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Ricette, Tradizioni

Lepre in dolce forte

In Toscana il gusto “dolce e forte” è un’aristocratica eredità rinascimentale, sopravvissuta in molte ricette della cucina toscana e anche laziale dove, con qualche variante negli ingredienti, si cucinano così la lingua e l’arrosto di vitello, il coniglio, il cinghiale, il pollo.  Ingredienti: 1 lepre frollata e tagliata a pezzi, 100 gr di pinoli, 50 gr di scorzette candite di arancia e di cedro, 50 gr di uvette, 50 gr di cioccolato fondente amaro grattugiato, 2 spicchi di aglio, trito di odori (cipolle, carote e sedano), basilico, prezzemolo, 1 foglia di lauro e di salvia, rosmarino, ginepro, ½ litro di brodo, ½ litro di vino bianco secco, 100 g di olio evo, sale, pepe, 2 cucchiai di farina, 2 cucchiaini di zucchero, 1/2 bicchiere di aceto, brodo.  Preparazione: Tenete la carne per tutta la notte in una marinata con l’aceto, il vino ed un pugno di bacche di ginepro. Il mattino seguente scaldate in un tegame olio, rosmarino, aglio, trito di odori e pancetta tritata e rosolatevi lo spezzatino. Quando ha preso colore, salate e pepate, cospargete di farina e mescolate. Dopo una decina di minuti versate vino e brodo, unite le foglie d’alloro e salvia e lasciate andare a fuoco basso per circa 2 ore. A mezz’ora dalla fine aggiungete i pinoli, i canditi e l’uvetta sultanina, precedentemente ammorbidita in poca acqua e poi strizzata. A parte mescolate il cioccolato con il resto della farina, aceto, zucchero e un pizzico di sale, stemperando il tutto con un po’ d’acqua. Versate nel tegame, se necessario con altra acqua o meglio brodo, e portate a leggero bollore. C’è chi insaporisce il tutto anche con pizzico abbondante di cannella, garofano e noce moscata e chi sostiene che il piatto sia migliore se preparato il giorno prima e fatto ribollire al momento di portarlo in tavola. 

I Tipici

Pane nobile di Guardiagrele PAT

È un pane nobile la cui ricetta affonda le radici nel Medioevo. Le zone interessate alla sua produzione sono quelle pedemontane di Bocca di Valle e di Guardiagrele. Il pane viene prodotto sia a forma di filone che di pagnotta, con pesi di 500 g o di 1 kg. Per l’impasto si utilizza una complessa miscela di farine tipo ‘00’, integrale, di mais, avena, orzo, miglio e segale, con semi di sesamo, olio extravergine di oliva, formaggio, acqua, sale, lievito madre e una piccola quantità di lievito di birra. La combinazione di questi ingredienti conferisce a questo antico e nobile pane un caratteristico profumo speziato. La lavorazione ha avvio la sera tardi miscelando e impastando a mano le varie farine, il lievito, acqua, sale, formaggio e olio. Si lascia lievitare fino al mattino successivo, poi si procede a lavorare la massa e a dare la forma. Il pane lievita ancora per circa trenta minuti e si inforna a 200°C per circa un’ora e venti minuti. La crosta esternamente è di colore nocciola ambrato con lievi incisioni in superficie, al taglio non manifesta sbriciolature, la mollica è morbida e spugnosa con occhiatura regolare. Si conserva in sacchetti di carta o stoffa per circa quattro giorni, durante i quali il pane mantiene inalterati gusto e morbidezza. La tradizione orale tramandata dagli anziani e l’impiego di alcune farine che rientrano nella miscela, ne attestano le antiche origini. La sua caratteristica risiedeva allora come oggi nel suo essere particolarmente sostanzioso e di lunga conservazione. Per questo motivo era molto apprezzato e consumato dalle popolazioni delle zone pedemontane, dedite all’attività di carbonai, costrette al duro lavoro nei boschi e alle lunghe assenze dai centri abitati. fonte ARSSA

Vini

Boca DOC

Qui, nel novarese, la vite è coltura antichissima, che risale a prima della colonizzazione romana. Già nel 1300 il cronista novarese Pietro Azario lo definì ‘rinomato sin dall’antichità’, mentre si hanno numerose testimonianze, nella storia del novarese, che citano forniture di vino Boca alle armate spagnole che dal Piemonte andavano a occupare la Lombardia. Piacque molto anche a Papa Pio X quando, ancora Patriarca di Venezia, ne assaggiò una bottiglia preso l’omonimo Santuario. La DOC deve le sue peculiarità ai terreni morenici che originano dal monte Rosa e la cui conformazione ha costretto, fin dai primi impianti, all’uso di gradoni orizzontali e di muri a secco.  Qui, nonostante le correnti da nord producano potenti escursioni termiche, il riparo naturale del monte Fenera produce inverni miti, primavere temperate, estati e autunni caldi e soleggiati. Descrizione: Colore  rosso rubino con riflessi granato (Boca) o aranciato (Riserva). Odore  caratteristico, fine ed etereo (Boca) e ampio (Riserva). Sapore  asciutto, sapido, armonico, giustamente tannico (Boca) o piacevolmente tannico (Riserva). Vitigni: Nebbiolo (Spanna) 70-90%, Vespolina e Uva rara (Bonarda novarese) 10-30%.       Abbinamenti: da tutto pasto e con salumi, paniscia, ossobuco, bollito misto alla piemontese, carni bianche e rosse alla griglia o in umido, cacciagione, selvaggina, formaggi stagionati o piccanti, gorgonzola, toma, grana padano, raschera, bra Disciplinare: approvato DOC con Dpr 18.07.69  (G.U. 226 -05.09.69)

..degli alimenti, Storie

Il rosmarino

Originario dell’Europa, Asia e Africa, è ora spontaneo nell’area mediterranea nelle zone litoranee, macchia mediterranea, dirupi sassosi e assolati dell’entroterra, dal livello del mare fino alla zona collinare, ma si è acclimatato anche nella zona dei laghi prealpini e nella pianura padana nei luoghi sassosi e collinari. È noto in Italia anche col nome volgare di ramerino o ramerrino; il nome del genere deriva dalle parole latine ros (rugiada) e maris (del mare). I Romani fecero del rosmarino il simbolo dell’amore e della morte, Orazio infatti diceva: ” Se vuoi guadagnarti la stima dei morti, porta loro corone di rosmarino e di mirto”. Tuttavia non risulta che fosse utilizzato per condire i cibi. Si usava per aromatizzare il vino, che veniva appunto detto ‘vino al rosmarino’ e come è avvenuto per molte erbe è entrato nella cucina attraverso la via della medicina. Nel Trecento comunque già lo troviamo in uso e, come aroma, sembra essere molto utilizzato. l rosmarino fiorisce da Marzo ad Ottobre, è largamente diffuso ma cresce spontaneamente lungo le coste del Mediterraneo preferendo posti ben soleggiati e con terreno sabbioso. E’ un arbusto sempreverde, molto ramificato appartenete alla famiglia delle Labiate. Il fusto è legnoso; le foglie piccole, sottile e opposte, a forma di lancia con la parte inferiore color verde-grigio e quella superiore quasi argentea. I fiori sono raccolti in spighette terminali, racchiusi in corolle di colore azzurro o biancastro. Il frutto è una piccola capsula. In cucina è un’erba molto utilizzata per aromatizzare varie piatti e pietanze: arrosti, intingoli, piatti a base di patate, torte rustiche. Si usa nei patè di fegato, con l’agnello, il manzo, il coniglio, l’anatra e l’oca. Ottimo anche spolverato su pane e focacce. Comune nella cucina italiana ma di raro riscontro oltre confine. Pianta molto usata in cucina ha anche notevoli proprieta’ medicinali e afrodisiache. L’infuso e’ indicato in casi di vertigini, asma e inappetenza, mentre le foglie, oltre ad aromatizzarli, rendono i cibi piu’ digeribili. Focaccia al rosmarino 400 gr di farina, 15 gr lievito di Birra, 25 cl latte, 2 cucchiai Olio d’oliva, 1 cucchiaino zucchero, 2 rametti rosmarino, 2 cucchiaini sale fino, alcuni grani di sale grosso Sciogliete il lievito nel latte tiepido e con questo impastate la farina, olio, zucchero, sale e rosmarino tritato grossolanamente. Deve risultare una pasta morbida e liscia. Ungete una teglia e adagiatevi la pasta stesa a disco con il matterello. Con le dita pigiate qua e là la superficie e nell’incavo mettete due o tre grani di sale grosso. Spennellatela con l’olio e poi lasciatela riposare per un’oretta.Cuocete la focaccia in forno preriscaldato a 220 gradi per mezz’ora. Tagliatela a rettangoli e servitela tiepida.

Il cibo nel tempo, nel Rinascimento

Torta alla panna (La Varenne)

Le Cuisinier François di François Pierre detto La Varenne, pubblicato a Parigi nel 1651, è universalmente riconosciuto come il testo che ha dato il via alla gastronomia moderna. Il testo rivoluzionario  per l’epoca della sua stesura  si proponeva d’insegnare “la maniera di preparare e condire ben bene ogni tipo di carni grasse e magre, verdure, pasticceria e altre pietanze, che si servono (imperfetto) sulla tavola dei grandi e dei singoli individui”.Il libro aprì la strada ad un nuovo modo di intendere la cucina L’insegnamento di La Varenne rappresento’ una  svolta, infatti, oltre ad una maggior attenzione per gli ingredienti e i metodi di preparazione, offrì va una visione del tutto inedita della gastronomia, diventata arte “del ben mangiare”. Torta alla panna per 4 persone 300 gr di zucchero, 5 uova, 5 cucchiai di acqua, 250 farina, 1 pizzico di sale, 7 gr di lievito in polvere Per il ripieno: 5 dl di panna, 4 tuorli, 50 gr di marzapane, 20 gr di zucchero al velo e 20 gr cacao in polvere Sbattere i tuorli con lo zucchero e l’acqua fino a ottener un composto spumoso. Mescolare la farina con il sale e il lievito; aggiungere la crema di tuorli, e infine incorporare delicatamente gli albumi montati a neve. Versare il composto in una teglia imburrata e infarinata, e cuocere in forno a 160 gradi per 50 minuti circa. Far bollire la panna per 5 minuti, sbattere i tuorli e sbriciolare il marzapane. Prendere 4 cucchiai di panna, farli raffreddare e mescolarli ai tuorli sbattuti e al marzapane . versarli nella panna bollente e mantenere la bollitura per altri 10 minuti senza smettere di mescolare. Lasciar raffreddare e mettere in frigorifero. Quando si sara’ raffreddata, tagliare la torta, farcirla con la panna e cuocerla nel forno per altri 10 minuti. Prima di servire, cospargere con zucchero a velo e cacao in polvere

Il cibo nel tempo, nell'Antica Roma

Arrosto al sale e miele

Marco Gavio Apicio è stato un gastronomo dell’antica Roma, vissuto fra il I secolo ed il II secolo d.C.ai tempi di TiberioDescritto come amante dello sfarzo e del lusso, egli costituisce ad oggi la principale fonte sulla cucina romana. È una ricetta in cui emerge chiaramente il gusto antico di mescolare dolce e salato Una ricetta a prima vista da “prendere con le molle” ma il risultato è un arrosto sorprendentemente gustoso. Assaturam: assam a furno simplicem salis plurimi conspersam cum melle inferes Arrostire la carne in una pentola cilindrica aggiungendovi molto sale. Servi con miele Ingredienti: per 4 persone: 800 gr di arrosto di maiale, 250 gr di sale, 4 c di acqua, 2 c di miele Mescolare il sale con l’acqua e immergervi completamente l’arrosto che dovrà cuocere 2 ore a 200° in una pentola di creta bagnata con acqua. Togliere la crosta di sale, bagnare con miele fuso e. a pentola coperta, lascia riposare 10 minuti. tagliare e servire

Ricette, Tradizioni

Vermicelli cà muddica

Chiamata anche maccarruni ca muddica bruciata, la pasta con la mollica e le acciughe è un piatto molto popolare, con alcune varianti, in Calabria, in Puglia e in Sicilia. C’è chi per esempio aggiunge al soffritto dei pomodori spellati e tagliati a pezzetti, lasciando cuocere la salsa per una quarto d’ora circa. Spesso, in passato, al posto dei vermicelli si utilizzava la «struncatura», dal colore scuro, cioè gli scarti di lavorazione dei pastifici destinati all’alimentazione degli animali o di contrabbando, ai contadini più poveri per il proprio uso alimentare. Descrizione: Ingredienti (per 4 persone): 400 gr di spaghetti (o, a piacere, pasta integrale), 10 acciughe sottolio, 1 dl di olio evo, pangrattato, aglio, prezzemolo tritato, peperoncino rosso, sale Preparazione: Fate soffriggere per qualche minuto in una padella 4 o 5 spicchi di aglio tagliati a metà e quando diventa trasparente aggiungete il peperoncino rosso calabrese macinato o meglio, pestato in un mortaio di rame. Mescolate per qualche secondo, togliete dal fuoco e unite le acciughe (spinate e tagliate a pezzi) e il prezzemolo. A parte, in una scodellina, fate abbrustolire due manciate di pangrattato e tenetelo da parte. Lessate gli spaghetti come di consueto in abbondante acqua salata, scolateli al dente e conditeli con la salsa di acciughe. Servite subito e su ogni piatto spolverate il pangrattato abbrustolito.   

Ricette

Tiella di riso, patate e cozze

Affonda le sue radici nella dominazione spagnola del ‘600 questo piatto un po’ insolito in una terra in cui è la pasta di farina di grano ad avere un ruolo predominante. La tiella è un tegame tipico, impiegato sia per la cottura che per la presentazione in tavola, che la tradizione vuole sia di terracotta, alto e di forma circolare. La ricetta è originaria della città di Bari ma viene preparata in tutta la Puglia, secondo la versione propria che ogni famiglia si tramanda da generazioni. C’è chi ci aggiunge i pomodori, il pecorino grattugiato o il pangrattato. Ideale sarebbe la cottura nel forno a legna. Ingredienti (per 4 persone):  1 kg di cozze, 500 gr di patate, 300 gr di riso Vialone Nano o Carnaroli, 1 spicchio di aglio, cipolla, prezzemolo, olio evo, pepe. Preparazione:  Lavate e spazzolate bene le cozze in abbondante acqua, ponetele in un tegame insieme all’aglio tritato e lasciatele aprire sul fuoco. Eliminate i gusci filtrando il loro liquido. Lavate, sbucciate e affettate le patate; con una metà ricoprite il fondo di una teglia, già unto di olio, e conditele con pepe, prezzemolo e cipolla tritate. Versate il riso, unite i molluschi e le patate rimaste assieme al trito di cipolla e prezzemolo restante. Pepate, aggiungete un po’ d’olio e ricoprite il tutto con acqua (o meglio, brodo bollente di pesce) mescolata a quella di cottura delle cozze. Ponete la teglia in forno già caldo e fate cuocere, a fuoco medio, per circa 45 minuti

I Tipici

Le Corde de Chiochie PAT

È una variante della pasta alla chitarra a sezione più grande,e ricorda nella forma i lunghi “crioli” di cuoio che servivano un tempo a legare intorno alla caviglia le particolari calzature dei pastori dette appunto “chiochie” E’ realizzata con acqua, farina di grano duro e chiare di uovo ed è diffusa nell’area montana e pedemontana della provincia di Chieti. La sfoglia non deve essere molto sottile e va ripiegata a mo’ di sciarpa arrotolata, quindi tagliata con il coltello, così da ottenere una sezione più spessa. Il condimento ideale per le corde delle chiochie è il sugo d’agnello o quello alle tre carni (manzo o vitellone, agnello o castrato, e maiale), olio extravergine d’oliva, cipolla, coste di sedano, carota, spicchi d’aglio, e un bicchiere di Montepulciano d’Abruzzo DOC da sfumare con la carne. Eventualmente, per la rosolatura e la cottura della carne si può unire un mazzetto di spezie (rosmarino, alloro, salvia) da togliere prima di aggiungere i pomidoro pelati. La cottura varia a seconda del gusto e delle abitudini, generalmente da un minimo di un’ora fino a oltre due ore, fino a quando il sugo raggiunge una giusta densità. Il piatto va servito con una spolverata di pecorino grattugiato. Le corde delle chiochie possono essere servite in una terrina di coccio o in piatto fondo; si consiglia di accompagnarle con vino rosso fermentato giovane o Cerasuolo d’Abruzzo DOC Nella valle del Sagittario, in provincia dell’Aquila, questa pasta è conosciuta come “stringhitelle” (da stringhe, lacci).

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