Nome dell'autore: wp_1867563

Educhiamoci

Conosciamo ancora qual’è il cibo di stagione?

Ormai il consumatore acquista in base a ciò che trova sul banco, in base a ciò che propone la Grande Distribuzione Organizzata (GDO), ossia tutto e sempre. E’anche per questo che non conosciamo più con precisione quali alimenti in natura siano prodotti in una data stagione e riusciamo a dedurre che sono cibi fuori stagione solo leggendo la provenienza sull’etichetta della confezione.Forse si potrebbe ritornare ai calendari culinari, dove ad ogni mese erano associati cibi e ricette di quella stagione: i cavolfiori in inverno, le ciliegie in primavera, i pomodori e i peperoni in estate, gli agrumi dall’autunno all’inverno e così via.Da anni, ad esempio, i pomodori, nelle numerose varietà esistenti, entrano nelle nostre case per tutti e 12 i mesi, senza che nemmeno ci chiediamo come sia possibile. Stessa sorte per zucchine, cavolfiori e fagiolini. Le serre e l’importazione dall’altro emisfero ci hanno assuefatto ed abituato a non collegare più il clima a diversi tipi di cibo: non dovremmo forse sorprenderci se vediamo un peperone in vendita a dicembre? E ancora di più dovrebbe sorprenderci sapere che i produttori di ortaggi in serra buttano via i propri prodotti nel momento in cui maturano naturalmente quelli di campo: quindi, le serre in cui si coltivano cibi estivi hanno un picco di attività durante i mesi invernali per poi decrescere tanto più ci si avvicina al momento della maturazione naturale.Un produttore italiano di cavolo rapa, ad esempio, che vende il suo prodotto di serra in Germania come prodotto fuori stagione, da febbraio in poi non raccoglierà più i suoi cavoli rapa perché il costo della raccolta supererebbe il guadagno che può ottenere dalla vendita. Questo accade perchè da febbraio in poi il prodotto di serra dovrà avere un prezzo competitivo con i cavoli rapa prodotti nei campi.Lo stesso avviene per i pomodori di cui parlavamo prima: quelli coltivati in serra verranno raccolti e venduti da aprile a metà giugno, finché ci sarà margine di guadagno per il produttore, ma nel momento in cui matureranno i pomodori da campo e i prezzi caleranno il produttore lascerà marcire nelle serre tutti i pomodori: raccoglierli sarebbe solo un costo!Non coltivare tutto in serra e importare minori quantità da lontano sono pratiche che possono limitare i numerosi impatti ambientali, semplicemente perché si sceglie di seguire i ritmi della terra e del clima: mangiare cibo proveniente dall’altro emisfero, come frutta esotica e caffè, è un lusso che l’uomo soddisfa da secoli, ma trasportare per lunghe distanze lo stesso cibo che la propria terra produce localmente suona forse come una forzatura, così come consumare energia per riscaldare le serre che simulino la stagione estiva per mangiare a gennaio le primizie estive.Comprare cibo di stagione in certi casi agevola anche l’economia locale, rendendo la filiera agroalimentare più corta e portando profitto direttamente a chi produce nella zona in cui voi acquistate.

Educhiamoci

Che pesci prendere?

Il pesce è una fonte molto importante di micro-nutrienti, sali minerali, proteine e acidi grassi essenziali e contribuisce quindi in modo significativo alla dieta di molte comunità.Per il 2017 la FAO ha stimato un consumo globale di pesce di 153 milioni di tonnellate: 67 milioni di tonnellate sono i consumi di pesce fresco o refrigerato, 44 milioni di tonnellate quello surgelato e 19 milioni per quello conservato, con oltre 20 kg annui di consumo pro capite (Rapporto FAO, 2018)La quantità e le differenti tipologie di pesce consumato variano a seconda dei paesi e delle regioni, riflettendo la disponibilità in natura di determinate specie, i gusti, le culture alimentari e i livelli di reddito.Per alcune nazioni insulari, come il Giappone e l’Islanda, ad esempio, il pesce è un elemento cruciale della dieta, visto che localmente non sono disponibili molte altre fonti di proteine animali.In Italia, i consumi di prodotti ittici interessano la quasi totalità delle famiglie: l’indice di penetrazione è del 99%: infatti chi non ha in casa una scatoletta di tonno in scatola! Pensate che ogni famiglia Italiana ne consuma in media di 20,9 kg mentre il totale nazionale è pari a 455 mila tonnellate . SE NON SAI CHE PESCI PRENDERE Le attività di produzione di pesce non sono prive di rischi per l’ambiente e le comunità interessate. Il consumatore ha, tuttavia, a sua disposizione diversi strumenti per compiere un acquisto responsabile e consapevole.Esistono infatti etichette e certificazioni che assicurano che il prodotto risponda a determinati requisiti in materia di sicurezza, salubrità e rispetto per l’ambiente.Ad esempio, oggi sentiamo tanto parlare di alimenti biologici e anche il pesce da qualche tempo può rientrare in questa categoria.Ma che cosa si intende esattamente con l’espressione “biologico” e che vantaggi ci sono per il consumatore?Innanzitutto dobbiamo chiarire che il pesce biologico non si identifica con il pesce selvatico: la produzione ittica biologica richiede infatti il completo controllo del processo produttivo, dall’uovo fino al pesce adulto.Quindi questa definizione riguarda solo il pesce di allevamento che, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, ricoprirà negli anni futuri un ruolo sempre più importante nell’approvvigionamento mondiale di specie ittiche.L’allevamento di pesce biologico ci promette un prodotto garantito e sicuro, ottenuto senza compromettere l’ambiente e le risorse naturali, nel rispetto del pieno benessere degli animali allevati.Dal momento che gli organismi internazionali, come la FAO o l’Unione Europea non hanno redatto una normativa in materia per l’acquacoltura biologica, svariati enti privati di certificazione hanno creato disciplinari per l’allevamento di alcune specie secondo i principi del biologico, creando marchi che rendono riconoscibili i prodotti.Inoltre, come tutto il pesce di allevamento, ogni esemplare è etichettato per garantire le tracciabilità di tutto il ciclo produttivo.Oltre al marchio di certificazione biologica, un altro interessante strumento per aiutarci a compiere acquisti più responsabili riguarda il tonno in scatola e si chiama etichetta “dolphin safe”. La pesca può essere molto dannosa per l’ecosistema marino, ne è un noto esempio quello che accade per la pesca dei tonni, durante la quale capita che vengano uccisi i delfini che nuotano insieme ai loro.Le confezioni che riportano l’etichetta “Dolphin safe” oppure “Amico dei delfini” assicurano quindi il consumatore che i metodi di cattura usati sono tali da non provocare la morte dei delfini. Quale pesce mangiare? E cosa scegliere tra pesce pescato e pesce allevato?Non è facile rispondere a queste domande, la scelta dipende da molti fattori.E’ consigliabile cercare di evitare il pesce non sostenibile, cercando di orientarsi leggendo i numerosi siti web sul tema, come ad esempio Fishonline, e le numerose guide, tra cui la Guida ai consumi ittici di Greenpeace.In generale possiamo dire che sono considerati sostenibili prodotti come le sardine e gli sgombri, specie collettivamente riferite con il nome di “pesce azzurro”, di solito pescate con le reti a circuizione.Questo metodo di pesca non provoca danni ai fondali e di solito le catture accessorie (bycatch) sono trascurabili.Riguardo ai prodotti dell’Acquacoltura, tra i più sostenibili è probabilmente la produzione nazionale di cozze

Educhiamoci

Essere un consumatore responsabile

Consumare in modo responsabile significa riflettere sugli effetti che i vostri acquisti possono avere sull’ambiente e sulla società prima di farli. Il modo in cui vivete e le cose che comprate possono contribuire positivamente alla società e all’ambiente.La domanda che sorge spontanea è: “ma davvero posso fare la differenza semplicemente scegliendo un prodotto piuttosto che un altro?”. Certo!Ogni euro che spendete è come se fosse un voto per un determinato prodotto, ma soprattutto per l’impresa che lo produce.Le scelte che tutti noi facciamo ogni giorno rappresentano delle opportunità per offrire il nostro supporto a quei prodotti che rappresentano il meglio per la nostra salute, per la società e per l’ambiente.Questo può voler dire cambiare alcune delle proprie abitudini quotidiane, ad esempio il luogo dove si acquistano i prodotti alimentari; questa capacità di saper cambiare ha ricadute positive su tutta la collettività.Come si fa, in concreto, a diventare consumatori responsabili?Più che una “lista della spesa” di cose da fare, si tratta di imparare a scegliere con mente aperta, lasciando il nostro processo decisionale libero dai mille condizionamenti che riceviamo ogni giorno, ad esempio dalla pubblicità.Questo atteggiamento positivo e proattivo porta ad una scelta consapevole, invece che “subita”, dei generi da acquistare, che genera a sua volta ricadute positive per voi stessi, per la società e per l’ambiente.In che modo? Il valore di queste azioni non risiede tanto nell’azione stessa, ma nel pensiero che vi ha spinti a compierla. CURIOSANDO TRA GLI SCAFFALIPensate agli acquisti che avete fatto oggi ad esempio. Sapete che dove andranno finire i vostri soldi?Avete idea quali imprese avete supportato e quali sono i valori alla base del loro operato? Siete a conoscenza del processo produttivo dietro a questi prodotti? Chi li ha fatti?Ogni giorno siete circondati da prodotti e vi trovate a dover decidere se e cosa acquistare.Ogni giorno la pubblicità e i media vi propongono decine e decine di articoli assolutamente fondamentali per la vostra sopravvivenza. E’ quindi fondamentale imparare a scegliere in modo responsabile, dando la preferenza a prodotti e sistemi di distribuzione che siano d’aiuto e che non danneggino il mondo e i suoi abitanti. E’ quindi importante capire che ogni prodotto che compriamo ha una storia alle spalle. Ci sono prodotti che ci raccontano una storia di rispetto, innovazione, partecipazione, diritti dei lavoratori, responsabilità ambientale e di impatti positivi sulla comunità.Riflettete un attimo a quali ideali e sistemi desiderate offrire il vostro supporto. Voi potete scegliere. Poter scegliere è bello. Imparate a fare scelte positive.Così, quando vi chiederete “ Cosa ho comprato oggi?” potrete essere sicuri di aver rispettato le vostre convinzioni, consumando in modo responsabile.Valter Baruzzi, pedagogista, offre un’interessante prospettiva sul consumatore consapevole: “Possiamo immaginare un consumatore consapevole come una persona curiosa, che sa trovare le informazioni che gli servono, ha una certa propensione a cogliere gli aspetti enigmatici della realtà e sa vedere le cose oltre le apparenze.Il consumatore consapevole possiede gli strumenti culturali che gli consentono di valutare diverse fonti d’informazione sapendole soppesare, confrontare e utilizzare nelle quotidiane situazioni d’acquisto e di consumo.Egli possiede anche quelle capacità gestionali che risultano necessarie per affrontare gli aspetti pratici della vita quotidiana.Oltre a ciò, dispone di quei valori di riferimento, che lo rendono capace di ricercare la convenienza economica compatibilmente con la scelta di merci prodotte nel rispetto dei diritti delle persone, delle comunità e degli ambienti del proprio Paese e del mondo intero.”

Educhiamoci

La sostenibilità passa dalla nostra tavola

Il cibo, proprio perché assolutamente necessario per la nostra sopravvivenza è sicuramente uno degli aspetti che ci coinvolge maggiormente nella vita quotidiana. Quasi un terzo della nostra impronta ecologica sul pianeta è dovuta all’alimentazione. Fragole e pomodori a gennaio, agnello e mele dalla Nuova Zelanda, noci dagli Stati Uniti, cetrioli e lattuga coltivati in serra: oggi possiamo permetterci qualsiasi alimento in ogni stagione e proveniente da ogni parte del Mondo. Ma questi nostri capricci hanno un prezzo non indifferente per l’ambiente, in quanto generano inquinamento sia a livello di produzione che di trasporto. Il percorso verso una società sostenibile passa quindi anche attraverso il cibo e la nostra tavola. Nell’alimentazione è necessaria una maggiore efficienza energetica tramite la scelta di prodotti regionali e di stagione come pure la promozione di marchi ecologici come il bio. Inoltre un consumo più consapevole di carne e pesce è più che mai indispensabile. Acquistare il cibo è un’ operazione che va fatta con consapevolezza, tenendo bene in considerazione la stagione e la provenienza. Questo per evitare lunghi trasporti e la produzione di frutta e verdura in serre riscaldate tramite combustibili fossili.Un chilo di asparagi acquistati in febbraio e provenienti dal Messico provocano ad esempio il consumo di quasi 5 litri di petrolio per la loro produzione e trasporto. Gli stessi asparagi coltivati in Svizzera ed acquistati in maggio causano il consumo di solo 0.3 litri di petrolio. Un chilo di fragole da Israele acquistate in febbraio necessitano il consumo di 5litri di petrolio, quelle svizzere acquistate in giugno solo 0.2litri. La produzione di verdure in serra durante la stagione invernale necessita dal 20 all’80% di energia in più rispetto ad una produzione in campo aperto.La sostenibilità nell’alimentazione passa quindi senza dubbio dalla promozione del cibo di provenienza locale.L’autosufficienza alimentare su scala regionale o nazionale andrebbe favorita dando all’agricoltura l’importanza che si merita, mettendole a disposizione anche i mezzi finanziari necessari per sopravvivere ed evitando di sacrificare continuamente terreno agricolo.Gli alimenti prodotti in modo biologico comportano emissioni nettamente inferiori e richiedono molta meno energia.Purtroppo solo il 5% dei prodotti alimentari venduti possiede il marchio “bio”. Nelle superfici coltivate secondo gli standard biologici non si ricorre all’uso di pesticidi e fertilizzanti sintetici, riducendo sensibilmente l’inquinamento delle acque e del terreno e contribuendo quindi a ridurre i consumi energetici per la sintesi dei concimi chimici.

I Tipici, Ricette

Pizzoccheri della Valtellina PAT

I pizzoccheri sono il piatto simbolo della cucina tradizionale Valtellinese, conosciuti un po’ ovunque e molto apprezzati soprattutto nei mesi freddi. Il nome “pizzoccheri” sembra derivare dalla radice “pit” o “piz” col significato di pezzetto o ancora dalla parola pinzare col significato di schiacciare, in riferimento alla forma schiacciata della pasta. Altre ipotesi farebbero risalire la parola pizzoccheri dal longobardo bizzo, ovvero boccone, ma questa ipotesi etimologica è piuttosto improbabile. Parlare del pizzocchero è difficile. È sempre complicato descrivere i cibi genuini e scriverne è quasi impossibile perché la parola riduce la sensazione a pochi tratti, troppo essenziali. Tuttavia, volendone dar conto, si deve assolutamente passare attraverso la descrizione dell’incanto che gustandolo si prova. Il pizzocchero (che è sempre detto al plurale) è una tale e specifica unione di ingredienti semplici che trova, nell’equilibrio e nella fusione delle sostanze, la sua più alta affermazione. Dunque: i pizzoccheri di Teglio sono armonia e gusto e portano direttamente ai piaceri della vista, del palato e della gola. Sono un piatto tipico che nasce da una combinazione tra diverse sostanze genuine e che soddisfano – ciascuna – uno specifico momento del mangiare. Fumanti arrivano in tavola, ma già si era diffuso nell’ambiente il loro buon odore, scaturito dalla combinazione delle parti, spinto dai vapori che – usciti dall’acqua bollente – segnalavano l’esatta cottura della pasta. La rosolatura del burro, con un poco d’aglio, aveva anticipato all’olfatto il successivo incanto della vista che godeva, dai piatti distribuiti sulla tavola, il trionfo e il piacere delle tagliatelle condite. L’insieme era stato dunque immaginato,poi aspirato e annusato e infine ammirato, apprezzato. Sui piatti, nelle singole porzioni, è stato eccitato da una spruzzata di pepe nero, a volontà. Ingredienti: Formaggio semigrasso della Valtellina “CASERA” (180 g), Pizzoccheri(420 g), Patate (180 g), Verza (180 g), Burro (30 g), Salvia (n.5 foglie), Pepe (q.b.), Sale (q.b.) Descrizione: Pelare e tagliare a pezzi le patate, lavare e tagliare a strisce le verze, cuocere in una pentola con acqua salata le patate e le verze, tagliare il formaggio a fettine sottili. A cottura ultimata, unire i pizzoccheri e cuocere per 10-15 minuti, scolare ancora al dente. Nel frattempo rosolare le foglie di salvia nel burro, porre i pizzoccheri in una zuppiera, unire il formaggio, il burro e la salvia ed amalgamare accuratamente. Servire, unendo del pepe a parte

Educhiamoci

Puoi salvare il clima a tavola

Scegliere prodotti locali e comprare dal produttore, perchè si risparmia sulla CO2, e preferire prodotti sfusi che non hanno bisogno degli imballaggi. E poi riutilizzare le buste della spesa, così da ridurre la quantità di plastica consumata. Sono solo tre consigli di quelli contenuti nel decalogo Coldiretti ‘Salva il clima a tavola: istruzioni per l’uso, redatto dalla stessa organizzazione agricola in occasione dellEarth Day. Dieci consigli per ridurre l’impatto ambientale attraverso comportamenti sostenibili. Ecco, di seguito, il decalogo Coldiretti: 1) Preferire l’acquisto di prodotti locali che non devono subirelunghi trasporti con mezzi inquinanti; 2) Scegliere frutta e verdura di stagione che non consumanoenergia per la conservazione; 3) Ridurre le intermediazioni fino a fare acquisti direttamentedal produttore per evitare passaggi di mano del prodotto chespesso significano inutili trasporti; 4) Privilegiare i prodotti sfusi che non consumano imballaggi; 5) Acquistare confezioni formato famiglia rispetto a quellemonodose per ridurre il consumo di imballaggi per quantit… dicibo consumato; 6) Fare acquisti di gruppo (anche in condominio) per ridurre iconsumi di energia nei trasporti per fare la spesa; 7) Riutilizzare le borse per la spesa e servirsi di quelle fattecon materiali biodegradabili di origine agricola nazionale o ditela invece di quelle in plastica; 8) Ottimizzare l’energia consumata nella preparazione econservazione dei cibi con pentole e frigoriferi a basso impatto; 9) Evitare di servire a tavola con piatti e bicchieri di plasticache consumano energia e inquinano l’ambiente; 10) Fare la raccolta differenziata per consentire il recupero dienergia dai rifiuti prodotti.

Il cibo nel tempo, nell'Antica Roma

La giardiniera di Columella

Columella, nato da genitori romani nel 4 dC e morto intorno al 70 dC, è il più importante scrittore di agricoltura dell’epoca imperiale romanaIl suo De re rustica, in dodici volumi, ci è pervenuto completo e costituisce una fonte insostituibile di documentazione sull’agricoltura romana.Il De Re Rustica è dedicato da Columella a Publio Silvino, un agricoltore suo vicino di casa e costituisce probabilmente il trattato più moderno del pensiero di Columella, con cui noi nel XXI secolo siamo ancor oggi chiamati a fare i conti quando parliamo di fertilità, di sostenibilità dell’attività agricola o di prospettive alimentari globali.Sia Columella che Plinio nelle loro opere descrivono le piante che non dovevano mancare nell’ orto, in quanto utili per la tavola, per la farmacia di casa, per i riti domestici. Sulla tavola degli antichi comparivano i cavoli, le lattughe, la rucola, la cicoria, i cardi, il crescione, il coriandolo, il cerfoglio, l’ aneto, le carote, il sedano, l’ aglio, le cipolle, il papavero, l’agretto, la ruta, la bietola, il porro, le rape, i navoni, l’origano, la santoreggia, l’ indivia, il basilico, gli asparagi, la menta, la zucca, i cocomeri, i cetrioli, il rafano, la malva per citare quelle a noi quelle più familiari Giardiniera. Preparati l’aceto e la salamoia nel periodo dell’equinozio di primavera, bisognerà raccogliere e conservare le erbe: come cime e cavoli, capperi, steli di sedano, ruta, fiori di macerone con il loro stelo avanti che escano dalla capsula, e ancora piantine di ferula appena appena spuntate e tenerissime col loro stelo, fiori appena in boccio di pastinaca selvatica o coltivata col loro stelo, di vitalba, di asparago, di pungitopo, di tamno, di digitale, di puleggio, di nipitella, di ramolaccio, di battide col suo stelo: questo viene anche chiamato piede di nibbio; e ancora teneri steli di finocchio. Tutte queste erbe si conservano molto bene con un solo tipo di conditura, cioè con due parti di aceto e una di salamoia forte mescolate insieme ( Col. XII, 7). fonte beniculturali.it

Il cibo nel tempo, nel Rinascimento

Herbolata de maio del M.Martino (XIV sec)

L’erbolata era una ricetta molto comune, legata ai mesi primaverili e qui collegata specificatamente al mese di maggio. Poteva essere preparata con diversi tipi di erbe e compare in molti ricettari. Nel Libro de la cocina del XIV secolo è così descritta: Di tutti i fiori e altre più erbe, quali che tu vuoli, puoi fare erbolato con cascio  e ova e spezie..Piglia altretanto cascio frescho como è dito di sopra et pistalo molto bene, et habi quindici o sidici bianchi d’ova con un quarto vel circha di bon lacte; et pigliarai de le vietole in bona quantità, cioè per la maiore parte, et de la maiorana pocha, salvia assai, menta pocha, petrosillo assai. Et tutte queste herbe pistarai insieme molto bene premendone fora il sucho, et passandolo per la stamegna. Il qual sucho mettirai insieme con le cose sopra ditte mettendo con esse meza libra di bono strutto, overo butiro frescho; et prendirai poche foglie di petrosillo, et pochissime foglie de maiorana, et con un coltello le tagliarai et le battirai più menute che sia possibile, et macinarale molto bene nel mortale incorporandole con le sopra ditte cose, agiongendovi meza oncia di zenzevero biancho, et otto oncie di zuccharo. Et fa’ che tutta questa composizione sia ben mescolata in uno vaso, il quale metterai sopra le brascie lontano da la fiamma del focho, menando continuamente col cocchiaro, o altro intrumento atto a questo, tanto che ti para che se incomenci a pigliare a modo d’un brodetto. Et facto questo haverai apparecchiata in la padella una pasta sottile, et mettirali dentro queste cose sopra ditte, cioè pieno, daendoli il focho temperatamente ad ascio di sotto et di sopra. Et quando ti pare che sia presa abastanza, cavala fore, et metteli di sopra del zuccharo fino et dell’acqua rosata. Et simile torta o herbolata che vogliamo dire, quanto è più verde, tanto è migliore, et mostra più bella Si tratta quindi di una torta, una pietanza molto apprezzata che poteva essere dolce o salata. formaggio fresco, albumi, latte, bietola, maggiorana, salvia, menta, prezzemolo, strutto, (burro),zenzero,zucchero,pasta sfoglia o frolla Prendi tanto formaggio fresco  (700gr)e sminuzzalo molto bene e prepara quindici o sedici albumi e all’incirca un quarto di latte; prendi un buon quantitativo di bietole,  abbastanza salvia e prezzemolo, e poca menta e maggiorana. Pesta tutte queste erbe facendone fuoriuscire il succo e passalo al setaccio. Aggiungi il succo agli ingredienti precedenti assieme a mezza libbra (220gr) di strutto, oppure di burro; prendi ancora qualche foglia di prezzemolo e pochissima maggiorana, tritali con il coltello e fai un battuto finissimo pestato nel mortaio da incorporare poi agli altri ingredienti, aggiungendo mezza oncia(15gr.) di zenzero e otto (180gr)di zucchero. Mescola bene il composto in un recipiente che metterai al fuoco lontano dalla fiamma, mescolando continuamente con un cucchiaio o un altro utensile adeguato, fino a quando incomincia a rapprendersi divenendo denso come un brodetto. Concluse queste operazioni fodera una padella con della pasta sottile e riempila con il composto, scaldandola lentamente sia sotto che sopra. Quando ti sembra che si sia rappresa sufficientemente, toglila dal fuoco e aggiungi di sopra zucchero . Questa “erbolata” è tanto più buona  quanto è più di colore verde.

I Tipici

Broccolo Fiolaro di Creazzo PAT

Il “broccolo fiolaro di Creazzo” è un prodotto oggi molto apprezzato per le sue proprietà alimentari, mentre un tempo era definito cibo dei poveri.Il nome di questo ortaggio deriva dalla presenza di germogli inseriti lungo il fusto della pianta, conosciuti in termine dialettale come “fioi” e che vengono cotti in padella, insieme alle foglie più giovani, come una vera prelibatezza. Si tratta di un prodotto che ha la particolarità di non assomigliare né per forma, né per gusto alle altre varietà di broccolo. Come ricorda Antonio di Lorenzo, in un saggio dedicato al broccolo di Creazzo, il primo ad innamorarsi di questo prodotto tipicamente vicentino fu Johann Wolfgang Goethe, durante la tappa a Vicenza del viaggio in Italia che il poeta tedesco intraprese nel 1786.La produzione ed il commercio del broccolo hanno costituito un’importante fonte di sostentamento per numerose famiglie di Creazzo negli anni ‘60-’70, quando il prodotto raccolto veniva commercializzato soprattutto nella città di Vicenza, dove giovani e vecchi conferivano il prodotto confezionato nelle “sacare”, specie di corone ottenute infilando i broccoli nelle “strope”Il “broccolo fiolaro di Creazzo” trova molteplici impieghi nell’arte culinaria, infatti viene utilizzato per realizzare torte salate o sformati. Può essere assaporato anche crudo in insalata assieme ad altre verdure. Trova valido utilizzo per i primi piatti, come ripieno di tortelli, gustosi pasticci, zuppe e minestre. Come contorno, da abbinare preferibilmente a bolliti od arrosti, viene servito in vari modi: cotto al tegame, gratinato con la besciamella, bollito e condito con olio, sale e pepe. Ottimo infine comeripieno delle carni di pennuti.

Torna in alto