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Il cibo secondo stagione

Mangiare cibo locale significa riscoprire in quale stagione matura un frutto, in quali mesi dell’anno cresce una verdura, o in quale periodo si usa fare un tipo di formaggio, a differenza di quanto accade acquistando cibo nei grandi supermercati dove, per soddisfare le esigenze di tutti i clienti, vengono importati cibi fuori stagione provenienti da lontano, o si acquistano cibi in serra, come la frutta e la verdura coltivati per tutto l’anno. La serra è un sistema agricolo molto complesso, ve ne sono di molti tipi in base a ciò che si deve coltivare, al mercato a cui la coltivazione è rivolta e alle condizioni climatiche che occorre ricreare all’interno della serra.Per la presenza di strutture che coprono le coltivazioni, la serra si dice anche coltura protetta con cui si intende la produzione che si esegue in ambiente protetto, influendo sul controllo dei fattori ambientali che condizionano la crescita della pianta. Le protezioni impiegate vanno dal semplice tunnel in plastica, posto sulla singola fila, ai più ampi tunnel in film plastico, fino alle serre in vetro con struttura in ferro o in alluminio.Le colture protette, in Italia, rivestono una notevole importanza economica sia per la loro estensione (oltre 27 mila ettari), sia per la produzione, destinata all’esportazione, di prodotti freschi a largo consumo.Le serre interessano prevalentemente la coltivazione di ortaggi (circa l’85%), in cui prevalgono pomodori, patate, peperoni e melanzane (appartenenti alla famiglia delle solanacee), cocomeri, meloni, cetrioli, zucche e zucchine (appartenente alla famiglia delle cucurbitacee).Il restante 15% della produzione in serra è destinato al mercato dei fiori e in misura minore delle piante arboree da frutto, settore quest’ultimo che presenta l’incremento maggiore in superficie. Quello che occorre in una serra riguarda il riscaldamento, la ventilazione, l’irrigazione, l’illuminazione e l’ombreggiamento, tutte pratiche che richiedono molta energia e acqua con conseguenti impatti sull’ambiente.La serra è, infatti, una coltivazione forzata che, per definizione, non rispetta i ritmi della terra e cerca di riprodurre costantemente condizioni climatiche simili alla stagione estiva.Se un tempo le serre venivano utilizzate per proteggere i prodotti invernali più delicati dalle gelate, oggi servono per produrre cibo che va al di là delle stagioni e per poter rispondere con costanza e rapidità alle richieste del mercato, della grande distribuzione e dei consumatori. QUALI STAGIONI? Ormai il consumatore acquista in base a ciò che trova sul banco, in base a ciò che propone la Grande Distribuzione Organizzata (GDO), ossia tutto e sempre.E’anche per questo che non conosciamo più con precisione quali alimenti in natura siano prodotti in una data stagione e riusciamo a dedurre che sono cibi fuori stagione solo leggendo la provenienza sull’etichetta della confezione.Forse si potrebbe ritornare ai calendari culinari, dove ad ogni mese erano associati cibi e ricette di quella stagione: i cavolfiori in inverno, le ciliegie in primavera, i pomodori e i peperoni in estate, gli agrumi dall’autunno all’inverno e così via.Da anni, ad esempio, i pomodori, nelle numerose varietà esistenti, entrano nelle nostre case per tutti e 12 i mesi, senza che nemmeno ci chiediamo come sia possibile. Stessa sorte per zucchine, cavolfiori e fagiolini. Le serre e l’importazione dall’altro emisfero ci hanno assuefatto ed abituato a non collegare più il clima a diversi tipi di cibo: non dovremmo forse sorprenderci se vediamo un peperone in vendita a dicembre? E ancora di più dovrebbe sorprenderci sapere che i produttori di ortaggi in serra buttano via i propri prodotti nel momento in cui maturano naturalmente quelli di campo: quindi, le serre in cui si coltivano cibi estivi hanno un picco di attività durante i mesi invernali per poi decrescere tanto più ci si avvicina al momento della maturazione naturale.Un produttore italiano di cavolo rapa, ad esempio, che vende il suo prodotto di serra in Germania come prodotto fuori stagione, da febbraio in poi non raccoglierà più i suoi cavoli rapa perché il costo della raccolta supererebbe il guadagno che può ottenere dalla vendita. Questo accade perchè da febbraio in poi il prodotto di serra dovrà avere un prezzo competitivo con i cavoli rapa prodotti nei campi.Lo stesso avviene per i pomodori di cui parlavamo prima: quelli coltivati in serra verranno raccolti e venduti da aprile a metà giugno, finché ci sarà margine di guadagno per il produttore, ma nel momento in cui matureranno i pomodori da campo e i prezzi caleranno il produttore lascerà marcire nelle serre tutti i pomodori: raccoglierli sarebbe solo un costo!Non coltivare tutto in serra e importare minori quantità da lontano sono pratiche che possono limitare i numerosi impatti ambientali, semplicemente perché si sceglie di seguire i ritmi della terra e del clima: mangiare cibo proveniente dall’altro emisfero, come frutta esotica e caffè, è un lusso che l’uomo soddisfa da secoli, ma trasportare per lunghe distanze lo stesso cibo che la propria terra produce localmente suona forse come una forzatura, così come consumare energia per riscaldare le serre che simulino la stagione estiva per mangiare a gennaio le primizie estive.Comprare cibo di stagione in certi casi agevola anche l’economia locale, rendendo la filiera agroalimentare più corta e portando profitto direttamente a chi produce nella zona in cui voi acquistate

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L’agricoltura biodinamica

Nata in Germania negli anni Venti sulla base degli insegnamenti del filosofo esoterista austriaco Rudolf Steiner, l’agricoltura biodinamica considera come un unico sistema il suolo e la vita che si sviluppa su di esso (la terra è un organismo vivente e le piante sono suoi organi che respirano e digeriscono). Il metodo biodinamico, che ha basi in parte filosofiche e in parte scientifiche, si fonda su due principi fondamentali:• il compostaggio: per migliorare la qualità del terreno e dei raccolti restituendo alla terra le “energie vitali”, si utilizzano preparati di origine vegetale e animale che intensificano i processi di formazione dell’humus nel terreno, favoriscono il miglioramento della qualità dei frutti, regolano e ottimizzano i processi di compostaggio dei materiali organici;• Il calendario: le operazioni colturali (preparazione del terreno, semina, coltivazione e raccolta) seguono i ritmi del cosmo, sono cioè legate alla posizione della luna e di altri pianeti al momento dell’operazione. Naturalmente è vietato l’utilizzo di erbicidi e pesticidi, sostituito dalla stimolazione della vita microbica e dall’uso di pratiche colturali tradizionali (quali rotazioni, coltivazione di leguminose per arricchire il terreno di composti azotati, aerazione del suolo, utilizzo di piante adatte al territorio, ecc.). I punti critici dell’agricoltura biodinamicaSecondo i sostenitori della teoria biodinamica più di sessanta anni di esperimenti hanno dimostrato che, unitamente ad altre tecniche agricole, è possibile massimizzare la qualità dei prodotti e nello stesso tempo ottenere rese molto vicine o a volte superiori a quelle convenzionali.Alcuni oppositori contestano, invece, che non ci sia nulla di scientifico nei suoi insegnamenti e che si possono ottenere risultati analoghi applicando i principi della agricoltura biologica.

Ricette, Tradizioni

Crafus

Per i CRAFUS si utilizza il fegato del maiale macinato e avvolto nel mesentere. Il prodotto si presenta sotto forma di una piccola polpetta. Da qualche anno la riscoperta e la divulgazione di questo povero piatto della tradizione, proveniente da Buja e Artegna, avviene grazie all’Ecomuseo delle Acque del Gemonese in collaborazione con le Lady Chef dell’Unione Cuochi FVG nell’ambito del Progetto “Pan di Sorc” Ingredienti per 6 persone 500 gr di fegato di maiale, 80 gr di rete di maiale, mezzo cucchiaio di burro, 120 gr di “ Pan di Sorc “ ( pane di frumento, segale e mais cinquantino) raffermo, 10 gr di uva sultanina, buccia gialla di limone e arancia, 1 mela renetta, 2 piccole cipolle bianche, mezzo bicchiere di vino bianco secco, 1 pizzico di cannella e una grattata di noce moscata, pepe, sale 8 cucchiai di polenta gialla morbida Preparazione: Macinare il fegato attraverso il disco medio e mettere in una bacinella, grattugiare il pane e aggiungere metà nel fegato, macinare l’uvetta ammollata e strizzata, la scorza grattugiata di limone e arancia, la mela e la cipolla, unire le spezie il sale, e quindi mescolare molto bene e lasciare riposare in frigorifero per almeno 1 ora. Lavare con acqua e aceto la rete del maiale, asciugarla e allargare su un tavolo da lavoro, tagliare a quadri e dividere la preparazione in tante polpettine ( 2 a persona ), passarle nel resto del pane grattugiato, appoggiarle sulla rete e avvolgerle. Metterle in frigorifero per qualche ora, poi farle rosolare da ambo i lati bagnare con il vino bianco e far evaporare. Coprire per pochi minuti.Mettere 2 cucchiaiate di polenta sui piatti e appoggiare 2 crafus, irrorare con il sughetto formato e servire ben caldo Germano Pontoni Maestro di Cucina

I Tipici

Stigghiola PAT

Si tratta di un tipico cibo siciliano di cucina povera, che viene generalmente preparato per strada, alla brace, dallo stigghiularu. Viene proposto da venditori ambulanti che si possono trovare negli angoli delle strade, in quartieri tipici. La cottura è preferibile eseguirla alla carbonella. Gli ingredienti sono budello di capretto o agnello; Prezzemolo; Limone; Lardo; Sale. Il procedimento: Pulire le budella all’interno e all’esterno facendo attenzione che non si rompano poi sfregare con spicchi di limone. Avvolgerle a spirale intorno a delle fettine di lardo con due rametti di prezzemolo. Adagiare sulla graticola e cuocerli, dopo averli spruzzati di sale INGREDIENTI2 o 3 stigghiole (budella) di agnello Qualche pezzettino di grasso di maiale una grossa cipolla sale e pepe q.b. 2 3 stecche per involtini PREPARAZIONE Attorcigliare alla stecca per involtino la stigghiola inserendo fettine di cipolle e i pezzettini di grasso salare e pepare e cucinare esclusivamente alla brace per far perdere parte del grasso Vanno tolte dal fuoco un pochino abbrustolite.

Ricette, Tradizioni

Curruxionis de casu

Uno dei piatti tradizionali più importanti, espressione di una cultura antica e di un territorio aspro ed affascinante. Rappresenta la cucina dei contadini e dei pastori, e benché sia considerato di natura “povera”, è estremamente ricco per fragranza, genuinità e sapore. Il piatto proposto è tipico del nostro paese,Gonnesa,paese di 5600 abitanti in provincia di Carbonia-Iglesias, ricco di storia millenaria, ne sono testimoni i vari nuraghi sparsi sul territorio, il più maestoso riaperto da un anno al pubblico”NURAGHE SERUCI,e le varie DOMUS DE JANAS. Il lungo litorale (4 km di spiagge) a circa 3 km dal paese.Paese a vocazione, in passato,agricola-pastorale. Il piatto proposto era preparato in occasione delle feste, sia Natale che Pasqua. La nostra Associazione ossia la proloco, ha da anni dedicato al piatto una sagra che si svolge durante l’estate Gonnesina. Si preparano per l’occasione circa 7500 ravioli ,tutti rigorosamente fatti uno per uno,dalle socie e in primis dal vicepresidente che li cucinerà il giorno della sagra,che ogni anno cade nel mese di agosto.Ingredienti:farina kg 1,200,bietole un mazzo abbondante lessate, ricotta di pecora kg 1,zafferano locale gr 2,uova 3 per la pasta,2 per il ripieno, sale qb,saporita i bustina ,noce moscata una bella grattata. per la sfoglia: impastare la farina con le uova intere e il sale,lasciare riposare per circa 10/20 minuti il tempo di preparare il ripieno. ripieno : mettere la ricotta in una terrina, strizzate le bietole lessate dell’acqua di cottura,sminuzzate, aggiungete alla ricotta,aggiungere le uova intere,lo zafferano ,la saporita e la noce moscata il sale qb e impastate fino ad ottenere il ripieno,assaggiate per poi aggiustare di sale e/o aggiungere a vostro gradimento le spezie. Descrizione:preparate la sfoglia,nella macchina per la pasta al n3,mettere un pò di ripieno e fare il classico raviolo. Preparare il sugo di pomodori maturi con l’aggiunta di tanto basilico,condire i ravioli e spolverare di pecorino. sardo ProLoco di Gonnesa

I Tipici

Padduni PAT

Le origini di questo formaggio risalgono al XI secolo a.C., Omero parla di una bevanda a base di formaggio caprino grattato. Anche Aristotele, nel IV secolo a.C. si sofferma sulle tradizioni casearie siciliane esaltando il gusto del latte caprino mescolato al latte vaccino o di pecora. Nel periodo Romano,II secolo a.C., Varrone pone l’accento sulle qualità nutrienti del latte di capra e dei formaggi caprini.7 È un formaggio a pasta cruda, ottenuto solo da latte di capra. Ha forma a palla (“padduni” si traduce in “pallone”), dal peso di 300 gr., e va consumato fresco o stagionato. Si distingue dal formaggio di capra per la forma, il peso, la salagione e, soprattutto, per la stagionatura. Il latte di capra viene fatto cagliare in una tina di legno a 37°C con caglio in pasta d’agnello (e/o capretto) in circa 45 minuti. L’impasto viene strizzato a mano nella “cisca”, un recipiente di legno. Il formaggio viene poi scottato a caldo, modellato nella tipica forma sferica e poi salato a secco. La stagionatura dura fino a 3 mesi.

Ricette, Tradizioni

Bruscitt

Bruscitt ovvero bruscolini, poichè la carne viene sminuzzata dul tagliere con il trinciante in modo da ottenere pezzetti della grandezza di un fagiolo. E’ un piatto tipico di Busto Arsizio menzionato nella Guida Gastronomica d’Italia nel 1931 La preparazione tradizionale prevedeva l’uso dello stuin di terracotta, con il coperchio ermeticamente sigillato da un foglio di carta da macellaio e bloccato da due pesi sovrapposti, per trattenere i liquidi e non fare asciugare la carne più del dovuto. La cottura a calore moderatissimo (ideale quello della brace del camino) si prolunga anche per tre ore e più. Per assicurare tenerezza ai bruscitt è necessario che i pezzettini di carne siano sempre intrisi di condimento ed è perciò consigliabile aggiungere al burro e alle striscioline di pancetta anche dei pezzettini di lardo. Ingtrdienti:g. 200 di carne di manzog. 20 di cipollag. 10 di caroteg. 10 di sedanoburro di centralealloro fresco, aglio un spicchio,vino corposo 50 mlbrodo di carne qb,Farina di polenta,Sale Descrizione:Tagliare a coltello fine la carne , tagliare fine le verdure e saltare la carne , unire i profumi freschi , aglio e sfumare con il vino , cuocere adagio se si dovesse asciugare troppo la carne unire del brodo . Tempo medio di cottura 40 min .Bollire l’acqua , salare e sfarinare la polenta , girare x circa 40 min aggiustare a piacere di sale e servire

I Tipici

Salam d’la duja PAT

Salame di puro suino tipico delle zone del vercellese e del novarese, conservato sotto grasso in recipienti di coccio detti appunto “duje”. Questa tipo di conservazione veniva utilizzata in passato soprattutto nelle zone molto umide del Piemonte, dove non era possibile far stagionare i salami all’aria con il metodo tradizionale. Le carni suine di prima scelta (culatello, spalla, coscia e coppa) sono macinate a grana media insieme a grasso di pancetta e condite con sale, pepe, aglio e vino rosso. Insaccato in budello di manzo, il salame viene poi fatto maturare nel coccio, immerso nello strutto fuso che gli consente di restare morbido a lungo e gli conferisce un caratteristico sapore piccante. Segue una stagionatura della durata di circa un anno.

I Tipici

Robiola di Roccaverano DOP

Le origini storiche sono riferite al periodo celtico-ligure, in seguito raccontato da Plinio e Pantaleone, che ne apprezzarono le qualità e ne illustrarono il ciclo produttivo. Secondo alcuni questo formaggio avrebbe origini nelle Langhe, dove i Liguri producevano la Robiola, dal caratteristico colore rossiccio della crosta, con stagionatura molto prolungata. Altri ne ritengono la nascita nelle Vallate Prealpine Lombarde, con il diffondersi nelle zone di pianura del Piemonte ed il nome avrebbe origini da Robbio in Lomellina, provincia di Pavia. Formaggio senza stagionatura né maturazione, assolutamente fresco, di forma cilindrica, piuttosto grasso, prodotto con latte vaccino, di capra e pecora, provenienti da due mungiture al giorno. Pasta granulosa, colore bianco latte, aroma delicato, sapore acidulo. Nella Robiola di Roccaverano gli aromi ed i sapori si presentano decisi fino al piccante in funzione della stagionatura. L’assegnazione della Denominazione d’Origine Protetta è avvenuta il 14 marzo 1979 con DPR che identifica le caratteristiche nel seguente modo:” Formaggio grasso a pasta fresca non sottoposto ad alcuna maturazione o stagionatura prodotto con latte di vacca in misura massima del 85% e di capra e pecora in rapporto variabile o in purezza, in misura minima del 15%, proveniente da due mungiture giornaliere, parzialmente decretato per affioramento. L’alimentazione base delle vacche, capre e pecore deve essere costituita da foraggi verdi o conservati. Si produce durante l’intero anno”. Viene prodotta in numerosi comuni della provincia di Asti e Alessandria.

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