Veneto

Vini

Prosecco Conegliano Valdobbiadene DOCG

I primi documenti in cui viene citato risalgono alla fine del ‘600 e descrivono un vino bianco, delicato, originario del carso triestino. In seguito il Prosecco trova il suo terroir d’elezione nelle colline trevigiane, dove la conformazione e i terreni declivi, i suoli e il clima permettono di valorizzare le peculiarità del vitigno. La tipologia di uve impiegate è caratterizzata da un moderato accumulo di zuccheri e da una buona presenza di acidità e sostanze aromatiche, che contribuiscono a creare un vino base poco alcolico e dalla piacevole aromaticità. Abbinamenti:  Da aperitivo  e da tutto pasto o con antipasti, minestre delicate, piatti di pesce e a base di uova. risotto al radicchio, risotto al nero di seppia, baccalà mantecato, verdure e formaggi molli; il tipo amabile con il dessert. Tipologie:  Prosecco, Prosecco Spumante, Prosecco Tranquillo.   Vitigni: Glera 85-100%, Verdiso e/o Bianchetta trevigiana e/o Perera e/o Glera e/o lunga e/o Chardonnay e/o Pinot bianco e/o Pinot grigio e/o Pinot nero (vinificato in bianco) 0-15%. Disciplinare: approvato DOC con Dpr 02.04.69 (G.U. 141 – 07/06/1969), poi il tipo “Conegliano Valdobbiadene – Prosecco” o “Conegliano – Prosecco” o “Valdobbiadene – Prosecco” approvato DOCG con Dm 17.07.2009 (G.U. 173-28.07.2009)

I Tipici

Marrone di San Zeno DOP

Per gli agricoltori della zona la castanicoltura ha rappresentato per lunghi secoli una risorsa economica importante. I primi riferimenti storici sulla coltivazione del castagno risalgono, infatti, al Medioevo. Testimonianze scritte sulla coltivazione del Marrone di San Zeno si ritrovano nel XIII, XIV, XV II e XIX secolo. In questi testi vengono individuate le zone caratteristiche di produzione e descritto il prosperoso sviluppo dei castagni e i metodi di raccolta e commercializzazione dei marroni sui mercati settimanali, tradizione che ha ripreso vigore nel secondo dopoguerra.Nelle zone di montagna i marroni hanno rappresentato per secoli uno dei principali alimenti: oltre che consumati come frutti, con la farina si preparavano anche pane, pasta, dolci e polenta. I frutti freschi erano arrostiti nella particolare padella forata e, accompagnati al vino nuovo, diventavano emblema della festa di ringraziamento per l’annata agricola, dedicata a San Martino. Come in altre parti del Veneto anche in questi territori, la festa era legata alla prima questua annuale e al rito deimorti, in occasione del quale si confezionavano anche particolari biscotti con la farina di castagne.Testimonianze scritte della coltivazione del Marrone di San Zeno risalgono al XIII secolo e successivi; esse individuano le zone tipiche di produzione, anche attraverso gli estimi catastali, e descrivono il prosperoso sviluppo dei castagni, nonché i metodi di raccolta. La commercializzazione dei marroni avveniva già dalla fi ne del secolo XIX per via diretta, tramite negozianti, oppure sul mercato settimanale di Caprino Veronese, o su quello di Verona; questa tradizione ha ripreso vigore nel secondo dopoguerra. fonte Venetoagricoltura.it

Vini

Bardolino DOC

Il Bardolino è prodotto delle colline moreniche della sponda orientale del lago di Garda che hannoavuto origine dai ghiacciai che modellarono il territorio, lasciando evidente traccia di sé in una seriedi rilievi collinari concentrici affacciati verso il Garda, dotati di suoli estremamente variabili, tendenzialmente ghiaiosi e profondi Ritrovamenti archeologici dell’età del bronzo, reperti romani per l’uso del vino nei riti religiosi, raffigurazioni di grappoli nelle chiese medioevali, documenti di compravendite di vigneti, nonché scritti di autori famosi del XV secolo, testimoniano la lunga ed ininterrotta tradizione vitivinicoladella zona del Bardolino.È nel XIX secolo che la produzione vinicola della zona incomincia ad essere identificata esplicitamente con il nome di “Bardolino”, con le prime analisi chimiche effettuate nel 1873. Come testimonia nel 1897 lo scrittore bresciano Giuseppe Solitro, “Tra i più reputati della regione sono quelli di Bardolino, che questo nome corron tutta l’Italia e competono con i migliori della penisola”.Giovanni Battista Perez, in un testo pubblicato nel 1900, descrive il vino “di tinta rosso-chiara” del distretto di Bardolino, soffermandosi sulle caratteristiche organolettiche della produzione delle varie località di quella che è l’attuale area del Bardolino.Il Bardolino è un vino di colore rosso rubino brillante, con profumi fruttati e fragranti e note di ciliegia, marasca, fragola, lampone, ribes, mora ed eleganti accenni di spezie (cannella, chiodo di garofano, pepe nero). Il gusto è asciutto, morbido, caratterizzato dalle medesime sensazioni di fruttarossa croccante e di piccolo frutto percepite all’olfatto, speziato, dotato di equilibrio, freschezza, e considerevole bevibilità. È, per eccellenza, uno vino quotidiano, giovanilmente brioso, dell’inimitabile sapore salino. Alcuni autori nei primi anni del 1900 caratterizzavano il Bardolino, come “salatino”, oppure “asciutto e leggero, dotato di una sottile sapidità”, peculiarità che tutt’oggi differenzia il Bardolino da vini simili ottenuti nelle zone limitrofe. Disciplinare: Approvato con DPR 28.05.1968 G.U. 186 – 23.07.1968

I Tipici

Il Grana Padano DOP

Il Grana Padano nacque intorno all’anno mille, nell’area lombarda compresa tra il Po a sud e Milano a nord, e delimitata dai fiumi Adda e Mincio. In quel periodo, l’opera di bonifica compiuta dai monaci Cistercensi dell’abbazia di Chiaravalle diede vigore all’allevamento del bestiame, determinando una produzione di latte decisamente superiore al fabbisogno della popolazione. Fu proprio per sfruttare l’eccedenza di latte che i monaci, con geniale intuizione, misero a punto la “ricetta” del Grana Padano, un formaggio a pasta dura che, stagionando, manteneva i principi nutritivi del latte di partenza, concentrati e arricchiti di un gusto inconfondibile, fatto di colori, sapori e profumi che meritano di essere conosciuti e apprezzati.L’origine della produzione è contesa tra Lodi e Codogno, ma si è presto diffusa dagli Appennini alle Alpi, comprendendo l’intera vallata del Po; fonti del XII secolo già documentano la nascita dei primi caseifici.La lunga conservabilità ne ha favorito il fiorente commercio ben oltre i confini della zona di produzione, fino alle tavole delle corti rinascimentali. Durante gli anni di carestia però, riuscì anche a sfamare la gente delle campagne, diventando poi uno dei pilastri dell’economia agricola padana.Il rispetto delle antiche metodologie produttive ha permesso di mantenerne inalterati nei secoli il sapore e l’aspetto e per garantire e proteggere la tipicità della produzione, nel 1954 viene costituito il Consorzio di Tutela , allo scopo di promuovere anche la ricerca tecnica per un continuo miglioramento della qualità.Il mercatoInsieme, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano coprono più dell’85% di tutto il mercato italiano dei formaggi duri. Due gi-ganti assoluti, quindi, che se da un lato presentano innegabili elementi di somiglianza, dall’altro si diversificano per alcune particolarità essenziali che li rendono inconfondibili nelle rispettive caratteristiche di gusto, aroma e consistenzaLa presenza del marchio è già un’implicita garanzia di qualità.La forma non deve presentare al suo interno spaccature o crepe, difetti che possono preludere a squilibri di sapore (soprattutto verso un piccante improprio), la crosta deve avere un giusto spessore (5 – 6 millimetri), mentre la pasta deve mostrare una consistenza soda e decisa, con una buona resistenza alla penetrazione.Sulle caratteristiche del formaggio incide naturalmente anche il tempo di stagionatura: col passare del tempo, il grana incrementa una piacevole tendenza a fondersi in bocca. Un carattere di qualità è anche nella struttura “a scaglia”, per cui, nel prodotto molto maturo, la pasta si stacca a lingue sottili, secondo una disposizione a raggi convergenti verso il centro della forma. L’eccesso di secchezza e l’eventuale sabbiosità non sono caratteri positivi, mentre la presenza di granuli bianchi nella pasta non è da valutare negativamente.

I Tipici

Broccolo Fiolaro di Creazzo PAT

Il “broccolo fiolaro di Creazzo” è un prodotto oggi molto apprezzato per le sue proprietà alimentari, mentre un tempo era definito cibo dei poveri.Il nome di questo ortaggio deriva dalla presenza di germogli inseriti lungo il fusto della pianta, conosciuti in termine dialettale come “fioi” e che vengono cotti in padella, insieme alle foglie più giovani, come una vera prelibatezza. Si tratta di un prodotto che ha la particolarità di non assomigliare né per forma, né per gusto alle altre varietà di broccolo. Come ricorda Antonio di Lorenzo, in un saggio dedicato al broccolo di Creazzo, il primo ad innamorarsi di questo prodotto tipicamente vicentino fu Johann Wolfgang Goethe, durante la tappa a Vicenza del viaggio in Italia che il poeta tedesco intraprese nel 1786.La produzione ed il commercio del broccolo hanno costituito un’importante fonte di sostentamento per numerose famiglie di Creazzo negli anni ‘60-’70, quando il prodotto raccolto veniva commercializzato soprattutto nella città di Vicenza, dove giovani e vecchi conferivano il prodotto confezionato nelle “sacare”, specie di corone ottenute infilando i broccoli nelle “strope”Il “broccolo fiolaro di Creazzo” trova molteplici impieghi nell’arte culinaria, infatti viene utilizzato per realizzare torte salate o sformati. Può essere assaporato anche crudo in insalata assieme ad altre verdure. Trova valido utilizzo per i primi piatti, come ripieno di tortelli, gustosi pasticci, zuppe e minestre. Come contorno, da abbinare preferibilmente a bolliti od arrosti, viene servito in vari modi: cotto al tegame, gratinato con la besciamella, bollito e condito con olio, sale e pepe. Ottimo infine comeripieno delle carni di pennuti.

I Tipici

Asparago Bianco di Bassano DOP

La scoperta dell’asparago di Bassano, asparago di tipo “bianco”, si narra sia del tutto casuale e dovuta ad una grandinata violentissima che si abbattè nella zona intorno al ‘500. Tale grandinata avrebbe distrutto la parte epigea dell’ortaggio costringendo così il colono a cogliere la parte che stava sotto terra, cioè la parte bianca. Si accorse, con stupore, oltre ad essere commestibile era anche saporita e di gusto gradevole e da allora cominciò a cogliere l’asparago prima che spuntasse da terra. Tuttavia tra le genti del bassanese corre un’altra leggenda: si narra infatti che Sant’Antonio di Padova di ritorno dalle missioni africane avesse portato con sé alcune sementi dell’asparago delle quali si sarebbe servito per ammansire il feroce Ezzelino; infatti mentre se ne ritornava dalla città patavina, percorrendo quel tratto di strada che va da Bassano a Rosà, avrebbe seminato tra le siepi le sementi dell’asparago, le quali avrebbero rigogliosamente allignato in una terra che tutt’oggi è fra le più feconde per la coltura del turione. Certo è che la coltivazione dell’asparago nel territorio di Bassano è antichissima; esaminando le note spese per banchetti della Repubblica veneta (XV e XVI sec.) si trovano notizie certe sull’esistenza dell’ortaggio. In documenti datati 1534 per esempio, ci si riferisce a spese fatte per il magnifico messer Hettor Loredan, Official alle Rason Vecchie “… per sparasi mazi 130, lire 3 et soldi 10” . Persino durante il Concilio di Trento (1545-1563) alcuni padri conciliari, passano per Bassano con il loro seguito, ebbero modo di gustare tra i vari prodotti locali, anche i “sparasi”: così tra discussioni teologiche e “magnade de sparasi” i padri conciliari promossero, forse, il primo lancio turistico dell’asparago di Bassano, mettendone in risalto soprattutto le virtù diuretiche.Da allora tanta acqua è passata sotto il ponte di Bassano e l’asparago bianco sempre più si è diffuso arrivando ad essere conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. fonte http://www.asparagodibassano.com

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