PAT

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Tiròt di Felonica PAT

Il Tiròt  è’ una saporita focaccia che tradizionalmente viene consumata durante merende con amici ma va benissimo come antipasto accompagnando salumi e tocchetti di grana. E’ una specialità tipica di Felonica, comune del basso mantovano, ed è inserita fra i prodotti tradizionali della regione Lombardia L’origine del nome di questo prodotto deriva da una fase della sua lavorazione manuale: quella in cui l’impasto viene steso o meglio “tirato” dentro la teglia, prima della cottura.  Una singolare gestualità, frutto della tradizione contadina, che si è trasformata nel tempo in autentica ritualità.  Per anni si è gustato questo alimento nei campi, al termine della raccolta delle cipolle, in un momento di festa collettiva e consolidata tradizione.  Oggi è invece generalmente apprezzato da chi sa riconoscere antichi sapori ed antichi richiami. Prendere un kg e mezzo di pasta di pane gia’ lievitata e incorporarvi mezzo kg di cipolle pestate fini e mezzo kg di ciccioli di maiale sbriciolati. Si otterrà  una  schiacciata di trenta centimetri di larghezza, la cui superficie verra’ incisa con un coltello disegnandola con losanghe; si lascia lievitare come per il pane e si cuoce in forno a calore vivo per mezz’ora e si puo’ gustare tiepida o fredda.

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Stigghiola PAT

Si tratta di un tipico cibo siciliano di cucina povera, che viene generalmente preparato per strada, alla brace, dallo stigghiularu. Viene proposto da venditori ambulanti che si possono trovare negli angoli delle strade, in quartieri tipici. La cottura è preferibile eseguirla alla carbonella. Gli ingredienti sono budello di capretto o agnello; Prezzemolo; Limone; Lardo; Sale. Il procedimento: Pulire le budella all’interno e all’esterno facendo attenzione che non si rompano poi sfregare con spicchi di limone. Avvolgerle a spirale intorno a delle fettine di lardo con due rametti di prezzemolo. Adagiare sulla graticola e cuocerli, dopo averli spruzzati di sale INGREDIENTI2 o 3 stigghiole (budella) di agnello Qualche pezzettino di grasso di maiale una grossa cipolla sale e pepe q.b. 2 3 stecche per involtini PREPARAZIONE Attorcigliare alla stecca per involtino la stigghiola inserendo fettine di cipolle e i pezzettini di grasso salare e pepare e cucinare esclusivamente alla brace per far perdere parte del grasso Vanno tolte dal fuoco un pochino abbrustolite.

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Padduni PAT

Le origini di questo formaggio risalgono al XI secolo a.C., Omero parla di una bevanda a base di formaggio caprino grattato. Anche Aristotele, nel IV secolo a.C. si sofferma sulle tradizioni casearie siciliane esaltando il gusto del latte caprino mescolato al latte vaccino o di pecora. Nel periodo Romano,II secolo a.C., Varrone pone l’accento sulle qualità nutrienti del latte di capra e dei formaggi caprini.7 È un formaggio a pasta cruda, ottenuto solo da latte di capra. Ha forma a palla (“padduni” si traduce in “pallone”), dal peso di 300 gr., e va consumato fresco o stagionato. Si distingue dal formaggio di capra per la forma, il peso, la salagione e, soprattutto, per la stagionatura. Il latte di capra viene fatto cagliare in una tina di legno a 37°C con caglio in pasta d’agnello (e/o capretto) in circa 45 minuti. L’impasto viene strizzato a mano nella “cisca”, un recipiente di legno. Il formaggio viene poi scottato a caldo, modellato nella tipica forma sferica e poi salato a secco. La stagionatura dura fino a 3 mesi.

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Salam d’la duja PAT

Salame di puro suino tipico delle zone del vercellese e del novarese, conservato sotto grasso in recipienti di coccio detti appunto “duje”. Questa tipo di conservazione veniva utilizzata in passato soprattutto nelle zone molto umide del Piemonte, dove non era possibile far stagionare i salami all’aria con il metodo tradizionale. Le carni suine di prima scelta (culatello, spalla, coscia e coppa) sono macinate a grana media insieme a grasso di pancetta e condite con sale, pepe, aglio e vino rosso. Insaccato in budello di manzo, il salame viene poi fatto maturare nel coccio, immerso nello strutto fuso che gli consente di restare morbido a lungo e gli conferisce un caratteristico sapore piccante. Segue una stagionatura della durata di circa un anno.

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Prosciutto di Pietraroja PAT

Il prosciutto di Pietraroja, comune della provincia di Benevento, è rinomato da secoli, tanto che in una collezione di stampe dell’archivio del Regno di Napoli il simbolo di questo piccolo paese del Beneventano rappresenta una donna con un prosciutto Apprezzati già nel Settecento, questi prosciutti di grosse dimensioni vengono prima lasciati riposare per circa venti giorni senza conservanti e con una modesta quantità di sale grosso (grazie al clima fresco e ventilato si conservano comunque). In seguito vengono appesi ad asciugare in un luogo fumoso per una settimana e poi sospesi tra i muri di pietra centenari di stanze asciutte e aerate, per un periodo che va dai dodici ai venti mesi al massimo. Durante le diverse fasi della lavorazione subiscono una serie di pressature in torchi di legno. Per tradizione la fetta, tagliata spessa, si consuma a tocchetti.

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La “chisolina” mantovana PAT

Conosciuta sin dai tempi dei Gonzaga col nome di “schizzadas” la schiacciatina, detta localmente anche “chisulina”, è un prodotto da forno tipico della tradizione contadina del mantovano, inserita nell’atlante prodotti tipici lombardi,  era l’antico alimento dei contadini che la consumavano al posto del pane durante i lavori in campagna. La più antica testimonianza sulla Schiacciatina è rintracciabile nel poema “Baldus” pubblicato nel 1517 dal famoso letterato mantovano Teofilo Folengo.”Hic quoque Fornari schizzadas atque fugazzas”.., Le schizzadas erano fatte solo con farina, acqua e sale e venivano cotte sotto la cenere del focolare. La Schiacciatina è una focaccetta quadrata ottenuta impastando farina di grano tenero, acqua, sale e strutto. Quando l’impasto ha raggiunto la consistenza ottimale si lascia riposare, poi si taglia in tanti pezzi a cui viene data una forma quadrata, dello spessore di pochi millimetri. Si cuoce per breve tempo e si consuma come il pane, spezzandola con le mani. Non contiene conservanti né altri additivi. Di consistenza sottile, la Schiacciatina è di color giallo paglierino e presenta un sapore gustoso e stuzzicante, di strutto e crosta di pane. Per la preparazione della Schiacciatina s’impastano gli ingredienti: farina, acqua, sale e strutto sino a ottenere un composto omogeneo. In seguito, si procede alla tiratura dell’impasto, lasciato a lievitare nella teglia prima della cottura. Ingredienti per 8 persone1 kg di farina tipo “O”, 200 g di strutto, 600 g di acqua, 30 g di sale, 30 g di lievitoPreparazioneImpastare gli ingredienti e quando l’impasto ha la consistenza ottimale, lasciarlo riposare. Lievitare per una o due ore, a seconda del clima, poi stendere la pasta e tagliarla in tanti pezzi di forma quadrata o rettangolare dello spessore di pochi millimetri. Cuocere per breve tempo (15-20 minuti) in forno a 200°C

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Pane carasau PAT

Il pane carasau è tipico pane sardo originario della Barbagia, conosciuto anche col nome di carta musica, proprio per la sua caratteristica sottigliezza. Il termine sardo invece deriva dal metodo di preparazione che comporta una fase di carasatura, cioè una cottura per renderlo croccante. Sono state trovate tracce di pane carasau nei nuraghi, quindi è da ritenere che fosse presente già in quella civiltà. In tempi più recenti il pane carasau è legato al mondo della pastorizia. Questo pane infatti per le sue caratteristiche peculiari permetteva ai pastori impegnati nella cura delle greggi di avere sempre a disposizione un alimento che non aveva problemi di conservazione. Una volta cotto veniva tagliato dalle donne, a forma di cuneo, in quanto quella era la forma della tasca a tracolla che i pastori utilizzavano per conservarlo. Gli ingredienti base sono lievito, sale, acqua e farina. Storicamente vengono ricordati due tipi di impasti, uno a base di fior di farina di grano duro, diffuso in particolare tra le classi agiate, l’altro a base di farina d’orzo o cruschello, presente soprattutto sulle tavole dei ceti medio-bassi. La preparazione del pane carasau era un vero e proprio rito che coinvolgeva almeno tre donne, amiche o parenti che ricevevano in cambio olio e ricotta. La pasta viene lavorata e tirata in dischi separati da panni di lino o lana sovrapposti. Per il forno si utilizzava legno di quercia, e la cottura del pane iniziava alle prime luci dell’alba. Quando il disco di pasta cominciava a gonfiarsi si rivoltava, e vi si appoggiava delicatamente una pala (tradizionalmente di legno) per favorire l’omogeneità della forma. Una volta sfornato, il disco di pasta veniva diviso in due con il coltello. A questo punto avveniva la seconda infornata necessaria al processo di ‘carasatura’. Il pane carasau si può condire con olio e sale e servire dopo un breve passaggio sulla griglia (pane “guttiau”). Altra preparazione tipica è quella del pane frattau. In questo caso il pane viene immerso per un tempo brevissimo in acqua salata bollente, per poi essere disposto sul piatto componendo strati con sugo e pecorino. Un antipasto semplice e stuzzicante generalmente molto apprezzato. Non è altro che il pane carasau con dell’olio e limone. Pane carasau, un foglio di pane a testa Sale, q.b. Olio extravergine, q.b. Prendete ogni foglio di pane e mettete sopra un po’ di sale e un filo d’olio extravergine d’oliva. Quindi infornate (pochi fogli alla volta e non sovraposti) o ponete sul barbecue per pochi minuti e servite. Ideale a tavola, ma anche per aperitivi e stuzzicchini.

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Pane nobile di Guardiagrele PAT

È un pane nobile la cui ricetta affonda le radici nel Medioevo. Le zone interessate alla sua produzione sono quelle pedemontane di Bocca di Valle e di Guardiagrele. Il pane viene prodotto sia a forma di filone che di pagnotta, con pesi di 500 g o di 1 kg. Per l’impasto si utilizza una complessa miscela di farine tipo ‘00’, integrale, di mais, avena, orzo, miglio e segale, con semi di sesamo, olio extravergine di oliva, formaggio, acqua, sale, lievito madre e una piccola quantità di lievito di birra. La combinazione di questi ingredienti conferisce a questo antico e nobile pane un caratteristico profumo speziato. La lavorazione ha avvio la sera tardi miscelando e impastando a mano le varie farine, il lievito, acqua, sale, formaggio e olio. Si lascia lievitare fino al mattino successivo, poi si procede a lavorare la massa e a dare la forma. Il pane lievita ancora per circa trenta minuti e si inforna a 200°C per circa un’ora e venti minuti. La crosta esternamente è di colore nocciola ambrato con lievi incisioni in superficie, al taglio non manifesta sbriciolature, la mollica è morbida e spugnosa con occhiatura regolare. Si conserva in sacchetti di carta o stoffa per circa quattro giorni, durante i quali il pane mantiene inalterati gusto e morbidezza. La tradizione orale tramandata dagli anziani e l’impiego di alcune farine che rientrano nella miscela, ne attestano le antiche origini. La sua caratteristica risiedeva allora come oggi nel suo essere particolarmente sostanzioso e di lunga conservazione. Per questo motivo era molto apprezzato e consumato dalle popolazioni delle zone pedemontane, dedite all’attività di carbonai, costrette al duro lavoro nei boschi e alle lunghe assenze dai centri abitati. fonte ARSSA

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Testarolo della Lunigiana PAT

Il testarolo è un antico pane senza lievito (azzimo) di forma circolare, con basso spessore (circa 2-3 mm) e diametro di circa 40-45 cm. Ha aspetto consistente ma spugnoso e pasta di colore biancastro, tendente al marroncino. Esternamente, la parte venuta a contatto con il piano di cottura presenta colorazione bruno intenso, mentre la parte superiore ha il colore della mollica del pane casalingo, di cui peraltro conserva anche il profumo. Viene venduto sfuso nei forni e nei negozi di generi alimentari della Lunigiana e commercializzato a più ampio raggio in confezioni sottovuoto, che ne preservano le caratteristiche originarie. I Testaroli della Lunigiana sono una pasta di antica origine. Diffusi già ai tempi di Roma imperiale, sono diventati nel corso dei secoli un piatto di prim’ordine della cucina regionale Toscana, semplice e genuina. Ancora oggi vengono realizzati con gli stessi pochi ingredienti di allora: farina, acqua e sale. La farina di grano viene amalgamata con acqua tiepida e sale fino all’ottenimento di una pastella molto liquida. Si scaldano quindi i testi di ghisa o di ferro sul fuoco vivo e, una volta ben caldi, vi si stende sopra la pastella in modo da formare un disco circolare. Ogni disco viene coperto con un altro testo caldo per completare la cottura, che richiede pochi minuti. Ancora oggi per la produzione casalinga vengono utilizzati appositi locali, chiamati “gradili” e destinati sia alla produzione dei testaroli, sia all’essiccazione delle castagne. Il prodotto deve la sua tradizionalità al processo di lavorazione, che è rimasto invariata nel tempo (l’unica modifica riguarda il metodo di riscaldamento dei testi), e all’utilizzo di particolari attrezzi, i testi in ghisa, per la trasformazione. Il “testo” è un arnese a due componenti, la teglia, con bordo di 5-6 cm, e la cupola che viene utilizzato anche per la cottura di altri cibi. Nella preparazione del testarolo, la pastella viene a contatto solo con la facciata inferiore (testo “sottano”) dell’attrezzo, mentre la parte superiore della pastella si cuoce per irradiazione del calore proveniente dalla cupola coprente (testo “soprano”). Una volta cotto, il testarolo viene tagliato a quadratini e fatto rinvenire in acqua bollente “ferma”. Scolato, viene condito con olio extravergine di oliva e pecorino grattugiato o con pesto di basilico, pinoli, aglio e olio extravergine (pesto gentile).Il testarolo viene anche servito con formaggi freschi e molli o con salumi. È un piatto povero che veniva consumato soprattutto dai contadini, ed oggi è molto ricercato e apprezzato nei ristoranti della Lunigiana. I testaroli vengono prodotti sia a livello familiare, sia da forni e pastifici per la commercializzazione; si può stimare una produzione complessiva di 950-1000 quintali l’anno. La vendita avviene non solo nella zona d’origine, la Lunigiana, ma anche nel resto della regione e, in quantitativi modesti, nel resto d’Italia.

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