I primi riferimenti storici sulla Ricotta Romana risalgono ai tempi dei Romani, quando Columella, nel “De re Rustica”, descrive le tecniche casearie utilizzate per ottenere i vari formaggi, tra cui la Ricotta.
Il latte di pecora aveva tre destinazioni: la prima di natura religiosa/sacrificale; la seconda alimentare come bevanda o come ingrediente per varie preparazioni; la terza per l’ottenimento del formaggio di pecora fresco e stagionato, oltre l’utilizzo del siero residuo dapprima per ottenere la ricotta, poi per alimentare i maiali. Ercole Metalli, in “Usi e costumi della campagna romana” (1903), parlando dei pecorai riporta: “Pongono poi nuovamente la caldaia al fuoco per estrarne la ricotta. La ricotta, insieme a poco pane, rappresenta il loro esclusivo alimento”. In passato la paga dei pecorai consisteva in una lira e cinquanta centesimi al giorno, oltre al pane, al sale, alla ricotta e alla polenta.
Considerata erroneamente un formaggio, la ricotta è in realtà un derivato della lavorazione del siero, e non del latte. Nell’Agro romano la ricotta per eccellenza è quella di pecora, ma si produce anche da vacca, capra e bufala. Il nome è dovuto al fatto che durante la lavorazione del formaggio la cagliata viene separata dal siero che viene riscaldato per una seconda volta: appunto, ricotto (dal latino recoctus, cotto due volte). I piccoli fiocchi bianchi cominciano ad affiorare una volta raggiunti gli 85 gradi e, consolidandosi, formano una massa bianca. Vengono estratti usando un mestolo forato e trasferiti nelle fiscelle, appositi cesti che una volta erano fatti col giunco. Qui la ricotta rimane per tre o quattro ore, finchè non si asciuga.
La Ricotta Romana DOP presenta una pasta a struttura molto fine, compatta, bianca e con un sapore delicato e dolciastro, elementi che la distinguono dalle altre tipologie di ricotta. Le razze ovine (e relativi incroci) coinvolte sono: Sarda e suoi incroci, Comisana e suoi incroci, Sopravissana e suoi incroci, Massese e suoi incroci.