La pianta del caffè è originaria degli altopiani etiopici, forse della regione di Kaffa, dalla quale potrebbe derivare il nome.
In questi luoghi essa cresce allo stato selvaggio e da tempo immemorabile.
Si ignora quando la pianta sia passata nello Yemen o se vi sia cresciuta spontaneamente. Certo è che gli abissini sono i primi a consumare il bunchum, un decotto di bacche e foglie e a preparare una pasta a base di grasso animale e di bacche di caffè pestate in un mortaio di legno o di pietra.
La torrefazione del chicco dev’essere avvenuta inizialmente per caso e oggi si spiega la sua origini con l’ausilio di racconti leggendari.
La torrefazione risale probabilmente al Quattrocento. Prima sia gli abissini che gli arabi preparano un infuso facendo bollire sia le bacche che le foglie della pianta del caffè.
In un primo tempo il caffè viene abbrustolito in un recipiente posto sul fuoco.
I chicchi vengono poi posti su di una pietra piatta.
Oggi lo stesso procedimento avviene in fabbrica. In casa si utilizzano a lungo piccoli tamburi di forma cilindrica o sferica con una manovella, con i quali vengono abbrustolite piccole quantità di caffè.
Il caffè torrefatto conserva le sua qualità per breve tempo. Per quanto riguarda la macinazione, essa deve adattarsi alla preparazione: fine per la macchina espresso, media per i filtri, più grossa per la caffettiera di tipo napoletano.
L’ideale sarebbe abbrustolire e macinare il caffè consumato ogni giorno.