In Europa le patate arrivarono solo nella metà del Cinquecento e in Italia si diffuse alla fine del ‘700 e vennero però considerate come un alimento malsano e apostrofate come cibo “capace di provocare effetti allucinogeni e di dare alle streghe il potere di volare”, adattissimo per il bestiame.
Forse non tutti sanno che la patata, gustoso tubero dalle notevoli proprietà nutritive, ha delle origini antichissime. Originaria dell’America centrale e meridionale, in particolare di Perù e Cile,dove vivevano popolazioni particolarmente abili nelle coltivazioni d’alta quota, che sfruttavano i terrazzamenti e la possibilità d’irrigazione, e che più di 4000 anni fa addomesticarono per prime questa pianta, selezionandone un numero enorme di varietà.
Si pensa che la patata sia uno dei prodotti scoperti e portati in Europa da Cristoforo Colombo ma egli si imbatté unicamente nella “patata americana”, in verità furono gli scambi commerciali avviati dai “conquistadores” a portare la patata prima dalla zona andina in Messico e, poi, nell’area dell’America Settentrionale che ora è denominata Virginia.
In Europa arrivò solo nella seconda metà del Cinquecento, restando tuttavia solo una curiosità botanica poco conosciuta. Nel 1565, Filippo II di Spagna inviò al papa un certo quantitativo di patate, che, però furono scambiate per un genere di tartufi dal sapore disgustoso. Sempre in quel periodo, non furono comprese le qualità nutrizionali del tubero, ritenendo che la sua parte commestibile fossero le foglie. Giudicato un alimento malsano, la pianta, infatti, contiene solanina alcaloide velenoso, l’apostrofarono come cibo “capace di provocare effetti allucinogeni e di dare alle streghe il potere di volare”. La prima autentica descrizione scientifica della patata va attribuita al botanico olandese Charles de Lécluse, meglio conosciuto con il nome di Clusio, che nel 1588, a Vienna, dove soggiorna, riceve due tuberi inviatigli dal governatore di Mons, accompagnati da un acquerello (il primo ritratto ufficiale della patata, oggi al museo Plantin di Anversa). Il Clusio assaggia i tuberi, ne riconosce il sapore gradevole e vicino a quello delle rape e ne stende una minuziosa descrizione per la Raziorum plantorum istoria. Fu solo nel XVIII sec. che, grazie alla semplicità della sua coltivazione, la patata venne forzatamente utilizzata dai comandanti spagnoli e prussiani per sfamare i loro eserciti.
Dopo la metà del’700, durante una guerra, il tubero finalmente incontrò chi l’avrebbe portato fuori dell’ambito militare. Si trattava del farmacista ed agronomo francese Parmentier Antoine-Augustin, che durante una prigionia ne apprezzò il sapore, constatando anche la sua facilità di crescita in terreni relativamente poveri.
Tornato in patria, qualche anno dopo Parmentier propose la “pomme de terre” (patata) ad un premio per nuovi cibi contro la carestia, presentando il tubero come un pane già fatto che non richiedeva né mugnaio né fornaio.
L’alimento suscitò grande interesse e fu così che, dopo la spaventosa carestia del 1785, Luigi XVI impartì l’ordine ai nobili di obbligare i propri contadini a coltivare la patata.
I risultati non furono quelli sperati, perciò su consiglio di Parmentier, che orgogliosamente adornava il suo panciotto col fiore azzurro dalla pianta, il sovrano decise di dare seguito ad uno stratagemma.
Si cominciò facendo coltivare delle patate al Campo di Marte, in un terreno guardato a vista dai soldati reali, per poi spargere la voce che lì si produceva una preziosità riservata al re. La cupidigia fece il suo corso, in molti si trasformarono in ladruncoli pur d’impossessarsi dei frutti proibiti, e durante la rivoluzione del 1789 la patata era già un cibo popolare. All’inizio dell’ottocento questo tubero plebeo trovò la sua consacrazione nella Haute Cuisine con le crocchette ideate da Antoin Caréme.
La coltivazione della patata in Italia si diffonderà, a partire dalla fine del ‘700, in certe aree proprio a seguito delle campagne napoleoniche. Nel 1798, però, “La cuciniera piemontese” e più tardi, nel 1815, “Il cuoco piemontese” non hanno fatto ancora alcun cenno a ricette di patate.
L’anno prima il letterato Cesare Arici (1782-1836), pubblicando a Brescia una delle sue opere più note, “La pastorizia”, ne segnalava così la presenza: Ecco l’eletto pomo a parte a parte ingenerarsi dell’Italia in seno e più sterilglebe abbracciar lieto… Cerere applaude e i molti usi ne addita. Insomma l’Arici, più che le patate fritte, vede ancora l’”eletto pomo” adattissimo per il bestiame: Vedrai per questo in pingue adipe avvolgersi Delle pecore i fianchi, e via più denso Dalle turgide poppe uscirne il latte…
Alla quinta edizione de “Il cuoco galante”, invece, Vincenzo Corrado, già nel 1801, aggiungeva un “Trattato delle patate”, in cui presentava un ricco elenco di preparazioni: dalle patate in polenta, in crema, in polpette, in bignè, arrostite, ripiene al burro, e così via. Ed intuiva il prototipo, la prima ricetta delle ormai prossime venture “patate in gnocchi”, naturalmente da rivedere e da ridimensionare: Cotte che saranno al forno le patate, la loro più pulita sostanza si pesta con una quarta parte di gialli d’uova duri, altrettanta di grasso di vitello e anche di ricotta. Si unisce e si lega dopo con qualche uovo sbattuto, si condisce di spezie e si divide in tanti bocconi lunghi e grossi come un mezzo dito, i quali infarinati si mettono nel fuoco bollente, e bolliti per poco si servono nel piatto incaciati e conditi con sugo di carne .
La vera ricetta, assai più semplice ed aggiornata degli gnocchi di patate – probabilmente d’origine piemontese, ma felicemente approdati in Liguria dopo l’annessione al Piemonte del 1815, a seguito del trattato di Vienna – la troveremo, insieme con quella del puré, chiamato ancora patate machees, nelle due “Cuciniere genovesi” con il battuto all’aglio (ovvero il pesto) e cacio parmigiano.
Ancora oggi all’illustre agronomo Parmentier sono intitolate molte ricette in cui i tuberi figurano come elemento centrale o guarnizione predominante (es. pasticcio di carne Parmentier).