La prima olivicultura si sviluppa in Palestina, in Siria e a Creta, luoghi d’origine delle più antiche civiltà.
Nella celebre isola si sono trovate anfore per la conservazione dell’olio, vasi di terracotta, mortai di pietre e piccole, primitive presse e i resti di un torchio.
Altre fonti che ci parlano della produzione di olio e della sua commercializzazione sono costituite dalle tavole d’argilla della Stanza delle basi delle colonne a Cnosso, un vero e proprio libro di conti dell’amministrazione del palazzo, e ancora dalla pittura murale (1500 a.C.). Il trasporto dell’olio avviene con navi colme di pithoi, vasi e otri in pelle di capra destinati ai paesi affacciati su tutto il Mediterraneo e in particolare all’Egitto, dove sono preferiti i cosiddetti vasi a staffa, che troviamo raffigurati all’interno delle tombe dei faraoni. Qui l’olio ha un ruolo di primaria importanza nei riti religiosi e funebri: vi sono ramoscelli d’ulivo tra i doni rinvenuti nel sepolcro di Tutankamen; ghirlande di fiori e ramoscelli d’ulivo compongono i colletti cinti dai sacerdoti durante il rito dell’inumazione; l’olio viene usato per ungere i corpi e le teste dei defunti da mummificare; durante le sacre funzioni, solo chi ha capelli, viso e piedi spalmati d’olio può avvicinarsi agli idoli. Infine, piante di ulivo sono comprese tra le offerte e i lasciti votivi .
Per quanto riguarda la fascia costiera tra Egitto e Palestina, l’importanza della coltivazione dell’ulivo tra gli ebrei è testimoniata dalle innumerevoli citazioni presenti nella Bibbia, prima tra le quali quella relativa al ramoscello che la colomba porta a Noè quale prova della fine del diluvio.
Con gli ebrei vivono inoltre i filistei produttori di olio per l’illuminazione e per i balsami: una campagna archeologica della prima metà degli anni ottanta scopre a Tel Mique Akron, vicino a Tel Aviv, un enorme impianto per la lavorazione delle olive con quasi 100 presse e macine risalente al 1000 a.C. circa. Esso può essere considerato uno dei più importanti complessi industriali dell’antichità, la cui produzione annua si aggira tra le 1.000 e le 2.000 tonnellate.
Nel 1874 l’archeologo tedesco Schliemann dà il via ad una famosa campagna di scavi a Micene, culla della civiltà egea e nello splendore della residenza regia trova semi d’ulivo, lampade ad olio, recipienti con resti oleosi. Lo stesso accade a Tirinto e in tutta l’Argolide.
Gli scavi successivi confermano gli entusiasmi iniziali: in un insediamento ai piedi della fortezza micenea si scopre, tra le altre, l’abitazione di un commerciante d’olio con 30 bricchi chiusi e sigillati e 11 pithoi che risalgono al XIV-XIII secolo a.C.
Ricerche più recenti (1954-1956) a Micene nella Casa delle sfingi e a Pylos, nel Peloponneso meridionale, portano alla luce liste dettagliate di aromi quali il finocchio, sesamo, giunco, sedano, crescione, menta, salvia, rosa, ginepro, da mescolare con l’olio per la fabbricazione di unguenti.
Se gli scavi archeologici hanno confermato le suggestioni contenute nell’Iliade e nell’Odissea, innumerevoli sono i riferimenti alla centralità della pianta dell’ulivo e dei suoi frutti in epoca successiva soprattutto nell’arte greca, nei bassorilievi, nella pittura e sui vasi ed anfore dipinti.
Se le fonti ci raccontano del consumo che viene fatto nel mondo antico delle olive e dell’olio d’oliva nell’alimentazione, nella cosmesi, nella medicina, nel culto e nella casa esse dicono molto anche sul lavoro e la tecnica di coltivazione, sulla raccolta e sulla produzione del frutto e dei suoi derivati. Momenti decisivi sono l’aratura, la potatura, la raccolta.
Ai tempi di Plinio passa un certo tempo tra la raccolta e la molitura al torchio, che avviene in un locale dove si trovano le macine e la pressa. Un notevole progresso è costituito dall’utilizzo del torchio a vite in legno, utilizzato a partire dal I secolo a.C.