Nome dell'autore: wp_1867563

I Tipici

Ciliegia di Vignola IGP

La coltivazione della ciliegia nel territorio di Vignola ha origini antiche e molto radicate. L’eccezionalità delle condizioni pedo-climatiche della zona, infatti, ha fatto sì che la pianta trovasse qui il suo ambiente ideale, diventando col tempo e grazie all’impegno degli agricoltori la più importante realtà agricola. Numerosi documenti storici confermano che la pianta è presente, in consociazione alla vite, già a metà dell’Ottocento e negli anni a seguire la produzione e la commercializzazione hanno avuto un andamento crescente. Le due colture nel tempo si alternano, con prevalenza ora dell’una ora dell’altra a seconda della zona, poi emerge decisamente il ciliegio, più longevo e adatto alle peculiarità pedoclimatiche della zona A differenza di altre tipologie di ciliegia, la Igp di Vignola presenta dimensioni molto maggiori e questa caratteristica la rende particolarmente apprezzata e ricercata. Per la croccantezza della polpa e il sapore dolce risulta essere il frutto ideale con cui chiudere il pasto. Risulta ottimo ingrediente per svariate ricette, dolci e salate: la “ciliegiata”, cotta nel vino e nello zucchero; le marmellate; il classico dolce clafoutis; salse per condire la cacciagione; liquori, come il kirsch o lo cherry. Perfetta anche per la preparazione della frutta candita o sotto spirito

I Tipici, Ricette

Erbazzone (Scarpazzòun) PAT

La tradizione della buona cucina reggiana, semplice e naturale, trova riscontro nei numerosi ristoranti e trattorie dove è possibile gustare ottimi cibi tramandati da una generazione all’altra. I prodotti base provengono della terra e dagli animali, per questo si parla di “cucina povera”. Si tratta di sapori forti nati dall’esigenza di supplire alla mancanza di ingredienti costosi e raffinati. Per uno spuntino rapido, la specialità tutta reggiana è l’erbazzone. E’ un impasto cotto al forno di spinaci o bietole, cipollotti, lardo e parmigiano reggiano, inserito in due strati di pasta sottile e morbida. L’erbazzone reggiano è preparato con ingredienti semplici, un tempo a disposizione di ogni contadino, ed è basato sulla lavorazione della pasta che contiene al suo interno un ripieno di erbe. Sembra che la diffusione di questo cibo risalga al periodo Medievale. INGREDIENTI per il ripieno: 1,5 Kg di spinaci o bietole, 1 mazzo di cipollotti con gambo fresco e verde, una manciata di prezzemolo, 60 g di lardo di prosciutto o pancetta, 4 cucchiai di olio, 50 g di burro, 2 spicchi di aglio, 4 o 5 manciate di grana pizzichino, sale e pepe q. b. Per la pasta: 200 g di farina, 1 noce di strutto, 2 cucchiai di olio, sala e pepe q. b. acqua tiepida q. b. Per la pasta con ricotta: 220 g di farina, 50 g di ricotta, 1 noce di strutto, 2 cucchiai di olio, acqua tiepida q. b. sale pepe q. b. Sciogliete sul fuoco il grasso di prosciutto aggiungendo l’aglio schiacciato e i cipollotti che avrete, anch’essi, tritati insieme ai gambi. Aggiungete olio e burro e, dopo che i cipollotti si saranno appassiti senza bruciacchiarsi, unite gli spinaci che avrete in precedenza lessati e strizzati. Lasciate insaporire con sale e pepe. Quando il tutto si sarà reffreddato, togliete l’aglio, aggiungete il prezzemolo tritato finemente e il grana. Preparate la pasta e, fatta riposare per mezz’ora, dividetela in due due parti. Tirate una parte con la cannella, adagiatela nello stampo inoliato e versate il pesto. Tirate l’altra parte più sottile della prima, infarinatela e avvolgetela nella cannnella pure infarinata: stringete le due estremità della pasta verso il centro del mattarello e lasciate scivolare la pasta increspata sul pesto. Dopo averla accuratamente bucherellata, mettete il tutto nel forno a 200°.Lasciate per circa mezz’ora; a pochi attimi dalla completa cottura ungete la superfice con un pezzo di lardo.Rimettete nel forno e togliete dopo pochi minuti. L’erbazzone è pronto! fonte: turismo .comune.re

Ricette, Tradizioni

Scrucchiata d’Abruzzo

Si tratta di una confettura extra d’uva, che si presenta sufficientemente omogenea, di media consistenza, di colore violaceo scuro, abbastanza dolce e dal sapore tipico, con leggero retrogusto amarognolo, a volte lievemente acidulo. È ottenuta tradizionalmente da uve di vitigni autoctoni a bacca rossa, principalmente della varietà Montepulciano, vendemmiate quando hanno superato lo stato di maturazione ottimale. È certo che la preparazione della marmellata d’uva ha una lunga tradizione casalinga, trasmessa oralmente da generazioni, ed è per questo difficile reperire informazioni più precise. Il nome probabilmente deriva da una fase della lavorazione che prevede lo schiacciamento degli acini ad uno ad uno tra il pollice e l’indice allo scopo di eliminare i vinaccioli. che in alcuni mercati paesani è ancora reperibile, e dalle testimonianze raccolte in varie località quali Lettomanoppello (Pe), Vittorito (Aq), Miglianico (Ch), Roseto degli Abruzzi (Te). Probabilmente e’ proprio questa operazione “scrocchiatura” o “sclucchiatura” che da il nome dialettale al prodotto “scrucchiata” o “sclucchiata”.  Da gustare assoluta o come base per la preparazione dei mille dolci della tradizione abruzzese.  Inoltre la marmellata d’uva è tradizionalmente impiegata come ripieno in alcuni dolci tipici regionali quali i “calcionetti” e le “neole” di Natale. 2 kg uva Montepulciano d’Abruzzo -400gr zucchero Staccare gli acini interi, lavarli e depositarli in un paiolo idoneo per le preparazioni alimentari che verrà posto a riscaldare sul fuoco. Man mano che il riscaldamento del prodotto prosegue si inizia a rimescolare mediante l’utilizzo di un mestolo di legno; questa operazione provoca le prime rotture degli acini con fuoriuscita del mosto. Una volta raggiunta la fase dell’ebollizione, si opera a fuoco lento continuando a mescolare per evitare incrostamenti. Dopo circa due ore si spegne il fuoco e si lascia raffreddare (la vecchiatradizione prevede, anche per piccole quantità, che l’intero processo venga svolto in due giornate: la prima di cottura e la seconda di lavorazione della marmellata). Quando il prodotto è freddo si effettua la passatura con un setaccio particolare detto “pellicciola” (costituito da una serie di cerchi concentrici di rame e di acciaio, sostenuta da raggi e da un supporto di legno) Ottenuto un composto liquido leggermente grumoso, rimetterlo sul fuoco bassissimo e continuare la cottura per almeno un’altra ora o fino al punto che la consistenza della marmellata non è quella desiderata

I Tipici

Marrone di San Zeno DOP

Per gli agricoltori della zona la castanicoltura ha rappresentato per lunghi secoli una risorsa economica importante. I primi riferimenti storici sulla coltivazione del castagno risalgono, infatti, al Medioevo. Testimonianze scritte sulla coltivazione del Marrone di San Zeno si ritrovano nel XIII, XIV, XV II e XIX secolo. In questi testi vengono individuate le zone caratteristiche di produzione e descritto il prosperoso sviluppo dei castagni e i metodi di raccolta e commercializzazione dei marroni sui mercati settimanali, tradizione che ha ripreso vigore nel secondo dopoguerra.Nelle zone di montagna i marroni hanno rappresentato per secoli uno dei principali alimenti: oltre che consumati come frutti, con la farina si preparavano anche pane, pasta, dolci e polenta. I frutti freschi erano arrostiti nella particolare padella forata e, accompagnati al vino nuovo, diventavano emblema della festa di ringraziamento per l’annata agricola, dedicata a San Martino. Come in altre parti del Veneto anche in questi territori, la festa era legata alla prima questua annuale e al rito deimorti, in occasione del quale si confezionavano anche particolari biscotti con la farina di castagne.Testimonianze scritte della coltivazione del Marrone di San Zeno risalgono al XIII secolo e successivi; esse individuano le zone tipiche di produzione, anche attraverso gli estimi catastali, e descrivono il prosperoso sviluppo dei castagni, nonché i metodi di raccolta. La commercializzazione dei marroni avveniva già dalla fi ne del secolo XIX per via diretta, tramite negozianti, oppure sul mercato settimanale di Caprino Veronese, o su quello di Verona; questa tradizione ha ripreso vigore nel secondo dopoguerra. fonte Venetoagricoltura.it

I Tipici

Capocollo di Calabria DOP

Capocollo è il nome che nelle regioni del Centro e del Sud Italia viene dato alla coppa, derivando infatti dallo stesso taglio anche se le lavorazioni sono diverse: in Puglia per esempio si lava con una mistura di vino cotto e spezie e si sottopone ad una lieve affumicatura; in Umbria invece lo si aromatizza con pepe, aglio, coriandolo e semi di finocchio, mentre in Basilicata va cosparso con peperoncino tritato e, fino a poco tempo fa, lasciato stagionare nella tela grezza. Sono del ‘600 le prime documentazioni sulla lavorazione delle carni suine in Calabria, ma le loro origini risalgono al periodo della colonizzazione greca delle coste ioniche. La DOP regolamenta i “Salumi di Calabria: Soppressata, Capocollo, Salsiccia e Pancetta” prescrivendo per tutti l’uso delle razze tradizionali di taglia grande quali la Calabrese o la Large White e la Landrace, alimentati per almeno il 50% con orzo, favino, mais, ghiande e ceci. Il capocollo è preparato con le carni della parte superiore del lombo dei suini, disossato, salato a secco e stagionato per almeno di 100 giorni in locali a temperatura e umidità controllate. Di forma cilindrica, avvolto in pellicola naturale , viene legato a mano in forma avvolgente con spago naturale. Alla vista presenta un colore roseo o rosso più o meno intenso per la presenza di pepe nero o peperoncino rosso macinato. La fetta, al taglio, si presenta di colore roseo vivo con striature di grasso proprie del lombo suino. Il sapore è delicato che si affina con la maturazione; il profumo è caratteristico e di giusta intensità.

Vini

Cirò DOC

La fama del Cirò, che si dice comprenda il vino più antico d’Italia, risale alla fondazione di Kroton nell’VIII sec. a.C. Con il suo antenato, il Krimisa prodotto tra Sibari e Crotone, brindavano alle vittorie sportive gli olimpionici della Magna Grecia. La zona di produzione è circoscritta alle colline argillose dell’alto Marchesato, che digradano verso la costa ionica. Qui molte coltivazioni conservano la forma di allevamento ad alberello basso, tipica dell’antica viticoltura greca, di cui non sono stati abbandonati neppure gli antichi vitigni: il Gaglioppo (il “principe nero”), il Mantonico (a frutto bianco) e il Greco Bianco. Tipologie: Cirò Bianco, Cirò Rosato, Cirò Rosso, Cirò Rosso Classico, Cirò Rosso Classico Superiore, Cirò Rosso Classico Superiore Riserva, Cirò Superiore, Cirò Superiore Riserva.     Abbinamenti: antipasti di verdure, tonno, pesce spada e paste asciutte (Bianco); antipasti misti, frutti di mare, pesce e carni bianche (Rosato); arrosti, capretto, formaggi stagionati (Rosso), cacciagione e selvaggina (Riserva) Vitigni: Greco bianco 80-100%, Altri vitigni a bacca bianca 0-20% (Bianco); Gaglioppo 80-100%, Altri vitigni a bacca rossa 0-20% (Rosso e Rosato). Disciplinare: approvato DOC con Dpr 02.04.69 (G.U. 139 -04.06.69)

Ricette, Tradizioni

Ciceri e tria

Ciceri e tria sono un primo piatto tipico della tradizione salentina a base di ceci e pasta di semola digrano duro. Tra tutte le cucine regionali italiane, quella salentina è senz’altro la cucina mediterranea per antonomasia. Proprio per questo, affascina e sorprende con un universo di cose buone e salutari che si combinano magicamente in una miriade di ricette facilmente replicabili. Anche in fatto di pasta, gli ingredienti non sono altro che: farina di grano o orzo poco raffinati, acqua, sale. E via con orecchiette, “minchiareddi” (maccheroni), “sagne ‘ncannulate” (sorta di tagliatelle attorcigliate), cavatelli e “tria”.. appunto Ingredienti per 6 personePer la pasta 300 grammi di farina di grano duro,acquaPer il condimento:300 grammi di ceci, costa di sedano,1 spicchio d’aglio1 carota,1 pomodoro,poche foglie di prezzemolomezzo bicchiere d’olio extra-vergine d’oliva, sale,pepePreparazione:Per la pasta (detta appunto tria) mischiate acqua e farina fino ad ottenere un impasto compatto ed elastico. Stendete una sfoglia sottile e ritagliate delle strisce come piccole tagliatelle. Tenete a bagno i ceci dalla sera prima, e la mattina metteteli in una pentola con gli odori, coprendoli almeno di due dita d’acqua e avendo cura, durante la cottura, di controllare che il suo livello rimanga sempre costante, aggiungendone altra quando sia necessario, sempre molto calda. Fate cuocere a fiamma dolce per almeno tre ore, salate per ultimo. In un pentolino mettete l’olio e friggete, fino a dorarlo, un terzo della “tria”.Aggiungete nella pentola dei ceci la rimanente pasta e portate a cottura rimestando attentamente. Prima di servirla, aggiungete la tria già fritta insieme al suo olio e continuate la cottura per un minuto. Spegnete, versate un filo d’olio e macinate del pepe bianco. tratto da “Il Gusto del Tacco” di A.M. Chirone Arnò

I Tipici

Formaggio di fossa di Sogliano DOP

L’uso di infossare, per conservare i prodotti e proteggerli dalle razzie dei soldati, si diffuse a partire dal Medioevo nelle valli del Rubicone e del Marecchia, a cavallo della Romagna e delle Marche. Questa DOP deve le sue peculiarità proprio al tipo di stagionatura cui è sottoposta, oltre che alla materia prima che nei sotterranei va a rifermentare. Dopo una maturazione di almeno 30 giorni, le forme – dentro sacchi di tela su cui è stato scritto, con olio di lino e nerofumo, il nome del proprietario e il peso – stagionano nelle fosse scavate nel tufo, ad una temperatura di 20° e un’umidità del 90%. La sfossatura ha luogo dopo 3 mesi, il 24 novembre, giorno della festa di Santa Caterina. Descrizione:  Ricavato da latte intero, ha la forma di un cilindro irregolare, la cui crosta compatta non si distingue dalla pasta friabile, di colore bianco ambrato o leggermente paglierino. L’odore è caratteristico e persistente, con ricchi aromi che ricordano il sottobosco e sentori di muffa e di tartufo. Il sapore, delicato e dolce all’inizio, varia con il progredire della stagionatura a seconda della composizione: il pecorino ha gusto aromatico e sapore fragrante, intenso e gradevole, leggermente piccante; il vaccino è fine e delicato, moderatamente salato e leggermente acidulo, con una punta di amaro; il misto ha sapore gradevole ed equilibrato tra il saporito e l’amabile con sentori amarognoli. Ottimo da solo o accompagnato con miele e confetture di frutta, vini rossi pregiati, passiti e Marsala, viene spesso utilizzato nelle minestre romagnole (cappelletti, passatelli, ecc.) o spolverato sopra primi e secondi piatti. Disciplinare:  Reg. CE n. 1183 del 30.11.09 (GUCE L 317 del 03.12.09)

Vini

Rosso Conero DOCG

Risalgono ai coloni greci e agli Etruschi le prime tecniche di coltivazione della vite e di elaborazione enologica nel territorio marchigiano. Plinio il Vecchio riservò una parte della sua Naturalis Historia alle bevande del versante Adriatico, i monaci Benedettini raccontano di cure mediche fatte con il vino prodotto dalle uve del monte Conero e persino Giacomo Leopardi gli dedicò alcuni versi. In seguito la presenza di aziende agricole di lunga tradizione vitivinicola e le residenze storiche costruite con un piano terra destinato alla trasformazione delle uve hanno favorito la produzione di vini rossi di grande qualità. Il riferimento geografico è il promontorio del monte Conero che si erge sul mare Adriatico e le colline che ne discendono verso l’entroterra, caratterizzate da clima temperato e da terreni differenti, con le marne e le marne calcaree delle propaggini del monte, le argille e le argille marnose di Camerano e Osimo e le sabbie della zona di Offagna. Tutta l’area fa parte del Parco del Conero che contribuisce ad una produzione rispettosa dell’ambiente e della naturalità. Descrizione: Colore rosso rubino. Odore gradevole, vinoso. Sapore sapido, armonico, asciutto, ricco di corpo. Titolo alcol. minimo 11,5%. E’ consigliato berlo dopo 2 o 3 anni di invecchiamento, ma la sua struttura permette di arrivare a 6-7 anni per la Riserva. Abbinamenti:  quando è più giovane, fruttato e tendenzialmente tannico, con cibi grassi, aromatici, anche a tendenza dolce, come lo stoccafisso all’anconetana, i salumi marchigiani, il pecorino di fossa; quando è più maturo e morbido con primi piatti di pasta ripiena o condita con salse rosse, arrosti di carni rosse, cacciagione, brasati. Disciplinare: Approvato DOC con DPR 21.07.1967 (G.U.210 – 22.08.1967), poi il tipo Riserva approvato DOCG come Cònero con DM 01.09.2004 (G.U. 212 – 09.09.2004) (i testi sono tratti dal volume “50 Doc – 50 anni di denominazioni d’origine a tutela del vino italiano” in vendita presso CI.VIN. s.r.l., info@cittadelvino.com).

Torna in alto