Lombardia

I Tipici

Il Grana Padano DOP

Il Grana Padano nacque intorno all’anno mille, nell’area lombarda compresa tra il Po a sud e Milano a nord, e delimitata dai fiumi Adda e Mincio. In quel periodo, l’opera di bonifica compiuta dai monaci Cistercensi dell’abbazia di Chiaravalle diede vigore all’allevamento del bestiame, determinando una produzione di latte decisamente superiore al fabbisogno della popolazione. Fu proprio per sfruttare l’eccedenza di latte che i monaci, con geniale intuizione, misero a punto la “ricetta” del Grana Padano, un formaggio a pasta dura che, stagionando, manteneva i principi nutritivi del latte di partenza, concentrati e arricchiti di un gusto inconfondibile, fatto di colori, sapori e profumi che meritano di essere conosciuti e apprezzati.L’origine della produzione è contesa tra Lodi e Codogno, ma si è presto diffusa dagli Appennini alle Alpi, comprendendo l’intera vallata del Po; fonti del XII secolo già documentano la nascita dei primi caseifici.La lunga conservabilità ne ha favorito il fiorente commercio ben oltre i confini della zona di produzione, fino alle tavole delle corti rinascimentali. Durante gli anni di carestia però, riuscì anche a sfamare la gente delle campagne, diventando poi uno dei pilastri dell’economia agricola padana.Il rispetto delle antiche metodologie produttive ha permesso di mantenerne inalterati nei secoli il sapore e l’aspetto e per garantire e proteggere la tipicità della produzione, nel 1954 viene costituito il Consorzio di Tutela , allo scopo di promuovere anche la ricerca tecnica per un continuo miglioramento della qualità.Il mercatoInsieme, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano coprono più dell’85% di tutto il mercato italiano dei formaggi duri. Due gi-ganti assoluti, quindi, che se da un lato presentano innegabili elementi di somiglianza, dall’altro si diversificano per alcune particolarità essenziali che li rendono inconfondibili nelle rispettive caratteristiche di gusto, aroma e consistenzaLa presenza del marchio è già un’implicita garanzia di qualità.La forma non deve presentare al suo interno spaccature o crepe, difetti che possono preludere a squilibri di sapore (soprattutto verso un piccante improprio), la crosta deve avere un giusto spessore (5 – 6 millimetri), mentre la pasta deve mostrare una consistenza soda e decisa, con una buona resistenza alla penetrazione.Sulle caratteristiche del formaggio incide naturalmente anche il tempo di stagionatura: col passare del tempo, il grana incrementa una piacevole tendenza a fondersi in bocca. Un carattere di qualità è anche nella struttura “a scaglia”, per cui, nel prodotto molto maturo, la pasta si stacca a lingue sottili, secondo una disposizione a raggi convergenti verso il centro della forma. L’eccesso di secchezza e l’eventuale sabbiosità non sono caratteri positivi, mentre la presenza di granuli bianchi nella pasta non è da valutare negativamente.

I Tipici, Ricette

Pizzoccheri della Valtellina PAT

I pizzoccheri sono il piatto simbolo della cucina tradizionale Valtellinese, conosciuti un po’ ovunque e molto apprezzati soprattutto nei mesi freddi. Il nome “pizzoccheri” sembra derivare dalla radice “pit” o “piz” col significato di pezzetto o ancora dalla parola pinzare col significato di schiacciare, in riferimento alla forma schiacciata della pasta. Altre ipotesi farebbero risalire la parola pizzoccheri dal longobardo bizzo, ovvero boccone, ma questa ipotesi etimologica è piuttosto improbabile. Parlare del pizzocchero è difficile. È sempre complicato descrivere i cibi genuini e scriverne è quasi impossibile perché la parola riduce la sensazione a pochi tratti, troppo essenziali. Tuttavia, volendone dar conto, si deve assolutamente passare attraverso la descrizione dell’incanto che gustandolo si prova. Il pizzocchero (che è sempre detto al plurale) è una tale e specifica unione di ingredienti semplici che trova, nell’equilibrio e nella fusione delle sostanze, la sua più alta affermazione. Dunque: i pizzoccheri di Teglio sono armonia e gusto e portano direttamente ai piaceri della vista, del palato e della gola. Sono un piatto tipico che nasce da una combinazione tra diverse sostanze genuine e che soddisfano – ciascuna – uno specifico momento del mangiare. Fumanti arrivano in tavola, ma già si era diffuso nell’ambiente il loro buon odore, scaturito dalla combinazione delle parti, spinto dai vapori che – usciti dall’acqua bollente – segnalavano l’esatta cottura della pasta. La rosolatura del burro, con un poco d’aglio, aveva anticipato all’olfatto il successivo incanto della vista che godeva, dai piatti distribuiti sulla tavola, il trionfo e il piacere delle tagliatelle condite. L’insieme era stato dunque immaginato,poi aspirato e annusato e infine ammirato, apprezzato. Sui piatti, nelle singole porzioni, è stato eccitato da una spruzzata di pepe nero, a volontà. Ingredienti: Formaggio semigrasso della Valtellina “CASERA” (180 g), Pizzoccheri(420 g), Patate (180 g), Verza (180 g), Burro (30 g), Salvia (n.5 foglie), Pepe (q.b.), Sale (q.b.) Descrizione: Pelare e tagliare a pezzi le patate, lavare e tagliare a strisce le verze, cuocere in una pentola con acqua salata le patate e le verze, tagliare il formaggio a fettine sottili. A cottura ultimata, unire i pizzoccheri e cuocere per 10-15 minuti, scolare ancora al dente. Nel frattempo rosolare le foglie di salvia nel burro, porre i pizzoccheri in una zuppiera, unire il formaggio, il burro e la salvia ed amalgamare accuratamente. Servire, unendo del pepe a parte

Vini

Il Lambrusco Mantovano DOC

Situata tra il Garda, il Mincio e il PO, Mantova è la terra di origine della dinastia dei Gonzaga e la zona di produzione di ottimi vini. Dai Garda Colli Mantovani al Lambrusco, un invito a visitare una provincia ricca di sapori. Testimonianze dirette ci giungono dai latini e precisamente da Virgilio, nativo del mantovano,  il quale parla dell’esistenza della vitis labrusca duemila anni fa.La pluricentenaria esperienza e tradizione viticola dell’area del Lambrusco Mantovano DOC è risalente al tempo dei Benedettini.  Basterà ricordare che i monaci di Polirone nei loro tenimenti di San Benedetto Po e dell’Oltrepò stabilivano agli affittuali un imponibile vinicolo ed anche nel Rinascimento le botti mantovane viaggiavano sulla strada d’Alemagna. La pianura a destra del Po è sempre stata regno del Lambrusco Mantovano che si può considerare la bandiera enologica della Bassa Padana orientale. Dal 1987 ha avuto il riconoscimento DOC e in quest’ultimo decennio ha ottenuto i più alti riconoscimenti attribuiti ai Lambruschi.È prodotto in due zone distinte separate dal fiume Po: Viadanese-Sabbionetano e Oltrepò Mantovano. Nella zona sono presenti tre tipologie di vino IGT: Sabbioneta, Quistello e Provincia di Mantova.Il Lambrusco Mantovano è vino di lunga tradizione e di reputazione consolidata, sebbene si tratti della più recente acquisizione tra i vini DOC della Lombardia.Si tratta di un vino più o meno frizzante, sottoposto alla pratica della rifermentazione naturale, alla quale deve la spuma evanescente che è una delle sue caratteristiche salienti. Si ottiene per almeno l’85% con uve di vitigni Lambrusco viadanese, Groppello Ruberti, Lambrusco Maestri, Lambrusco Marani e Lambrusco salamino e, per il rimanente, con Uva d’Oro (o Fortana). Il Lambrusco Mantovano DOC è un vino da pasto frizzante di colore rosso rubino, con gradazione minima di 10°.Il profumo è abbastanza intenso, poco persistente, fine, vinoso e fruttato.Al palato si presenta morbido, quasi di corpo, abbastanza fresco, poco tannico e sapido, e ben equilibrato. Dopo la pigiatura, le uve vengono messe a fermentare e a macerare assieme alla vinaccia in recipienti chiamati fermentini, secondo la tecnica della vinificazione in rosso. È durante questa fase che bucce e vinacce rilasciano i pigmenti che conferiscono il colore rosso al vino.Con la successiva svinatura, si separa la vinaccia dal mosto travasando il vino in vasche di conservazione. In queste vasche a causa dell’abbassamento della temperatura si blocca la fermentazione alcolica e inizia la fermentazione malolattica . In questa fase il vino subisce una riduzione di acidità e acquisisce stabilità, limpidezza e parte delle caratteristiche organolettiche tipiche. Dopo l’invecchiamento il vino viene stabilizzato e imbottigliato.Essendo un vino frizzante, il Lambrusco Mantovano Doc viene sottoposto a rifermentazione , mediante la quale si ottiene la formazione della spuma. La dolcificazione deve effettuarsi con mosti d’uva o mosti concentrati, tutti provenienti da uve atte alla produzione di questo vino Doc. Nei limiti previsti dalla legge è consentito l’uso del mosto concentrato rettificato. Agli inizi del 1900 gli emigrati italiani costretti a trasferirsi in Sud America, non rinunciano a portare con se il Lambrusco Mantovano considerato il vino della tradizione italiana. Il Lambrusco nello stesso periodo appare sulle tavole del Waldorf Astoria di New York.Per conservare correttamente il Lambrusco Mantovano DOC è sufficiente tenere le bottiglie a un’umidità del 70-75% affinché il tappo non si asciughi.Si consiglia inoltre di mantenere una temperatura costante fra 10 e 15°C e di utilizzare scaffalature di legno, sulle quali sistemare le bottiglie in posizione orizzontale, per attutire i colpi.Il Lambrusco Mantovano DOC all’esame olfattivo si presenta abbastanza intenso, poco persistente, fine, vinoso, fruttato. Ha un sapore abboccato, morbido, quasi di corpo, sufficientemente fresco, poco tannico e sapido e mediamente equilibrato.Per coglierne appieno il gusto, è consigliabile abbinare il Lambrusco Mantovano DOC con preparazioni poco o abbastanza strutturate, come brodini di carne, bolliti misti e cotechini in umido. Se ne consiglia la degustazione in calici per vini rosati freschi, a una temperatura compresa fra i 14 e i 16°C. Il periodo ottimale di consumo è entro uno o due anni dalla vendemmia. Vitigni: Lambrusco Viadanese (localmente denominato Grappello Ruberti), Lambrusco Maestri (localmente denominato Grappello Maestri), Lambrusco Marani e Lambrusco Salamino, da soli o congiuntamente per almeno l’85%. Possono concorrere alla produzione di detti vini anche le uve provenienti da vitigni: Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa (localmente Grappello Grasparossa), Ancellotta e Fortana, da soli o congiuntamente, nella misura massima del 15%.

Ricette, Tradizioni

Torta di tagliatelle

L’origine di questo curioso dolce che viene dalla tradizione rurale è ancora sconosciuta. Notizie della sua prima diffusione sono state riscontrate nella metà del XIX secolo in quanto la ricetta compare in un ricettario mantovano dell’epoca appartenente ad una collezione privata. La Torta di Tagliatelle o “turta tajadina” è un dolce di sfoglia di pasta classica, ridotta in tagliatelle sottili e mescolate a strati alterni con mandorle tritate, zucchero, burro e cotta al forno. Ingredienti Farina bianca 300 gr 3 tuorli Zucchero 200 gr Mandorle sbucciate e tritate 200 gr Burro 70 gr Liquore secco un bicchierino ProcedimentoPreparate una classica sfoglia con farina e tuorli, con l’aggiunta di un cucchiaio raso di zucchero e tagliatela in tagliatelle sottili, come quelle per il brodo. Mescolate le mandorle con lo zucchero e procedete a formare gli strati della torta. Nella tortiera imburrata disponete un leggero strato di tagliatelle, poi uno di mandorle e zucchero, distribuendo qua e la qualche fiocchetto di burro e una spruzzatina di liquore. Continuate così fino all’esaurimento degli ingredienti: dovrebbero risultare 3 strati di tagliatelle inframmezzati dalle mandorle. Cuocete in forno a 180° e quando la torta avrà preso un colore dorato (dopo circa 40 minuti) sarà pronta. fonte parcodelmincio.

I Tipici

Il salame d’oca di Mortara IGP

Prodotto d’eccellenza della tradizione gastronomica della Lomellina, questa specialità trae la propria origine dalla cucina  ebraica,  infatti in origine non prevedeva parti di maiale. Prodotto tipico della provincia di Pavia, il Salame d’oca di Mortara IGP è ottenuto con una ricetta non ancora uniforme, perché spesso i produttori custodiscono gelosamente la proporzione degli ingredienti utilizzati. Regola di base, però, è l’uso di budelli di pelle d’oca per insaccare il prodotto.Il Consorzio di Tutela del Salame d’oca che ha sede a Mortara, infatti, vieta l’uso di budelli artificiali. Inoltre, ogni salame dev’essere cucito e legato a mano.Di forma cilindrica e allungata, con una lunghezza di 30 – 40 centimetri e un diametro di 7-8 centimetri, il Salame d’oca si presenta alla vista di un bel colore rosso porpora. Il peso varia tra i 600 e i 900 grammi.Il Salame d’oca è tipico della Lomellina, in provincia di Pavia, zona in cui è stato ideato il singolare accostamento tra palmipedi e suini grazie alla creatività dei macellai e alle comunità ebraiche insediatesi nella stessa zona sin XVII dal secolo.Benché al principio l’oca fosse considerata solo un surrogato del maiale, le successive modalità di lavorazione delle carni hanno ispirato i produttori sino a raggiungere salumi di qualità eccellente, caratterizzati da un abbinamento unico al mondo. Fin dal Medioevo, la Lomellina è una zona dedita all’allevamento dell’oca. Nelle sue terre basse e acquitrinose, questo animale di corte offriva alle famiglie diverse risorse: carne, pelle, piume, grasso, fegato e frattaglie. Come per il maiale, la necessità di conservarne le carni ha spinto gli allevatori alla produzione di salami e prosciutti d’oca, ancor oggi legati a una lavorazione artigianale se non addirittura familiare. È ottenuto dalla lavorazione di carne magra d’oca, cui si aggiungono carne e grasso suino tritati, di solito la spalla come carne magra e la pancetta suina come parte grassa. Dopo esser stato tritato, all’impasto si aggiungono sale, pepe e aromi che variano a seconda del produttore.L’insacco avviene utilizzando la pelle dell’oca in precedenza tagliata e messa sotto sale; segue la stagionatura che dura intorno ai tre mesi. Il Salame d’oca crudo ha un sapore dolce e delicato, oltre a un piacevole sentore di viola.Ottimo come antipasto o spuntino specialmente se consumato secondo la tradizione lombarda con mostarda e salse agrodolci, il Salame d’oca può essere un eccellente secondo se accompagnato da verdure alla griglia o al vapore.Data la delicatezza delle carni se ne consiglia un abbinamento con un vino non troppo deciso, preferibilmente un bianco morbido e aromatico.  fonte buonalombardia

Ricette, Tradizioni

Bigoli con sardelle

Nel dialetto il termine bigolo significa cavicchio, paletto, ed è spesso usato come metafora sessuale e, conseguentemente, come epiteto offensivo rivolto a persone poco sveglie.In cucina, i bigoli sono una sorta di grossi spaghetti fatti in casa con pasta all’uovo lavorata al torchio, tipici della cucina mantovana, bresciana e veneta.Erano in passato un piatto tra i più apprezzati, tanto che andare a bigoli è locuzione entrata nell’uso per andare a pranzo.La cucina tradizionale lombarda accoglie pochissime formulazioni con pesce di mare fresco, per la difficoltà di approvvigionamento della materia prima, in passato molto avvertita nelle zone più interne o lontane dai fiumi navigabili. Salvo le anguille che, pur essendo pesci d’acqua salata risalgono la corrente dei fiumi, i piatti con pesce di mare si contano sulle dita delle mani e provengono quasi tutti dalla tradizione borghese ottocentesca: il merluzzo o le aringhe con la salsa bianca, la frittura di sardelle, la sogliola in insalata o il risotto alla certosina, in cui taluni fanno entrare la sogliola al posto del persico. Era più frequente il consumo del pesce di mare conservato sotto sale.I venditori ambulanti, di pesce salato, provenienti soprattutto dalle valli sud-occidentali del Piemonte, raggiungevano anche i paesi più isolati dei rilievi prealpini. Il merluzzo salato (o baccalà), il merluzzo essiccato senza sale (stoccafisso), le sardelle, le alici e le aringhe erano, tra i pesci in barile, i più diffusi, tanto da generare il modello locale degli agoni di lago seccati e salati (missoltini). Proverbiale, nella descrizione di un panorama di miseria di fame, era la polenta e tucalà, la fetta di polenta strofinata sull’aringa posta al centro della tavola. Col baccalà si preparava lo sformato alla certosina, il baccalà in umido o quello con le verze. Le aringhe si arrostivano sulla brace, una volta rinvenute in acqua tiepida; le sarde e le alici entravano a insaporire molti piatti, alla stregua degli attuali dadi di glutammato. Preparazione per 4 porzioni:BIGOLI: 400 g- SARDELLE : 200 g -OLIO DI OLIVA:  50 g -AGLIO: uno spicchio SALE: q. b.     Pulire i pesci dal sale,  lavarli accuratamente e asciugarli;     mettere sul fuoco la pentola con abbondante acqua salata e non appena bolle buttarvi la pasta;    mentre la pasta cuoce, mettere sul fuoco un tegame con l’olio e lo spicchio d’aglio leggermente schiacciato e far rosolare a fiamma dolcissima;    togliere l’aglio, porre nel tegame le sardelle, spappolandole con la forchetta e portarle a cottura senza mai far friggere l’olio;     scolare i bigoli al dente e condirli con il sugo.    Per la pasta: Impastare 600 g di farina di grano saraceno (o di farina integrale) con due uova intere, 50 g di burro ammorbidito, 200 ml di latte e un pizzico di sale;lavorare l’impasto finché non sia ben liscio e omogeneo e farlo riposare per almeno mezzora; passare l’impasto al torchio e disporre i bigoli, ben allargati, su un vassoio ricoperto con una salvietta infarinata, sulla quale dovranno asciugarsi per 24 ore.     Note: bigoli fatti in casaOggi i bigoli si possono acquistare già pronti nelle zone che ne vantano la tradizione.Chi avesse a disposizione un torchio a piastra con fori larghi e volesse cimentarsi a farli in casa, può utilizzare le seguenti dosi, avendo l’avvertenza di prepararli il giorno precedente alla consumazione. Varianti:La pasta può anche essere di farina bianca.Alcune formulazioni utilizzano quattro uova ed escludono altri liquidi leganti. Alle sardelle si possono sostituire acciughe, sia fresche che dissalate.In quest’ultimo caso, invece dell’aglio, si usa un soffritto di cipolla.

Torna in alto