Nome dell'autore: wp_1867563

Ricette, Tradizioni

Bucatini all’amatriciana

L’amatriciana è un condimento per la pasta che ha preso il nome da Amatrice, cittadina in provincia di Rieti. Quando è nata l’amatriciana, Amatrice faceva parte del Regno delle Due Sicilie, dipartimento dell’Abruzzo Ultra. Contrariamente a quanto si pensi, dunque, non ha alcun legame storico con la città di Roma, all’epoca capitale dello Stato della Chiesa, ancorché sia ben apprezzata dai Romani. Essi l’hanno importata piuttosto tardi, dopo l’annessione delle Due Sicilie e dello Stato pontificio al Regno di Sardegna, dai pastori di Amatrice, i quali transumavano con le loro greggi nella campagna romana durante il periodo invernale ed erano soliti recarsi a Roma per vendere i loro prodotti caseari e le carni ovine e bovine. Prima di chiamarsi amatriciana, si chiamava gricia (o più propriamente griscia); questo nome deriva da un piccolo paesino a pochi chilometri da Amatrice, frazione del comune di Accumoli, di nome Grisciano. La griscia, ricetta antichissima (probabilmente precedente alla scoperta dell’America, da cui l’ortaggio rosso proviene), era ed è ancora conosciuta come l’amatriciana senza il pomodoro, anche se differisce per alcuni ingredienti. Ancora oggi nel paese natìo, si svolge la Sagra della pasta alla Griscia il 18 di Agosto (vedi Sagra della pasta alla Griscia).L’utilizzo del pomodoro con gli spaghetti fu descritto per la prima volta dal gastronomo francese Grimond de la Reyniére nel 1807 nell’Almanach des gourmandes: è probabilmente nel periodo della conquista napoleonica (1798-1814) che l’uso del pomodoro come sugo di condimento della pasta si diffonde lungo la penisola italica. È consuetudine cucinare l’amatriciana con i bucatini, ma gli abitanti di Amatrice sono assolutamente rigorosi nel mantenere la tradizione degli spaghetti con il sugo all’amatriciana, per la quale hanno anche richiesto nel 2004 l‘Indicazione Geografica Tipica alla comunità europea Ad Amatrice si dice dell’amatriciana: “La pecora mite ed il bravo maiale diedero insieme formaggio e guanciale“. Questo ad indicare le origini povere della famosa ricetta.Avrete certamente notato l’assenza di cipolla od aglio che spesso sono la base di altri condimenti mediterranei e questo appunto perché si tratta di una ricetta nata da povera gente. Il detto sottintende anche l’uso delle poche cose di cui si dispone, in effetti l’antica popolazione locale era tipicamente rurale e più dedita all’allevamento che all’agricoltura. La ragione di ciò risiede nel fatto che il paese ed il suo territorio si estendono in una conca circondata di montagne, parliamo di quasi mille metri di altitudine e più. Nelle descritte condizioni, terreni scomodi e clima non del tutto favorevole, i prodotti della terra erano limitati, tanto più quando si parla di pomodoro che desidera sole e clima temperato per ben maturare.Tutto questo porta a pensare che l’originaria ricetta fosse “in bianco” come quella che a Roma è chiamata gricia. La ricetta è diventata famosa con l’uscita della stessa dal ristretto ambito della conca amatriciana.Le genti del comune di Amatrice hanno sempre avuto due canali preferenziali per l’emigrazione: Roma e gli Stati Uniti d’America. Gli uomini ed in seguito anche le donne, si recavano nella Capitale in via stagionale o permanente a prestare la loro mano d’opera per quel che sapevano fare. Tra i vari umili lavori che facevano, alcuni hanno iniziato a lavorare nei grandi alberghi come garzoni di cucina. Proprio questi , nel tempo, acquisendo esperienza, divenivano cuochi (allora non c’era la scuola alberghiera) e chiamavano altri ragazzi dai loro paesi a lavorare nelle cucine creando un flusso costante che sino agli anni ‘60 ha creato la fama di cuochi degli amatriciani ed ancor prima la fama della ricetta che, forse proprio in tali insalubri luoghi di lavoro, ha visto la riuscita commistione con il pomodoro. La sagra degli spaghetti all’amatriciana si tiene in Amatrice, generalmente durante l’ultimo fine settimana di agosto; esiste anche una più recente sagra degli spaghetti alla gricia che si tiene in Grisciano, paese sulla via Salaria non lontano da Amatrice, sempre in agosto. Ingredienti per 4 persone 500 g di spaghetti (no bucatini),100 g di guanciale di maiale,100 g di pecorino,500 g di pomodori pelati o polpa, 1 cucchiaio di olio extra vergine d’oliva,1/2 bicchiere di vino bianco secco,sale, poco peperoncino Descrizione: Tagliuzzare il guanciale a dadi in maniera grossolana. I dadi non devono essere troppo sottili altrimenti tendono ad imbiondire troppo rapidamente e alla fine potrebbero risultare troppo duri. Metterli a cuocere in una padella di ferro con l’olio ed il peperoncino. Aggiungere poi il vino e appena evaporato se il guanciale risulta sufficientemente imbiondito all’esterno ma ancora tenero all’interno, vanno tolti dalla padella e conservati al caldo in un fazzoletto di carta. A questo punto aggiungere all’olio i pomodori (se pelati vanno spezzettati con le mani)e un poco di sale e farlo cuocere a sufficienza. Dopodiché inserire il guanciale che si era messo da parte, ravvivare il fuoco per qualche minuto ed il sugo è pronto. Scolate gli spaghetti al dente in una casseruola, unite la salsa appena preparata ed unite una bella spolverata di pecorino appena grattato.

Ricette, Tradizioni

Torta del Donizetti

Torta del Donizetti è’ una ciambella morbida e gradevole, di color dorato con zucchero al velo in superficie, dedicata al grande musicista bergamasco. Si prepara come una normale ciambella, lavorando il burro con zucchero (circa l’85% del totale), a questo si aggiungono i tuorli piano piano, e si amalgama bene il tutto.Da un’altra parte si montano a neve gli albumi e vi si aggiunge un po’ di zucchero (il 15% del totale) senza alterare la consistenza degli albumi. Si unisce questo composto con quello precedente, delicatamente, senza variare la consistenza.A ciò che avremo ottenuto va aggiunta la fecola, la farina, i canditi ed il maraschino con la vaniglia. L’impasto è così pronto da essere infornato, e lo si pone nel caratteristico stampo da ciambella e lo si mette in forno a 180 °C per circa 40 min.Una volta cotta, la torta viene liberata dallo stampo e spolverata con zucchero al velo Ingredienti: • 160 g di burro• 60 g di zucchero• 4 tuorli + 2 albumi d’uovo• 25 g di farina• 60 g di fecola• 50 g di albicocche candite• 50 g di ananas canditi• alcune gocce di concentrato di maraschino• una bustina di vaniglia Preparazione:Montare il burro con 50 g di zucchero, aggiungere i tuorli e amalgamare bene il tutto.Montare a neve i due albumi e lo zucchero rimasti e incorporarli lentamente al composto precedente.Aggiungere man mano la farina, la fecola e quindi i canditi di albicocca e ananas a pezzettini, insieme agli aromi di maraschino e vaniglia.Imburrare uno stampo per ciambella e versarvi l’impasto, mettere in forno per circa 40 minuti a 180 °C. Sformare e far raffreddare, quindispolverizzare con zucchero a velo.

Vini

Bianchello del Metauro DOC

Nella valle del Metauro gli Etruschi si dedicavano alla viticoltura, contendendone il primato ai Piceni, che la praticavano appena più a sud. Alcuni secoli dopo, nel 207 a.C., i Cartaginesi di Asdrubale, inviati in soccorso di Annibale, sarebbero stati sconfitti dalle abbondanti libagioni di Biancame più che dai Romani.  La zona geografica delimitata per la produzione dei vini con la denominazione “Bianchello del Metauro” è in provincia di Pesaro ed è compresa tra il confine con la provincia di Ancona a sud dato dal fiume Cesano, ed il decorso del fiume Arzilla a nord. Il fiume Metauro, gli Appennini e l’Adriatico hanno da sempre caratterizzato l’area di produzione – pianeggiante, con leggere pendenze, ampia apertura verso il mare ed una tessitura del terreno che agevola lo sgrondo delle acque piovane – offrendo facilità di accesso, di lavorazione e di difesa dell’attività agricola. Il Bianchello del Metauro DOC è da bersi giovane come aperitivo o con antipasti, minestre, risi, paste anche asciutte, carni bianche a tendenza dolce (petto di pollo, coniglio), molluschi e crostacei, piatti delicati di pesce o di verdure, pesci di mare arrosto e alla griglia. Tipologie: Bianchello del Metauro, Bianchello del Metauro Superiore, Bianchello del Metauro Spumante, Bianchello del Metauro Passito. Vitigni: Bianchello (Biancame) 95-100%, Malvasia bianca lunga 0-5%.     Disciplinare: approvato DOC con Dpr 02.04.69 (G.U. 143 -10.06.69)

Vini

Martina Franca DOC

Martina Franca DOC è “gemella” del Locorotondo e prende il nome dall’omonimo comune, che si narra sia stato fondato nel 1300 quando Filippo I D’Angiò, per allontanare banditi e bestie feroci, decise di edificare una cittadella fortificata sul punto più alto di monte San Martino e per popolarla la rese zona franca dalle tasse. La zona geografica del Martina Franca DOC, delimitata dal disciplinare di produzione è denominata Valle d’Itria e fa parte della più ampia area della Murgia, cosiddetta “dei Trulli”. Terra di viandanti, nel corso della storia, e votata all’agricoltura fino ai nostri giorni, grazie anche alla tipica terra rossa, parzialmente argillosa e sabbiosa. Qui il paesaggio rurale è caratterizzato da residui boschi di querceti e leccio misti a vegetazione spontanea mediterranea e dagli impianti ad alberello coltivati in piccoli appezzamenti di terreno, delimitati dai caratteristici muretti a secco. Nonostante la notevole piovosità e la buona insolazione estiva, il terreno piuttosto arido e siccitoso può rallentare la maturazione dell’uva, dando vita ad un vino fresco e di gradazione contenuta da consumare fin dalla primavera successiva alla vendemmia. Descrizione: Colore giallo verdolini o giallo paglierino chiaro. Odore delicato, caratteristico con leggeri sentori speziati; delicato profumo che aumenta con l’invecchiamento, scarsa vivacità. Sapore asciutto, armonico con retrogusto leggermente amarognolo. Titolo alcol. minimo: 11%. Abbinamenti: da aperitivo  e da tutto pasto, crostacei e frutti di mare, zuppa di cozze, pesce di mare bollito o alla griglia, seppie in umido, frittate e latticini freschi. Disciplinare: approvato DOC con Dpr 10.06.69  (G.U. 211 -19.08.69)

I Tipici

Melannurca Campana IGP

La “Melannurca Campana” IGP è presente in Campania da almeno due millenni. La sua raffigurazione nei dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano e in particolare nella Casa dei Cervi, testimonia l’antichissima legame dell’Annurca con il mondo romano e la Campania felix in particolare. Luogo di origine sarebbe l’agro puteolano, come si desume dal Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Proprio per la provenienza da Pozzuoli, dove è presente il lago di Averno, sede degli Inferi, Plinio la chiama “Mala Orcula” in quanto prodotta intorno all’Orco (gli Inferi). Anche Gian Battista della Porta, nel 1583, nel suo “Pomarium”, nel descrivere le mele che si producono a Pozzuoli cita testualmente: (… le mele che da Varrone, Columella e Macrobio sono dette orbiculate, provenienti da Pozzuoli, hanno la buccia rossa, da sembrare macchiate nel sangue e sono dolci di sapore, volgarmente sono chiamate Orcole…). Da qui i nomi di “anorcola” e poi “annorcola” utilizzati nei secoli successivi fino a giungere al 1876 quando il nome “Annurca” compare ufficialmente nel Manuale di Arboricoltura di G. A. Pasquale. Tradizionalmente coltivata nell’area flegrea e vesuviana, spesso in aziende di piccola dimensione e talora in promiscuità con ortaggi ed altri fruttiferi, la “Melannurca Campana” IGP si è andata diffondendo nel secolo scorso prima nelle aree aversana, maddalonese e beneventana, poi via via nel nocerino, nell’irno, i picentini e infine in tutta l’area dell’alto casertano. Proprio qui, già da alcuni decenni, con la regressione delle superfici agricole dell’area napoletana a causa della conurbazione delle zone costiere, ha trovato il territorio ove essa è più intensamente coltivata. L’Indicazione geografica protetta “Melannurca Campana” si riferisce ad una delle varietà italiane di melo più conosciute e più apprezzate in assoluto dai consumatori: l’Annurca. Definita la “regina delle mele”, infatti, l’Annurca è da sempre conosciuta soprattutto per la spiccata qualità dei suoi frutti, dalla polpa croccante, compatta, bianca, gradevolmente acidula e succosa, con aroma caratteristico e profumo finissimo, una vera delizia per gli intenditori. Il frutto è medio-piccolo, di forma appiattita-rotondeggiante, leggermente asimmetrica, con picciolo corto e debole. La buccia, liscia, cerosa, mediamente rugginosa nella cavità peduncolare, è di colore giallo-verde, con striature di rosso su circa il 60-70% della superficie a completa maturazione, percentuale di sovraccolore che raggiunge l’80-90% dopo il periodo di arrossamento a terra. La “Melannurca Campana” IGP rivendica da sempre virtù salutari: altamente nutritiva per l’alto contenuto in vitamine (B1, B2, PP e C) e minerali (potassio, ferro, fosforo, manganese), ricca di fibre, regola le funzioni intestinali, è diuretica, particolarmente adatta ai bambini ed agli anziani, è indicata spesso nelle diete ai malati e in particolare ai diabetici. Anche per l’eccezionale rapporto acidi/zuccheri, le sue qualità organolettiche non trovano riscontro in altre varietà di mele. Una recente ricerca del Dipartimento di scienza degli alimenti dell’Universià di Napoli Federico II ha dimostrato che la mela Annurca dimezza i danni ossidativi alle cellule epiteliali gastriche. La sua azione gastroprotettiva dipende dalla ricchezza in composti fenolici, che sono in grado di prevenire così i danni ossidativi dell’apparato gastrico e aiutando a combattere le malattie gastriche legate all’azione di radicali liberi. Uno degli elementi di tipicità che certamente caratterizzano la “Melannurca Campana” IGP è l’arrossamento a terra delle mele nei cosiddetti “melai”. Essi sono costituiti da piccoli appezzamenti di terreno, sistemati adeguatamente in modo da evitare ristagni idrici, di larghezza non superiore a metri 1,50 su cui sono stesi strati di materiale soffice vario: un tempo si utilizzava la canapa, oggi sostituita da aghi di pino, trucioli di legna o altro materiale vegetale. Per la protezione dall’eccessivo irraggiamento solare i melai sono protetti da apprestamenti di varia natura. Durante la permanenza nei melai i frutti sono disposti su file esponendo alla luce la parte meno arrossata, vengono poi periodicamente rigirati ed accuratamente scelti, scartando quelli intaccati o marciti. E’ proprio questa pratica, volta a completare la maturazione dei frutti adottando metodi tradizionali e procedure effettuate tutte a mano, ad esaltare le caratteristiche qualitative della “Melannurca Campana” IGP, conferendogli quei valori di tipicità che nessun altra mela può vantare. Due gli ecotipi previsti dal disciplinare di produzione, con due distinte indicazioni varietali in etichetta: l’ “Annurca” classica e la diretta discendente “Annurca Rossa del Sud”, suo mutante naturale, diffuso nell’area di produzione da oltre un ventennio, che ha il pregio di produrre frutti a buccia rossa già sulla pianta. I frutti di maggior pregio, soprattutto dal punto di vista organolettico, a detta degli esperti sono quelli provenienti da piante innestate su franco, allevate a pieno vento e con scarsi apporti irrigui. Le indubbie caratteristiche organolettiche di questa mela, finora apprezzate soprattutto dai consumatori meridionali, stanno progressivamente conquistando anche altri mercati, grazie anche al riconoscimento del marchio di tutela e all’ingresso nei canali della grande distribuzione organizzata. Accanto ai succhi, di grande valore nutritivo, ottimi sono anche i liquori ottenuti dalle annurche, così come i dolci (crostate e sfogliatelle su tutti, ma anche le mitiche e tradizionali “mele cotte” al forno). Di recente, attraverso un programma di educazione alimentare della Regione Campania, la “Melannurca Campana” IGP è proposta al consumo dei bambini in visita a Città della Scienza nella forma commerciale della “quarta gamma” (confezione sigillata di una mela sbucciata e affettata in grado di mantenere inalterata per giorni la freschezza e l’aroma). Mele al mieleLavare e asciugare le mele privandole del torsolo senza eliminare il fondo del frutto. Disporre le mele cosi’ tagliate in una pirofila colmandole dal foro centrale con un cucchiaio di miele. Innaffiare con vino bianco e infornare in un forno già caldo a 180° per circa 15 minuti. Spolverizzare con lo zucchero prima di servire

I Tipici

Testarolo della Lunigiana PAT

Il testarolo è un antico pane senza lievito (azzimo) di forma circolare, con basso spessore (circa 2-3 mm) e diametro di circa 40-45 cm. Ha aspetto consistente ma spugnoso e pasta di colore biancastro, tendente al marroncino. Esternamente, la parte venuta a contatto con il piano di cottura presenta colorazione bruno intenso, mentre la parte superiore ha il colore della mollica del pane casalingo, di cui peraltro conserva anche il profumo. Viene venduto sfuso nei forni e nei negozi di generi alimentari della Lunigiana e commercializzato a più ampio raggio in confezioni sottovuoto, che ne preservano le caratteristiche originarie. I Testaroli della Lunigiana sono una pasta di antica origine. Diffusi già ai tempi di Roma imperiale, sono diventati nel corso dei secoli un piatto di prim’ordine della cucina regionale Toscana, semplice e genuina. Ancora oggi vengono realizzati con gli stessi pochi ingredienti di allora: farina, acqua e sale. La farina di grano viene amalgamata con acqua tiepida e sale fino all’ottenimento di una pastella molto liquida. Si scaldano quindi i testi di ghisa o di ferro sul fuoco vivo e, una volta ben caldi, vi si stende sopra la pastella in modo da formare un disco circolare. Ogni disco viene coperto con un altro testo caldo per completare la cottura, che richiede pochi minuti. Ancora oggi per la produzione casalinga vengono utilizzati appositi locali, chiamati “gradili” e destinati sia alla produzione dei testaroli, sia all’essiccazione delle castagne. Il prodotto deve la sua tradizionalità al processo di lavorazione, che è rimasto invariata nel tempo (l’unica modifica riguarda il metodo di riscaldamento dei testi), e all’utilizzo di particolari attrezzi, i testi in ghisa, per la trasformazione. Il “testo” è un arnese a due componenti, la teglia, con bordo di 5-6 cm, e la cupola che viene utilizzato anche per la cottura di altri cibi. Nella preparazione del testarolo, la pastella viene a contatto solo con la facciata inferiore (testo “sottano”) dell’attrezzo, mentre la parte superiore della pastella si cuoce per irradiazione del calore proveniente dalla cupola coprente (testo “soprano”). Una volta cotto, il testarolo viene tagliato a quadratini e fatto rinvenire in acqua bollente “ferma”. Scolato, viene condito con olio extravergine di oliva e pecorino grattugiato o con pesto di basilico, pinoli, aglio e olio extravergine (pesto gentile).Il testarolo viene anche servito con formaggi freschi e molli o con salumi. È un piatto povero che veniva consumato soprattutto dai contadini, ed oggi è molto ricercato e apprezzato nei ristoranti della Lunigiana. I testaroli vengono prodotti sia a livello familiare, sia da forni e pastifici per la commercializzazione; si può stimare una produzione complessiva di 950-1000 quintali l’anno. La vendita avviene non solo nella zona d’origine, la Lunigiana, ma anche nel resto della regione e, in quantitativi modesti, nel resto d’Italia.

Ricette, Tradizioni

Past’ e ‘llesse

Il termine pastellessa deriva da una specialità tipica della cucina povera: la past’ e ‘llesse (o past’ e ‘llessa),ovvero la pasta con le castagne lesse. A Macerata Campania, in occasione della festa antoniana, la tradizione vuole che si prepari tale ricetta, in cui il dolce della castagna insieme al piccante del peperoncino crea un gusto abbastanza gradevole. Questo piatto si accompagna bene al vino di uva fragola prodotto con vitigni autoctoni, quasi ormai inesistenti in territorio maceratese Ingredienti per 4 persone:– 200 g di castagne lesse. Origine: Roccamonfina (Caserta)– 300 g di pasta di tipo corto, come tubettoni o ditaloni (meglio integrali) – 100 g di pancetta- Aglio- Olio d’oliva extravergine– Peperoncino- Sale per una buona riuscita della ricetta si consiglia, un giorno prima della preparazione, di mettere le castagne lesse a bagno in acqua e bicarbonato di sodio. Ciò consente di pulire e ammorbidire in modo adeguato le castagne lesse.Preparazione:1. Preparate il soffritto con pancetta, aglio, olio e peperoncino: mentre tagliate la pancetta a dadini, fatesoffriggere aglio e peperoncino nell’olio d’oliva in una padella capiente; quindi aggiungete anche lapancetta. Fate soffriggere bene la pancetta fino a che non è bella colorita.2. Aggiungete le castagne lesse nella padella col soffritto, facendo insaporire il tutto a fuoco lento.3. Contemporaneamente mettete a cuocere la pasta, salandola al punto giusto; quindi scolate la pastaal dente, per poi saltarla in padella per qualche minuto con il soffritto e le castagne lesse.4. Servite a tavola il piatto fumante

a tavola con

Marcel Proust e le Madeleine

Buoni da pensare, i cibi, e anche da ripensare: sull’onda del sapore e dell’odore delle madeleines  i piu’ celebri pasticcini della storia della letteratura, Marcel Proust ha costruito i sette volumi della Recherche, monumento struggente al ricordo della sua infanzia e a un mondo irripetibile che stava scomparendo.E i medici, con incolpevole cinismo, hanno definito “ sindrome psicologica di Proust” il riflesso condizionato che l’odore di un cibo del passato desta nella memoria. Madeleine 125 g di burro, 130 g di zucchero, 150 g di farina, 3 uova,1/2 bustina di lievito,1 pizzico di sale una noce di burro Fate sciogliere il burro (a bagnomaria) e poi lasciatelo raffreddare  .Accendete il forno a 220° C. Sbattete le uova con lo zucchero e il sale. Aggiungete la farina, il lievito e il burro sciolto. Mescolate bene.Imburrate gli stampini a forma di madeleine e riempiteli con l’impasto.Infornate. Fate cuocere per 5 minuti, poi abbassate il forno a 200° e proseguite la cottura per 6-7 minuti.Sformate le madeleine e lasciarle raffreddare

Ricette, Tradizioni

Carabaccia

La carabaccia è la zuppa di cipolle fiorentina.Il piatto è presente nei ricettari fin dal Rinascimento, citato per la prima volta da Cristoforo Messisburgo nel “Libro novo nel quale s’insegna a far d’ogni sorta di vivande”, dove si parla della carabazada. È l’antenata della parigina soupe d’oignons, fatta conoscere alla corte del re di Francia Enrico II d’Orléans da sua moglie Caterina de’ Medici (1519- 1589) e diventata piatto popolare in seguito alla rivoluzione francese. Rispetto al periodo rinascimentale, la ricetta ha naturalmente subito delle modifiche: allora i cibi tendevano ad avere un fondo dolce e speziato ed essa,  conteneva tra gli ingredienti zucchero, abbondante cannella, mandorle “ambrosine” e agresto.Il tempo ha portato delle modifiche nei gusti e questo fondo è sparito, lasciando pieno spazio alla morbidezza naturale delle cipolle stesse. Ingredienti per 6 persone:– gr. 600 di cipolle rosse toscane (meglio se rossa di Certaldo)– gr. 400 di patate– un mazzetto di prezzemolo fresco– sale e pepe– circa lt.1,5 di brodo vegetale– Olio extra vergine di oliva toscano q.b. Preparazione:Far cuocere, a fuoco moderato, le cipolle tagliate finemente in una pentola con l’olio di oliva ed un trito di prezzemolo dopo circa 15 minuti aggiungere le patate tagliate a pezzetti piccoli salare e pepare continuare la cottura fino a quando le patate saranno ammorbidite quindi aggiungere il brodo vegetale e far bollire per 30 minuti circa Servire con fette di pane grigliato rigorosamente toscano a discrezione condire con un filo di olio a crudo ed una macinatina di pepe A fare carabazada da magro per piatti dieciTogli cipolle emondale e falle ben cuocere in acqua. Poi cavale fuora di detta acqua colata bene, e ponile in una cazza ben stagnata e con libbre 2di buono olio falle bogliere, sempre rompendole e mescolandole.Poi abbi libbra una e mezza di mandorle ambrosine ben pelate e peste, e distemperale con agresto, sì che restino spessette. E gettale dentro a detta cazza con oncia mezza di cannella, e falle bogliere un pochetto sempre mescolando. Poi come è cotta e imbandita, gettale sopra zuccaro e cannellaCristoforo da Messisbugo – Banchetti composizioni di vivande e apparecchio generale

Torna in alto