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Vini

Frascati DOC

I vigneti storici si trovano in collina su terreni di origine vulcanica del versante settentrionale dei Colli albani. La sua origine risale all’epoca degli splendori della Roma imperiale. Nel 1515 lo Statuto di Marcantonio Colonna ne dettava le regole per l’impianto, la misura, la lavorazione e la vendita. Apprezzato da secoli da papi, re e poeti e servito alle mense principesche e borghesi di Roma, fu accolto un’ottantina di anni fa nell’esclusiva cantina di Buckingham Palace. Il nome è legato all’abitudine degli osti della zona di sistemare fuori dalla porta la legna da ardere raccolta nei boschi demaniali della zona. Dalle frasche derivarono il nome le osterie stesse, le “fraschette” e della città, che poi lo passò al vino. Descrizione: Colore paglierino più o meno intenso. Odore vinoso, con profumo caratteristico delicato. Sapore sapido, morbido, secco, amabile o abboccato. Titolo alcol. minimo: 11,5%. Abbinamenti: antipasti, primi piatti della tradizione locale (fregnacce alla reatina, stracciatella alla romana, pasta e fagioli, pasta e broccoli in brodo d’arzilla, acquacotta, bucatini all’amatriciana), secondi piatti di pesce e carni bianche (fritto alla romana, saltimbocca alla romana, scaloppine, seppie un umido, calamari ripieni, pollo con peperoni), formaggi di media stagionatura e, con il tipo dolce o amabile, amaretti di guarcino, pupazza di frascati, ciambelle al vino, tozzetti e castagnole. Tipologie: Frascati, Frascati Superiore, Frascati Cannellino, Frascati Spumante. Vitigni: Malvasia bianca di Candia e/o Malvasia del Lazio (Malvasia puntinata) 70-100%; Bellone e/o Bombino bianco e/o Greco bianco e/o Trebbiano toscano e/o Trebbiano giallo 0-30%; Altre varietà di vitigni a bacca bianca per lo 0-15% di questo 30%. Disciplinare: Approvato DOC con DPR 03.03.1966 (G.U. 119 – 16.05.1966), poi il tipo Cannellino e Superiore approvati DOCG come Cannellino di Frascati e Frascati Superiore con Dm 20.09.2011

Vini

Ischia DOC

La viticoltura ad Ischia, di origini millenarie, è stata alla base dell’economia isolana per lunghi periodi storici. La vite vi fu introdotta dagli antichi greci della Calcide, i Romani chiamarono l’isola “Enaria” (terra del vino). A partire dal 1500 il vino bianco sfuso veniva esportato, nei “carrati” trasportati dalle vinacciere (barche a vela), verso i principali mercati italiani e stranieri fino in Dalmazia. Il clima mite favorito dalla particolare formazione a cono dell’isola e dalla posizione geografica nel Mar Tirreno centrale, e l’esposizione dei vigneti in ambiente ventilato e luminoso contribuiscono ad un vino di alta qualità. Le colture si estendono dalle coste fin sugli irti pendii montani, solcati da cellai e terrazzamenti costruiti con rinforzi di muri a secco di pietra di tufo verde. In alcune aree la vite è ancora allevata a curruturu, forma arcaica tradizionale. Descrizione: Colore giallo paglierino più o meno intenso (Bianco e Forastera) o con riflessi verdognoli (Biancolella), rosso rubino più o meno intenso (Rosso e Piedirosso). Odore vinoso (Rosso), vinoso, gradevole delicato (Bianco) o caratteristico (Biancolella), vinoso caratteristico delicato (Forastera) o gradevole (Piedirosso). Sapore secco, di giusto corpo, armonico (Bianco, Biancolella e Forastera), asciutto, di medio corpo, giustamente tannico (Rosso e Piedirosso). Titolo alcol. min. 10% (Bianco, Biancolella, Forastera), 10,5% (Rosso e Piedirosso). Abbinamenti: da aperitivo o con antipasti di mare, fritture di pesce, pizza alla marinara, sughi di mare in bianco, pesce nobile e crostacei, alici ammollicate, polpo all’insalata, sautè, cuoccio all’acqua pazza (Bianco, Biancolella e Forastera); con arrosti di carni rosse e cacciagione, formaggi a pasta semidura non stagionati e stagionati, coniglio all’ischitana (Rosso e Piedirosso). Tipologie: Ischia Bianco anche Superiore e Spumante, Ischia Rosso, Ischia Forastera, Ischia Biancolella, Ischia Piedirosso o Per’ e Palummo anche Passito. Vitigni: Forastera 45-70% e Biancolella 30-55% (Bianco), Biancolella 85-100% (Biancolella), Forastera 85-100% (Forastera), Guarnaccia 40-50% e Piedirosso 40-50% (Rosso), Piedirosso 85-100% (Piedirosso). Altri vitigni a bacca bianca non aromatici 0-15%. Disciplinare: Approvato DOC con DPR 03.03.1966 (G.U. 122 – 09.05.1966)

Vini

Carema DOC

Già i Romani a Carema producevano un ottimo vino e alla fine del Cinquecento il medico Andrea Bacci, nel suo libro ‘De naturalis historia vinorum’, lo cita tra i vini migliori ricordandone l’ammissione alla Corte dei Savoia. Sulle rocce moreniche del monte Maletto, tra i 350 e 700 m di altitudine, la sua coltura si è sviluppata caparbiamente nel tempo grazie al duro lavoro dei vignaioli, che diverse volte hanno dovuto ricostruito la collina trasportando il terriccio, sostenendolo con opere in muratura e reimpiantando i vigneti che erano scivolati a valle. I caratteristici muretti a secco (topion) e pilastri in pietra, oltre a catturare i raggi del sole rilasciandoli poi alle viti nel periodo notturno, sono un vero e proprio vanto architettonico e da sempre garantiscono la giusta maturazione delle due varietà locali (il Picutener e il Prugnet) di Nebbiolo, forse così chiamato per l’epoca tardiva di vendemmia quando già le prime nebbie avvolgono i filari ai confini della Val d’Aosta.Descrizione:  Colore rosso rubino tendente al granato (Carema), rosso granato (Carema Riserva). Odore fine e caratteristico (Carema Riserva) e che ricorda la rosa macerata (Carema). Sapore morbido, vellutato, corposo (Carema e Carema Riserva). Titolo alcol. minimo 12% (Carema e Carema Riserva). Invecchiamento minimo di 2 anni (di cui 12 mesi in legno di rovere o castagno), 3 per la Riserva. Abbinamenti:  minestre asciutte con salse rilevate, risotti con funghi, carni rosse e selvaggina, stracotto di cavallo, salumi, formaggi stagionati.Disciplinare:  approvato DOC con DPR 09.07.1967 (G.U. 199 – 09.08.1967)Tipologie:  Carema e Carema Riserva.Vitigni:  Nebbiolo 85-100%, Altri vitigni piemontesi a bacca rossa non aromatici 0-15%.

Vini

Brunello di Montalcino DOCG

Già nel Medio Evo gli statuti comunali regolamentavano la data d’inizio vendemmia e durante l’assedio del 1553 il vino non mancò mai. Secondo il bolognese Leandro Alberti (1550-1631), Montalcino era ”molto nominato per li buoni vini che si cavano da quelli ameni colli.” Charles Thompson nel 1744 dice che “Montalcino non è molto famosa eccetto che per la bontà dei suoi vini”. Ma il padre precursore di questo vino come lo conosciamo oggi fu Clemente Santi, premiato nel 1869 con medaglia d’argento per un suo Brunello della vendemmia 1865. L’area di produzione, che corrisponde a quella dell’omonimo comune, è delimitata dalle valli dei tre fiumi Orcia, Asso e Ombrone. Il clima mediterraneo ma tendenzialmente asciutto, anche grazie alla posizione intermedia tra il mare e le montagne dell’Appennino Centrale, contribuisce ad una maturazione graduale e completa dei grappoli, con differenze di ben 15 giorni tra le zone più elevate, come il Greppo, e le vigne situate nella parte sud-occidentale, di più recente impianto, che è possibile apprezzare nelle diverse etichette.Descrizione:  Colore rosso rubino intenso tendente al granato. Odore caratteristico ed intenso. Sapore asciutto, caldo, un po’ tannico, robusto, armonico, persistente. Titolo alcol. min. 12,5%. Invecchiamento minimo di 4 anni di cui 3 in botte di rovere, 5 la Riserva. Migliora nel tempo in funzione delle caratteristiche delle annate, per un minimo di 10 e fino a 30 anni e anche più a lungo, se conservato nel modo giusto:  bottiglie coricate in cantina fresca, luce scarsa, temperatura costante, senza rumori e odori. Abbinamenti: da meditazione o con piatti strutturati e compositi quali carni rosse, selvaggina da penna e da pelo, anche con salse, funghi o tartufi; tome stagionate e formaggi strutturati.Disciplinare:  approvato DOC con DPR 28.03.1966 (GU 132 – 30.06.1966), poi approvato DOCG con DPR 01.07.1980 (GU 314 – 15.11.1980)Tipologie:  Brunello di Montalcino e Brunello di Montalcino Riserva. Può essere utilizzata la menzione “vigna” a condizione che sia seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale.Vitigni:  Sangiovese (denominato, a Montalcino, “Brunello”) 100%.

Vini

Vino Nobile di Montepulciano DOCG

La viticoltura a Montepulciano risale all’epoca etrusca, ma il primo documento scritto è del 789. La produzione di vini eccellenti sul Mons Politianus fu costante nel Medioevo è già alla metà del Trecento la città emanò norme per regolarne commercio ed esportazione.Alla metà del Cinquecento il Rosso Scelto di Montepulciano (così era chiamato) deliziò papa Paolo III e nel 1685 il medico, naturalista e poeta Francesco Redi, nel suo divertente ditirambo Bacco in Toscana, lo celebrò come la manna di Montepulciano, concludendo entusiasta Montepulciano d’ogni vino è Re!. Il rinvenimento di una tazza da vino a figure rosse in una tomba etrusca nei pressi del paese ne testimonia la vocazione enologica fin dalle sue origini remotissime. Già partire dall’Alto Medioevo, quando furono stabilite le prime clausole per il commercio e l’esportazione, i vigneti di Mons Pulitianus producevano vini eccellenti, raccontati dal cantiniere di papa Paolo III Farnese alla metà del 1500 e dal poeta Francesco Redi nel XVII sec. Si narra che l’appellativo “Nobile” risalga al ‘700, quando venne selezionato ed impiegato nell’uvaggio il Prugnolo gentile, clone del Sangiovese grosso, dotato di maggiore eleganza e nobiltà. Da citare la storica presenza delle cantine nel sottosuolo dei palazzi signorili della città, cantine in parte tuttora utilizzate per la maturazione del vino. La caratteristica composizione del suolo (sabbie gialle e argille marine ricche di potassio), in combinazione con estati siccitose rinfrescate da brezze collinari e con l’esposizione dei vigneti, conferiscono al Sangiovese peculiari note sensoriali di amarena, viola e speziato.Vitigni: Sangiovese (denominato a Montepulciano Prugnolo gentile) 70-100%; Altri vitigni toscani (Canaiolo nero, Mammolo) 0-30%.Descrizione: Colore rosso rubino tendente al granato con l’invecchiamento. Odore intenso, etereo, caratteristico. Sapore asciutto, equilibrato e persistente, con possibile sentore di legno. Titolo alcol. minimo: 12,5%, per la Riserva 13%. Invecchiamento minimo di 2 anni (di cui almeno 1 in botti di rovere), 3 per la Riserva.Abbinamenti: pici con le briciole, arrosti di carni rosse, pollame nobile, cacciagione e selvaggina, tartufo, funghi porcini, pecorino stagionato di Pienza, formaggio di Fossa e formaggi erborinati.Disciplinare: approvato DOC con DPR 12.07.1966 (GU 19.09.1966), poi approvato DOCG con DPR 01.07.1980 (GU 47 – 17.02.1981)

Vini

Il Lambrusco Mantovano DOC

Situata tra il Garda, il Mincio e il PO, Mantova è la terra di origine della dinastia dei Gonzaga e la zona di produzione di ottimi vini. Dai Garda Colli Mantovani al Lambrusco, un invito a visitare una provincia ricca di sapori. Testimonianze dirette ci giungono dai latini e precisamente da Virgilio, nativo del mantovano,  il quale parla dell’esistenza della vitis labrusca duemila anni fa.La pluricentenaria esperienza e tradizione viticola dell’area del Lambrusco Mantovano DOC è risalente al tempo dei Benedettini.  Basterà ricordare che i monaci di Polirone nei loro tenimenti di San Benedetto Po e dell’Oltrepò stabilivano agli affittuali un imponibile vinicolo ed anche nel Rinascimento le botti mantovane viaggiavano sulla strada d’Alemagna. La pianura a destra del Po è sempre stata regno del Lambrusco Mantovano che si può considerare la bandiera enologica della Bassa Padana orientale. Dal 1987 ha avuto il riconoscimento DOC e in quest’ultimo decennio ha ottenuto i più alti riconoscimenti attribuiti ai Lambruschi.È prodotto in due zone distinte separate dal fiume Po: Viadanese-Sabbionetano e Oltrepò Mantovano. Nella zona sono presenti tre tipologie di vino IGT: Sabbioneta, Quistello e Provincia di Mantova.Il Lambrusco Mantovano è vino di lunga tradizione e di reputazione consolidata, sebbene si tratti della più recente acquisizione tra i vini DOC della Lombardia.Si tratta di un vino più o meno frizzante, sottoposto alla pratica della rifermentazione naturale, alla quale deve la spuma evanescente che è una delle sue caratteristiche salienti. Si ottiene per almeno l’85% con uve di vitigni Lambrusco viadanese, Groppello Ruberti, Lambrusco Maestri, Lambrusco Marani e Lambrusco salamino e, per il rimanente, con Uva d’Oro (o Fortana). Il Lambrusco Mantovano DOC è un vino da pasto frizzante di colore rosso rubino, con gradazione minima di 10°.Il profumo è abbastanza intenso, poco persistente, fine, vinoso e fruttato.Al palato si presenta morbido, quasi di corpo, abbastanza fresco, poco tannico e sapido, e ben equilibrato. Dopo la pigiatura, le uve vengono messe a fermentare e a macerare assieme alla vinaccia in recipienti chiamati fermentini, secondo la tecnica della vinificazione in rosso. È durante questa fase che bucce e vinacce rilasciano i pigmenti che conferiscono il colore rosso al vino.Con la successiva svinatura, si separa la vinaccia dal mosto travasando il vino in vasche di conservazione. In queste vasche a causa dell’abbassamento della temperatura si blocca la fermentazione alcolica e inizia la fermentazione malolattica . In questa fase il vino subisce una riduzione di acidità e acquisisce stabilità, limpidezza e parte delle caratteristiche organolettiche tipiche. Dopo l’invecchiamento il vino viene stabilizzato e imbottigliato.Essendo un vino frizzante, il Lambrusco Mantovano Doc viene sottoposto a rifermentazione , mediante la quale si ottiene la formazione della spuma. La dolcificazione deve effettuarsi con mosti d’uva o mosti concentrati, tutti provenienti da uve atte alla produzione di questo vino Doc. Nei limiti previsti dalla legge è consentito l’uso del mosto concentrato rettificato. Agli inizi del 1900 gli emigrati italiani costretti a trasferirsi in Sud America, non rinunciano a portare con se il Lambrusco Mantovano considerato il vino della tradizione italiana. Il Lambrusco nello stesso periodo appare sulle tavole del Waldorf Astoria di New York.Per conservare correttamente il Lambrusco Mantovano DOC è sufficiente tenere le bottiglie a un’umidità del 70-75% affinché il tappo non si asciughi.Si consiglia inoltre di mantenere una temperatura costante fra 10 e 15°C e di utilizzare scaffalature di legno, sulle quali sistemare le bottiglie in posizione orizzontale, per attutire i colpi.Il Lambrusco Mantovano DOC all’esame olfattivo si presenta abbastanza intenso, poco persistente, fine, vinoso, fruttato. Ha un sapore abboccato, morbido, quasi di corpo, sufficientemente fresco, poco tannico e sapido e mediamente equilibrato.Per coglierne appieno il gusto, è consigliabile abbinare il Lambrusco Mantovano DOC con preparazioni poco o abbastanza strutturate, come brodini di carne, bolliti misti e cotechini in umido. Se ne consiglia la degustazione in calici per vini rosati freschi, a una temperatura compresa fra i 14 e i 16°C. Il periodo ottimale di consumo è entro uno o due anni dalla vendemmia. Vitigni: Lambrusco Viadanese (localmente denominato Grappello Ruberti), Lambrusco Maestri (localmente denominato Grappello Maestri), Lambrusco Marani e Lambrusco Salamino, da soli o congiuntamente per almeno l’85%. Possono concorrere alla produzione di detti vini anche le uve provenienti da vitigni: Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa (localmente Grappello Grasparossa), Ancellotta e Fortana, da soli o congiuntamente, nella misura massima del 15%.

Il cibo nel tempo, nell'Antica Roma

Basynias.. antenati degli struffoli napoletani

Dolcetti , dall’Antica Grecia a base di uova miele e noci, che si possono considerare antenati degli struffoli napoletani Ingredienti: 300 gr. di farina, 8 uova intere e 2 tuorli, 60 gr di strutto, 300 gr di miele, 4 fichi secchi, 12 noci sgusciate, chicchi di melograno, sale.Preparazione: Fare l’impasto di farina, acqua e strutto  e ricavarne bastoncini come grissini e tagliarli in pezzetti di 2 cm e rosolarli nel miele mentre si spezzettano i fichi e si tagliuzzano le noci unendoli ai chicchi di melograno. Una volta che i “pezzetti” sono croccanti e dorati si rotolano nel trito di fichi e noci e si dispongono su un piatto.

Ricette, Tradizioni

Torta di riso Reggiana

E’ il dolce campagnolo che saluta la primavera. l’ingrediente base è il riso cotto nel latte, cui si aggiungono uova sbattute, zucchero, mandorle, semi d’anice e scorza di limone. La torta di riso è considerata dai Reggiani un dolce locale della tradizione, anche se, in altre parti di Italia si realizzano torte con questo particolare ingrediente dalle numerose varianti,. Si ritiene che la sua diffusione a Reggio Emilia nasca grazie alle “mondine”, le ragazze più giovani delle famiglie contadine che nei primi anni del Novecento, durante la raccolta del riso, si trasferivano nelle piantagioni nelle zone di Vercelli. Il riso, oltre al denaro, costituiva una parte importante dello stipendio della mondina; da qui la diffusione del suo impiego in numerose ricette della cucina reggiana. Pare, tuttavia, che una simile ricetta abbia origini assai lontane, essendo citata a metà del XV secolo da Maestro Martino da Como, cuoco al servizio del patriarca di Aquileia, nel suo trattato De arte coquinaria, seppure con varianti di preparazione. Ingredienti: 150 gr di riso, 1 litro di latte fresci intero, 150 gr di zucchero, 1 pizzico di sale, 3 uova intere, 3-4 cucchiai di Sassolino o Anicione, 1 limone grattugiato.Procedimento:Si porti ad ebollizione il latte con un pizzico di sale, si versi il riso e lo si lasci cuocere. Si aggiunga lo zucchero, la scorza di limone grattugiata ed il liquore Sassolino. Quando l’impasto si è raffreddato, si incorporano i tuorli delle uova (uno alla volta e il successivo solo dopo che il primo sia completamente amalgamato) e quindi gli albumi. mettere il tutto in uno stampo imburrato e infarinato e lasciare riposare per due ore. Si proceda alla cottura in forno alla temperatura di 180 C° per 45 minuti circa. Zuccherare in superficie e spruzzare con il liquore d’anice.

Ricette, Tradizioni

La Torta di Pasqua a Perugia

Si tratta di una torta salata, tipica delle feste pasquali, che a Perugia viene chiamata torta di Pasqua, di forma assai simile al ben più famoso panettone natalizio meneghino. Viene preparata con grande impegno, di spesa e di tempo, il Giovedì o il Venerdì Santo, e la tradizione vuole che, essendo questi giorni di digiuno e di astinenza, non si dovrebbe assaggiare finché non si “sciolgano le campane”, a conclusione cioé del periodo di penitenza.La buona riuscita della torta di Pasqua ha messo sempre in gioco la reputazione di ogni massaia. Ciascuna casa era un tempo pervasa dai preparativi: nella notte cominciava il lavoro che durava quasi l’intera giornata. La preparazione è la seguente: alla pasta del pane si aggiunge il lievito di birra, che raddoppia il volume dell’impasto, quindi farina, uova sbattute, olio extravergine di oliva, strutto, pecorino stagionato di Norcia grattugiato, pecorino fresco a tocchetti, sale e pepe.Data la grande quantità, è questa una delle poche ricette che vede impegnato l’uomo della famiglia, coinvolto per lavorare l’impasto tanto a lungo, finché risulta liscio e lucido. A questo punto, si pongono le forme a lievitare in stampi di coccio a tronco di cono. Ultimata questa delicatissima operazione, si passa alla cottura nel forno a legna.Dopo circa tre ore, si sfornano torte di un bel colore ambrato, pronte a troneggiare sulle tavole il giorno di Pasqua, insieme con il capocollo, le uova sode ed un bel cosciotto d’agnello.  Richiamando gli antichi riti pagani della Fertilità e dell’Abbondanza e quelli cristiani del Giovedì Santo, la torta di Pasqua viene portata in chiesa, per essere benedetta insieme a tutti i cibi da consumarsi il giorno di Pasqua.Oggi la torta può essere acquistata tutto l’anno, anche in confezioni sottovuoto, in ogni punto di vendita alimentare e, pur mantenendo la sua forma originale, ne ha acquistato delle altre, come quella rettangolare del pan-carré, oppure bassa come una schiacciata, oppure lunga e affusolata come un grande grissino.La si può trovare anche già farcita e fatta a spicchi, con salame, prosciutto, tonno e maionese e tanti altri ingredienti. Per conferirle un sapore meno forte, nella ricetta è stato introdotto il burro al posto dell’olio ed il pecorino è stato sostituito dal parmigiano.La lavorazione industriale l’ha resa più leggera e digeribile. www.comune.perugia.it

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