantasia e l’abilità riescono a trasformare un piatto con ingredienti poveri in una vera prelibatezza Ingredienti: 4 etti di pane raffermo grattugiato, 1 uovo intero sbattuto con sale e pepe, formaggio grana grattugiato molto abbondante, uno spicchio d’aglio 30 gr di burro sciolto, brodo q.b. Descrizione: Disporre il pane grattugiato mescolato a sale e pepe sulla spianatoia facendone una montagnola con un buco al centro nel quale verrà versato un cucchiaio di burro sciolto in precedenza; a parte far bollire il brodo, anche vegetale e versarlo molto caldo sul pane, molto adagio, fino a quando non viene assorbito in modo da risultare un impasto omogeneo e lavorabile con le maniStendere l’impasto sulla spianatoia e, una volta freddo, aggiungere l’uovo sbattuto, il formaggio e lo spicchio d’aglio tritato finemente. Con le mani fare dei rotolini e tagliarli in piccoli gnocchetti come quelli di  patateVersare “i capunséi” nel brodo bollente e scolarli non appena affiorano. Condire con burro fuso e formaggio e si possono aromatizzare con erbe: salvia, rosmarino, maggiorana, basilico leggermente soffritti.

I Tipici

Il Grana Padano DOP

Il Grana Padano nacque intorno all’anno mille, nell’area lombarda compresa tra il Po a sud e Milano a nord, e delimitata dai fiumi Adda e Mincio. In quel periodo, l’opera di bonifica compiuta dai monaci Cistercensi dell’abbazia di Chiaravalle diede vigore all’allevamento del bestiame, determinando una produzione di latte decisamente superiore al fabbisogno della popolazione. Fu proprio per sfruttare l’eccedenza di latte che i monaci, con geniale intuizione, misero a punto la “ricetta” del Grana Padano, un formaggio a pasta dura che, stagionando, manteneva i principi nutritivi del latte di partenza, concentrati e arricchiti di un gusto inconfondibile, fatto di colori, sapori e profumi che meritano di essere conosciuti e apprezzati.L’origine della produzione è contesa tra Lodi e Codogno, ma si è presto diffusa dagli Appennini alle Alpi, comprendendo l’intera vallata del Po; fonti del XII secolo già documentano la nascita dei primi caseifici.La lunga conservabilità ne ha favorito il fiorente commercio ben oltre i confini della zona di produzione, fino alle tavole delle corti rinascimentali. Durante gli anni di carestia però, riuscì anche a sfamare la gente delle campagne, diventando poi uno dei pilastri dell’economia agricola padana.Il rispetto delle antiche metodologie produttive ha permesso di mantenerne inalterati nei secoli il sapore e l’aspetto e per garantire e proteggere la tipicità della produzione, nel 1954 viene costituito il Consorzio di Tutela , allo scopo di promuovere anche la ricerca tecnica per un continuo miglioramento della qualità.Il mercatoInsieme, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano coprono più dell’85% di tutto il mercato italiano dei formaggi duri. Due gi-ganti assoluti, quindi, che se da un lato presentano innegabili elementi di somiglianza, dall’altro si diversificano per alcune particolarità essenziali che li rendono inconfondibili nelle rispettive caratteristiche di gusto, aroma e consistenzaLa presenza del marchio è già un’implicita garanzia di qualità.La forma non deve presentare al suo interno spaccature o crepe, difetti che possono preludere a squilibri di sapore (soprattutto verso un piccante improprio), la crosta deve avere un giusto spessore (5 – 6 millimetri), mentre la pasta deve mostrare una consistenza soda e decisa, con una buona resistenza alla penetrazione.Sulle caratteristiche del formaggio incide naturalmente anche il tempo di stagionatura: col passare del tempo, il grana incrementa una piacevole tendenza a fondersi in bocca. Un carattere di qualità è anche nella struttura “a scaglia”, per cui, nel prodotto molto maturo, la pasta si stacca a lingue sottili, secondo una disposizione a raggi convergenti verso il centro della forma. L’eccesso di secchezza e l’eventuale sabbiosità non sono caratteri positivi, mentre la presenza di granuli bianchi nella pasta non è da valutare negativamente.

Storie

La patata

In Europa le patate arrivarono solo nella metà del Cinquecento e in Italia si diffuse alla fine del ‘700 e vennero però considerate come un alimento malsano e apostrofate come cibo “capace di provocare effetti allucinogeni e di dare alle streghe il potere di volare”, adattissimo per il bestiame. Forse non tutti sanno che la patata, gustoso tubero dalle notevoli proprietà nutritive, ha delle origini antichissime. Originaria dell’America centrale e meridionale, in particolare di Perù e Cile,dove vivevano popolazioni particolarmente abili nelle coltivazioni d’alta quota, che sfruttavano i terrazzamenti e la possibilità d’irrigazione, e che più di 4000 anni fa addomesticarono per prime questa pianta, selezionandone un numero enorme di varietà.Si pensa che la patata sia uno dei prodotti scoperti e portati in Europa da Cristoforo Colombo ma egli si imbatté unicamente nella “patata americana”, in verità furono gli scambi commerciali avviati dai “conquistadores” a portare la patata prima dalla zona andina in Messico e, poi, nell’area dell’America Settentrionale che ora è denominata Virginia.In Europa arrivò solo nella seconda metà del Cinquecento, restando tuttavia solo una curiosità botanica poco conosciuta. Nel 1565, Filippo II di Spagna inviò al papa un certo quantitativo di patate, che, però furono scambiate per un genere di tartufi dal sapore disgustoso. Sempre in quel periodo, non furono comprese le qualità nutrizionali del tubero, ritenendo che la sua parte commestibile fossero le foglie. Giudicato un alimento malsano, la pianta, infatti, contiene solanina alcaloide velenoso, l’apostrofarono come cibo “capace di provocare effetti allucinogeni e di dare alle streghe il potere di volare”. La prima autentica descrizione scientifica della patata va attribuita al botanico olandese Charles de Lécluse, meglio conosciuto con il nome di Clusio, che nel 1588, a Vienna, dove soggiorna, riceve due tuberi inviatigli dal governatore di Mons, accompagnati da un acquerello (il primo ritratto ufficiale della patata, oggi al museo Plantin di Anversa). Il Clusio assaggia i tuberi, ne riconosce il sapore gradevole e vicino a quello delle rape e ne stende una minuziosa descrizione per la Raziorum plantorum istoria. Fu solo nel XVIII sec. che, grazie alla semplicità della sua coltivazione, la patata venne forzatamente utilizzata dai comandanti spagnoli e prussiani per sfamare i loro eserciti.Dopo la metà del’700, durante una guerra, il tubero finalmente incontrò chi l’avrebbe portato fuori dell’ambito militare. Si trattava del farmacista ed agronomo francese Parmentier Antoine-Augustin, che durante una prigionia ne apprezzò il sapore, constatando anche la sua facilità di crescita in terreni relativamente poveri.Tornato in patria, qualche anno dopo Parmentier propose la “pomme de terre” (patata) ad un premio per nuovi cibi contro la carestia, presentando il tubero come un pane già fatto che non richiedeva né mugnaio né fornaio.L’alimento suscitò grande interesse e fu così che, dopo la spaventosa carestia del 1785, Luigi XVI impartì l’ordine ai nobili di obbligare i propri contadini a coltivare la patata.I risultati non furono quelli sperati, perciò su consiglio di Parmentier, che orgogliosamente adornava il suo panciotto col fiore azzurro dalla pianta, il sovrano decise di dare seguito ad uno stratagemma.Si cominciò facendo coltivare delle patate al Campo di Marte, in un terreno guardato a vista dai soldati reali, per poi spargere la voce che lì si produceva una preziosità riservata al re. La cupidigia fece il suo corso, in molti si trasformarono in ladruncoli pur d’impossessarsi dei frutti proibiti, e durante la rivoluzione del 1789 la patata era già un cibo popolare. All’inizio dell’ottocento questo tubero plebeo trovò la sua consacrazione nella Haute Cuisine con le crocchette ideate da Antoin Caréme.La coltivazione della patata in Italia si diffonderà, a partire dalla fine del ‘700, in certe aree proprio a seguito delle campagne napoleoniche. Nel 1798, però, “La cuciniera piemontese” e più tardi, nel 1815, “Il cuoco piemontese” non hanno fatto ancora alcun cenno a ricette di patate.L’anno prima il letterato Cesare Arici (1782-1836), pubblicando a Brescia una delle sue opere più note, “La pastorizia”, ne segnalava così la presenza: Ecco l’eletto pomo a parte a parte ingenerarsi dell’Italia in seno e più sterilglebe abbracciar lieto… Cerere applaude e i molti usi ne addita. Insomma l’Arici, più che le patate fritte, vede ancora l’”eletto pomo” adattissimo per il bestiame: Vedrai per questo in pingue adipe avvolgersi Delle pecore i fianchi, e via più denso Dalle turgide poppe uscirne il latte…Alla quinta edizione de “Il cuoco galante”, invece, Vincenzo Corrado, già nel 1801, aggiungeva un “Trattato delle patate”, in cui presentava un ricco elenco di preparazioni: dalle patate in polenta, in crema, in polpette, in bignè, arrostite, ripiene al burro, e così via. Ed intuiva il prototipo, la prima ricetta delle ormai prossime venture “patate in gnocchi”, naturalmente da rivedere e da ridimensionare: Cotte che saranno al forno le patate, la loro più pulita sostanza si pesta con una quarta parte di gialli d’uova duri, altrettanta di grasso di vitello e anche di ricotta. Si unisce e si lega dopo con qualche uovo sbattuto, si condisce di spezie e si divide in tanti bocconi lunghi e grossi come un mezzo dito, i quali infarinati si mettono nel fuoco bollente, e bolliti per poco si servono nel piatto incaciati e conditi con sugo di carne .La vera ricetta, assai più semplice ed aggiornata degli gnocchi di patate – probabilmente d’origine piemontese, ma felicemente approdati in Liguria dopo l’annessione al Piemonte del 1815, a seguito del trattato di Vienna – la troveremo, insieme con quella del puré, chiamato ancora patate machees, nelle due “Cuciniere genovesi” con il battuto all’aglio (ovvero il pesto) e cacio parmigiano.Ancora oggi all’illustre agronomo Parmentier sono intitolate molte ricette in cui i tuberi figurano come elemento centrale o guarnizione predominante (es. pasticcio di carne Parmentier).

Storie

Il basilico

Gli antichi egizi e i greci lo utilizzavano per le offerte sacrificali, ritenendolo di buon auspicio per l’aldilà. Viene citato da Plinio il Vecchio – che attribuisce alla pianta capacità di generare stati di torpore e pazziaI Galli coltivavano il basilico a luglio/agosto finché in fiore. Chi raccoglieva questa pianta sacra doveva sottoporsi a rigidi rituali di purificazione: lavarsi la mano con cui si doveva raccogliere nell’acqua di tre sorgenti diverse, rivestirsi di abiti puliti, tenersi a distanza dalle persone impure (ad esempio, le donne durante il periodo delle mestruazioni) e non utilizzare attrezzi in metallo per tagliare i fusti. Il basilico era considerato una pianta sacra in quanto lo si riteneva capace di guarire le ferite, come quelle di archibugio; era quindi un ingrediente, insieme ad altre 16 erbe, dell’acqua vulneraria, usata un tempo per applicazioni esterne.Elisabetta da Messina, eroina del Decamerone di Boccaccio, seppellì la testa del suo amante in un vaso di basilico annaffiandolo con le sue lacrime.Nelle miniature dei manoscritti del Medioevo, il basilico è il simbolo dell’odio e di Satana. Il folklore ebraico suggerisce che dia forza durante il digiuno. Una leggenda africana sostiene che il basilico protegge contro gli scorpioni.Il basilico sacro (Ocimum tenuiflorum) è una pianta venerata in molte tradizioni della religione hindu. Originario dell’Asia tropicale, fu coltivato inizialmente in Iran o in India e giunse attraverso il Medio Oriente in Europa, in Italia e nel sud della Francia. Nel XVII secolo iniziò ad essere coltivato anche in Inghilterra e, con le prime spedizioni migratorie, nelle Americhe. Il nome deriva dal greco βασιλεύς (basileus) “re”, e – in latino – basilicum, “reale”, per la grande rilevanza conferita a questa erba. Altre interpretazioni etimologiche legano il nome al basilisco, che si pensava generato, come gli scorpioni ed altri animali velenosi, da questa pianta. Il basilico è l’ingrediente base del pesto genovese, salsa tipica della cucina ligure, insieme ai pinoli e all’olio di oliva.Come erba aromatica fresca si usa per le insalate, con pomodori maturi, le zucchine, l’aglio, i frutti di mare, il pesce (triglia), le uova strapazzate, il pollo, il coniglio, l’anatra, le insalate di riso, le zuppe, la pasta e per le salse (salsa di pomodoro, vinaigrette).Il basilico è difficile da abbinare ad altre erbe aromatiche come il prezzemolo, il timo e il rosmarino.Si utilizza preferibilmente crudo perché non tollera le lunghe cotture che ne fanno rilasciare molecole cancerogene, estragone ed estragolo, e ne attenuano il profumo. Nelle pietanze calde, va aggiunto appena prima di servirle per conservare un sapore vivo e fresco. In frigorifero si può conservare al massimo per due giorni, bene avvolto in un canovaccio da cucina. Da secco perde completamente il suo profumo, conviene piuttosto congelarlo. Lo si può pestare in un mortaio per rompere le cellule che contengono l’olio essenziale e per liberare meglio l’aroma.Il basilico si trova commercializzato in mazzetti, che all’acquisto devono essere turgidi e verdi; può essere anche acquistato in vaso, cosa che ne permette l’utilizzo fino all’autunno.Il suo olio essenziale è utilizzato per la preparazione di profumi e liquori; dalla distillazione della pianta fresca si ottiene un’essenza contenente eucaliptolo ed eugenolo.

..degli alimenti, Storie

La cannella

La cannella vanta una storia millenaria: era già citata nella Bibbia, nel libro dell’Esodo, era usata dagli antichi Egizi per le imbalsamazioni e citata anche nel mondo greco e latino. Importata in occidente con le carovane durante il medioevo, portò gli Olandesi a impiantare un traffico stabile con lo Sri Lanka nella prima metà del 1600, per divenirne i principali importatori d’Europa. È usata in molti modi differenti da secoli. La tradizione occidentale la preferisce impiegata nei dolci di frutta, specie di mele, nella lavorazione del cioccolato, di caramelle e praline, come aroma in creme, nella panna montata, nella meringa, nei gelati e in numerosi liquori. La tradizione orientale e creola la usa anche nel salato, in accompagnamento di carni affumicate e non. Entrambe la amano come aromatizzante del tè.La pianta è nativa dello Sri Lanka e la spezia che se ne ricava è la più fine e costosa I bastoncini interi di cannella vengono utilizzati in cucina quando tale spezia può essere infusa. Quindi, mentre si cuoce una conserva di frutta o una torta di mele, durante la preparazione del curry, di un piatto con riso speziato come il biriyani, oppure quando si fa il vin brulè è indicato l’utilizzo della cannella o della cassia in bastoncini. La fragranza è dolce, profumata, calda e con note piacevolmente legnose, senza traccia di retrogusto amarognolo o pungente La lavorazione della cannella nello Sri Lanka è probabilmente una delle arti che richiede maggiore abilità. Gli artigiani tradizionali oggi mostrano tale arte alle mostre di spezie ed è uno spettacolo affascinante da vedere

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I dieci cibi che mangiamo troppo poco

Ci sono alcuni alimenti particolarmente presenti nelle nostre diete alimentari e altri che, pur con molti benefici, trascuriamo. Ecco i dieci cibi più trascurati da imparare a inserire nella dieta per sfruttarne gli effetti positivi. Sono cibi che in gran parte mancano dalle nostre tavole, se pure con qualche eccezione. Barbabietole rosse: ricche di folati e antiossidanti, specialmente se consumate a crudo.Cavolo: ricco di sulforafani, utili nella prevenzione dei tumori.Bietola: ricchissima di carotenoidi anti-invecchiamento.Cannella: utile per il controllo di glicemia e colesterolo.Melograno: contro ipertensione e ricco di anti-ossidanti.Prugne secche: anch’esse ricche di anti-ossidanti.Semi di zucca: ricchissimi di magnesio.Sardine: ricchissime di omega-3, calcio, ferro, fosforo, potassio, zinco e manganese.Zafferano: potente anti-infiammatorio e anti-tumorale.Mirtilli: ricchi di anti-ossidanti.

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Buoni motivi per consumare prodotti locali

I prodotti locali vengono di norma consumati al termine del naturale ciclo di vita stagionale, con conseguente valorizzazione del gusto e minor costo. Tempi di trasporto dal raccolto al consumo superiori ai tre-quattro giorni riducono notevolmente profumo, sapore e principi nutritivi dei cibi freschi. Anche i prodotti surgelati o inscatolati vicino al luogo di produzione e subito dopo la maturazione sono più nutrienti e migliori di un alimento consumato “fresco” ma dopo una settimana di trasporti o di permanenza in una cella refrigerata. Acquistare cibi prodotti da fattorie che vendono direttamente sul mercato locale significa favorire la conservazione della biodiversità agraria e delle varietà “storiche” delle piante, quelle cioè che sono il frutto di una selezione naturale operata negli anni da generazioni di contadini perché più buona, produttiva e resistente. Le pratiche agricole moderne, al contrario, tendono a privilegiare una ristretta rosa di varietà, scelte solo per la loro capacità a maturare simultaneamente e a conservarsi più a lungo. Consumare cibi prodotti da fattorie locali significa anche contribuire al mantenimento di sistemi ecologici più corretti in cui l’intreccio di differenti colture (fieno, frutti, ortaggi, bosco e siepi) permette la sopravvivenza della fauna selvatica, previene l’erosione dei suoli, arricchisce l’humus del terreno grazie alle concimazioni naturali. Il cibo locale è, inoltre, più frequentemente esente da OGM. Acquistare alimenti provenienti dal luogo in cui si vive o in cui ci si trova e quindi prodotti in Italia offre garanzie di freschezza e genuinità e – soprattutto se si tratta di cibi tutelati da un marchio di qualità (Doc, Dop, ecc.) – trasparenza e correttezza sulla materia prima, il processo di lavorazione, il luogo di produzione, ecc. Conoscere e consumare piatti e prodotti della tradizione locale contribuisce, infine, a tramandare una parte importante della nostra storia e della nostra identità culturale.

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Partire dall’alimentazione per sentirsi in forma

La quantità di cibo di cui abbiamo bisogno dipende dall’età, dal peso, dal sesso e dal tipo di attività che svolgiamo. L’energia che i cibi forniscono al nostro corpo si misura in calorie. Alcuni alimenti danno più calorie di altri. Eccessive quantità di grasso corporeo e di zuccheri aumentano il rischio di malattie (obesità, diabete, infarto). Un’eccessiva magrezza, al contrario, obbliga il corpo ad intaccare le riserve muscolari e gli organi interni. Una dieta alimentare corretta deve essere varia e fornire quantità adeguate di tutte le sostanze nutritive fondamentali poiché ogni alimento svolge una funzione ben precisa. Stare seduto, guardare la televisione, usare il computer, stare in piedi inattivo fa consumare al nostro corpo poco più di una caloria al minuto. Camminare piano ne fa consumare 2 o 3, correre in bicicletta 11, correre a piedi 15. Per “smaltire” una bibita in lattina bisognerebbe camminare per 42 minuti, per una caramella ce ne vogliono 17, per un gelato 110. Qualche consiglio: non fare diete “fai da te”  (digiuni, diete con troppa carne, ecc.). Non saltare nessun pasto della giornata; consumare 5-7 porzioni al giorno di frutta e verdura, meglio se di tutti e cinque i colori nell’arco di una stessa giornata; consumare  spesso pane, pasta, riso integrali e aumentare il consumo di legumi; limitare il consumo di merendine confezionate e pizza, perché sono ricche di grassi (spesso di cattiva qualità), di conservanti e di zuccheri; meglio utilizzare gli zuccheri semplici (frutta, miele) o le marmellate; limitare  il consumo del saccarosio (lo zucchero nelle caramelle, torroni, gomme americane) e l’uso delle gomme americane che, anche se sono senza zucchero, aumentano il rischio di carie a causa dell’eccessiva salivazione  provocata; bere molta acqua (almeno 6 bicchieri al giorno) e non bibite gasate ricche di zucchero e di sostanze chimiche che, oltre a fornire un surplus di calorie, ostacolano l’assorbimento di molte sostanze utili (come per esempio il calcio); fare molto esercizio fisico (come salire le scale, andare a piedi, praticare attività sportive, svolgere piccoli lavori domestici) tutti giorni.

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