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Il cibo nel tempo, nel Medioevo

La ribollita- Anonimo Toscano sec.XIV

I primi manoscritti italiani contenenti ricettari di cucina compaiono negli ultimi secoli del Medioevo, il XIV e il XV. Essi esprimono una cultura già chiaramente definibile come italiana, pur muovendosi in una logica più ampia, di ambito europeo Ingredienti:pane toscano raffermo, fagioli cannellini lessati,cavolo nero, cavolo verza,bietola, patate, carote, porro, cipolla, poca passata di pomodoro,olio di oliva, pepolino,timo Preparazione:Prima di tutto bisogna passare meta’ dei cannellini lessati al passa verdure, diluendo la purea con la loro acqua di cottura. Si prepara un soffritto con cipolla e porro in abbondante olio (utilizzate una pentola capiente a bordi alti) e quando le verdure si sono imbiondite si aggiunge poca passata di pomodoro; si lascia insaporire per qualche minuto, si aggiungono quindi i cavoli, le patate, le carote, tagliati a pezzetti e si lascia stufare dolcemente. A questo punto si mettono nella pentola anche i fagioli interi e il passato e si porta a cottura a fuoco dolcissimo, aggiungendo poco prima del termine il pepolino. Per completare si dispongono le fette di pane in una zuppiera alternandole con mestoli di zuppa: e’ gia buona cosi’, ma naturalmente diventa ribollita solo dopo averla lasciata riposare (in modo che il pane assorba tutto il brodo) e averla riscaldata di nuovo prima di consumarla.

I Tipici

Riso di Baraggia DOP

L’indicazione D.O.P. «Riso di Baraggia Biellese e Vercellese» si riferisce a diverse varietà del cereale della specie Oryza sativa L. ottenuto mediante l’elaborazione del riso grezzo o risone a riso «integrale», «raffinato» e «parboiled». Il Riso di Baraggia Biellese e Vercellese si distingue per la tenuta alla cottura, superiore consistenza e modesta collosità caratteristiche attribuibili tra l’altro a rese più basse e cicli vegetativi più lunghi rispetto a quelli rinvenibili in altre zone.La coltivazione del riso nell’area delimitata della Baraggia si ritrova agli inizi del XVI secolo ed ha riscontri anche in atti notarili dell’anno 1606 nel Comune di Salussola. In epoche successive, la specificità del riso fu descritta per circa 50 anni nel «Giornale di Risicoltura», edito dall’ex Istituto Sperimentale di Risicoltura di Vercelli, che riportò frequentemente articoli tecnico scientifici per motivare le peculiari caratteristiche del prodotto e dell’area di baraggia. Lo stesso Istituto, nel 1931, acquisì al centro della Baraggia un’azienda risicola utilizzandola quale centro di ricerca allo scopo di perfezionare le specificità di produzione dell’area baraggiva.Anche l’Ente Nazionale Risi, nella rivista «Il Riso», in diversi articoli sottolineava le peculiari caratteristiche di qualità del riso prodotto in quest’ area. L’area di produzione si caratterizza infatti per la difficoltà di livellamento dei terreni per la particolare struttura argilloso-ferrosa che determina anche differenziate condizioni di sommersione, oltre al clima caratterizzato da mesi estivi piuttosto freschi nonché da frequenti inversioni termiche favorite dall’ingresso dei venti che discendono dai monti. Inoltre la presenza di acque fredde nella zona, situata ai piedi delle Alpi, fa si che questa zona sia la prima ad essere irrigata dai torrenti di montagna.

I Tipici

Pasta di Gragnano IGP

La produzione della pasta, in particolare dei “maccaroni”, che ha reso famosa Gragnano nel mondo, risale alla fine del XVI secolo quando compaiono i primi pastifici a conduzione familiare. Gragnano era allora già famosa per la produzione dei tessuti (da qui piazza Aubry deve il nome popolare di “piazza conceria” ). La produzione dei maccaroni diventò veramente importante solo a partire dalla metà del XVII secolo quando la maggior parte dei gragnanesi si dedicò alla produzione della pasta. La produzione dell’ “oro bianco” era ed è favorita da particolari condizioni climatiche , come una leggera aria umida che permette la lenta essiccazione dei maccaroni. L’industria pastaia venne aiutata da ben 30 mulini ad acqua , i ruderi di alcuni di questi si possono ammirare nella “valle dei mulini”.Intanto il settore dell’industria tessile entrava in crisi e chiuse definitivamente nel 1783 per una morìa dei bachi che bloccò la produzione della seta. Da allora i gragnanesi si dedicarono alla “manifattura della pasta”. L’epoca d’oro della pasta di Gragnano è l’Ottocento. In questo secolo sorsero grandi pastifici a conduzione non familiare lungo via roma e piazza trivione che diventarono così il centro di Gragnano.I pastifici infatti esponevano i maccheroni ad essiccare proprio in queste strade. La produzione dei maccaroni non rallentò dopo l’ Unificazione, anzi. Dopo il 1861 i pastifici gragnanesi si aprirono ai mercati di città come Torino, Firenze e Milano. La produzione della pasta raggiunse quindi l’apice. Gragnano addirittura ottenne l’apertura di una stazione ferroviaria per l’esportazione dei maccheroni che collegava Gragnano a Napoli e quindi all’intero Paese. Il 12 maggio 1885, all’inaugurazione erano presenti nientemeno che il re Umberto I e sua moglie, la regina Margherita di Savoia. Successivamente i pastifici si ammodernarono. Arrivò l’energia elettrica e con questa i moderni macchinari che sostituirono gli antichi torchi azionati a mano. Il Novecento fu però un secolo difficile per la città della pasta. Le due Guerre Mondiali fecero entrare in crisi la produzione della pasta gragnanese che nel Dopoguerra dovette affrontare la concorrenza dei grandi pastifici del Nord Italia, che disponevano di capitali maggiori. Il terremoto del 1980 aggravò la situazione e ridusse il numero di pastifici a sole 8 unità. Nonostante i tanti problemi, Gragnano continua a essere la città della pasta. Oggi i pastifici puntano ad una produzione di qualità e propongo itinerari turistici alla scoperta della produzione di quella pasta che ha reso Gragnano famosa in tutto il mondo.

I Tipici

Ricotta Romana DOP

I primi riferimenti storici sulla Ricotta Romana risalgono ai tempi dei Romani, quando Columella, nel “De re Rustica”, descrive le tecniche casearie utilizzate per ottenere i vari formaggi, tra cui la Ricotta. Il latte di pecora aveva tre destinazioni: la prima di natura religiosa/sacrificale; la seconda alimentare come bevanda o come ingrediente per varie preparazioni; la terza per l’ottenimento del formaggio di pecora fresco e stagionato, oltre l’utilizzo del siero residuo dapprima per ottenere la ricotta, poi per alimentare i maiali. Ercole Metalli, in “Usi e costumi della campagna romana” (1903), parlando dei pecorai riporta: “Pongono poi nuovamente la caldaia al fuoco per estrarne la ricotta. La ricotta, insieme a poco pane, rappresenta il loro esclusivo alimento”. In passato la paga dei pecorai consisteva in una lira e cinquanta centesimi al giorno, oltre al pane, al sale, alla ricotta e alla polenta. Considerata erroneamente un formaggio, la ricotta è in realtà un derivato della lavorazione del siero, e non del latte. Nell’Agro romano la ricotta per eccellenza è quella di pecora, ma si produce anche da vacca, capra e bufala. Il nome è dovuto al fatto che durante la lavorazione del formaggio la cagliata viene separata dal siero che viene riscaldato per una seconda volta: appunto, ricotto (dal latino recoctus, cotto due volte). I piccoli fiocchi bianchi cominciano ad affiorare una volta raggiunti gli 85 gradi e, consolidandosi, formano una massa bianca. Vengono estratti usando un mestolo forato e trasferiti nelle fiscelle, appositi cesti che una volta erano fatti col giunco. Qui la ricotta rimane per tre o quattro ore, finchè non si asciuga. La Ricotta Romana DOP presenta una pasta a struttura molto fine, compatta, bianca e con un sapore delicato e dolciastro, elementi che la distinguono dalle altre tipologie di ricotta. Le razze ovine (e relativi incroci) coinvolte sono: Sarda e suoi incroci, Comisana e suoi incroci, Sopravissana e suoi incroci, Massese e suoi incroci.

I Tipici

Asparago Bianco di Bassano DOP

La scoperta dell’asparago di Bassano, asparago di tipo “bianco”, si narra sia del tutto casuale e dovuta ad una grandinata violentissima che si abbattè nella zona intorno al ‘500. Tale grandinata avrebbe distrutto la parte epigea dell’ortaggio costringendo così il colono a cogliere la parte che stava sotto terra, cioè la parte bianca. Si accorse, con stupore, oltre ad essere commestibile era anche saporita e di gusto gradevole e da allora cominciò a cogliere l’asparago prima che spuntasse da terra. Tuttavia tra le genti del bassanese corre un’altra leggenda: si narra infatti che Sant’Antonio di Padova di ritorno dalle missioni africane avesse portato con sé alcune sementi dell’asparago delle quali si sarebbe servito per ammansire il feroce Ezzelino; infatti mentre se ne ritornava dalla città patavina, percorrendo quel tratto di strada che va da Bassano a Rosà, avrebbe seminato tra le siepi le sementi dell’asparago, le quali avrebbero rigogliosamente allignato in una terra che tutt’oggi è fra le più feconde per la coltura del turione. Certo è che la coltivazione dell’asparago nel territorio di Bassano è antichissima; esaminando le note spese per banchetti della Repubblica veneta (XV e XVI sec.) si trovano notizie certe sull’esistenza dell’ortaggio. In documenti datati 1534 per esempio, ci si riferisce a spese fatte per il magnifico messer Hettor Loredan, Official alle Rason Vecchie “… per sparasi mazi 130, lire 3 et soldi 10” . Persino durante il Concilio di Trento (1545-1563) alcuni padri conciliari, passano per Bassano con il loro seguito, ebbero modo di gustare tra i vari prodotti locali, anche i “sparasi”: così tra discussioni teologiche e “magnade de sparasi” i padri conciliari promossero, forse, il primo lancio turistico dell’asparago di Bassano, mettendone in risalto soprattutto le virtù diuretiche.Da allora tanta acqua è passata sotto il ponte di Bassano e l’asparago bianco sempre più si è diffuso arrivando ad essere conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. fonte http://www.asparagodibassano.com

Ricette, Tradizioni

Lepre al civet

Questa particolare pietanza piemontese, si cucina tradizionalmente anche con il coniglio, il capriolo, il camoscio e il cinghiale e viene servito con polenta o patate bollite. Per la marinataIn una terrina: lepre a pezzi, 8 grani di pepe nero, 1 foglia di alloro, 1 rametto di timo, 2 o 3 grani di ginepro, 5 ciuffetti di prezzemolo, 1 cipolla a pezzetti, 2 spicchi d’aglio, 1 gambo di sedano e 1 carota tagliata a rondelle. Coprire con vino rosso e lasciare marinare per due giorni.ProcedimentoTogliete i pezzi di carne dalla marinata. Scolate le verdure e mettetele da parte. Asciugate i pezzi di lepre e rosolateli in una pentola da stufato con poco burro fuso. Spolverateli con una spruzzata di farina. Aggiungete sale, pepe, un bouquet garni e le verdure. Ricoprite la carne con il vino della marinata e portate a bollore. Abbassate il fuoco e cuocete dolcemente per due ore. Verso la fine cottura si aggiunge il sangue fatto sciogliere sul fuoco.A cottura ultimata, togliete la carne, ponetela su un piatto e frullate il sugo. Rimettete il tutto nella pentola e fate scaldare per pochi minuti prima di servire con un contorno di patate o polenta.

Ricette, Tradizioni

Brasato al Barolo

Il brasato al Barolo è un piatto tipico della tradizione culinaria Piemontese molto gustoso ma  laborioso nella preparazione.Dell’origine del brasato al Barolo, non si sa molto, anche se il metodo di cottura per la preparazione del brasato era conosciuto già in antichità. Ingredienti (per 4 persone): gr. 800 di carne magra della coscia di manzo, gr. 50 di pancetta, gr. 50 di burro, una spruzzatina di brandy, farina 00.Per la marinatura: Una bottiglia di Barolo non molto invecchiato, 2 o 3 carote, 2 costole di sedano, una cipolla, le foglie di un rametto di rosmarino, 3 chiodi di garofano, un pizzico di timo, uno spicchio d’aglio, una foglia di alloro, un pezzetto di cannella, 3 grani di pepe raccolti in un sacchettino di garza.Preparazione: Steccate la carne con qualche listarella di pancetta, mettetela in una terrina con le verdure tagliate a pezzetti e il sacchettino con gli aromi e le spezie; versate il barolo, coprite con un piatto e lasciate marinare (circa un giorno), coperto, in luogo fresco (non in frigo), rimescolando qualche volta. In una casseruola soffriggete nel burro la rimanente pancetta tritata, poi rosolate la carne scolata e leggermente infarinata, versate quindi tutta la marinata e portate a bollore; dopo una decina di minuti togliere il sacchettino degli aromi, salate, coprite e portate a cottura a fuoco basso. Togliete quindi la carne e tenetela al caldo, passate il sugo nel passa verdure, rimettetelo sul fuoco, addensatelo, regolatelo di sale e spruzzatelo col brandy. Dopo qualche minuto di bollore versatelo sulla carne affettata e servite con polenta o purè.

Ricette, Tradizioni

Torta di tagliatelle

L’origine di questo curioso dolce che viene dalla tradizione rurale è ancora sconosciuta. Notizie della sua prima diffusione sono state riscontrate nella metà del XIX secolo in quanto la ricetta compare in un ricettario mantovano dell’epoca appartenente ad una collezione privata. La Torta di Tagliatelle o “turta tajadina” è un dolce di sfoglia di pasta classica, ridotta in tagliatelle sottili e mescolate a strati alterni con mandorle tritate, zucchero, burro e cotta al forno. Ingredienti Farina bianca 300 gr 3 tuorli Zucchero 200 gr Mandorle sbucciate e tritate 200 gr Burro 70 gr Liquore secco un bicchierino ProcedimentoPreparate una classica sfoglia con farina e tuorli, con l’aggiunta di un cucchiaio raso di zucchero e tagliatela in tagliatelle sottili, come quelle per il brodo. Mescolate le mandorle con lo zucchero e procedete a formare gli strati della torta. Nella tortiera imburrata disponete un leggero strato di tagliatelle, poi uno di mandorle e zucchero, distribuendo qua e la qualche fiocchetto di burro e una spruzzatina di liquore. Continuate così fino all’esaurimento degli ingredienti: dovrebbero risultare 3 strati di tagliatelle inframmezzati dalle mandorle. Cuocete in forno a 180° e quando la torta avrà preso un colore dorato (dopo circa 40 minuti) sarà pronta. fonte parcodelmincio.

Ricette, Tradizioni

Torta nera

La torta nera di mele del Monferrato è una delizia antica, nata per sfruttare le mele che abbondavano nelle cascine, una varietà locale di mele  dolci e saporite che allora venivano ridotte in purea e unite a uova, pan grattato e zucchero. Nel tempo sono stati aggiunti  amaretti e cacao.Veniva cotta lentamente nelle stufe di una volta, presenti in ogni cucina e la cottura lenta colorava le mele e caramellava lo zucchero rendendo la torta di un bel colore scuro . ingredienti: per 8/10 persone – 1 kg di mele dolci – 1/2 bicchiere di vino bianco, 2 etti di cacao zuccherato – 25 g di cacao amaro – 2 etti di amaretti secchi sbriciolati – 2 uova intere – 1 pizzizo di sale – noca moscata grattuggiata – 1/2 limone grattuggiato Procedimento:Accendere il forno a 180° e cuocere le mele a pezzetti con il vino e passarle al setaccio, unire il cacao, gli amaretti, le uova, un pizzico di noce moscata e un pizzico di sale;amalgamare il composto e riempire una teglia ricoprendo con carta da forno.Infornare a 180° per due ore. Il classico metodo dello stuzzicadenti è sempre valido per verificare la cottura. Va servita fredda

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